Situata nel suggestivo scenario del Mar dei Caraibi, Haiti vive da anni una crisi profonda che l’ha trasformata in un inferno sociale, politico ed economico. Oggi il Paese affronta una delle fasi più drammatiche della sua storia: le istituzioni sono al collasso, la violenza dilaga e la popolazione è travolta da una catastrofe umanitaria senza precedenti. Maria Isabel Salvador, rappresentante speciale dell’ONU, ha dichiarato che Haiti è «vicina a un punto di non ritorno e a un caos totale».
Le radici della crisi sono profonde, ma l’instabilità ha subito un’accelerazione dopo l’assassinio del presidente Jovenel Moïse nel luglio 2021. Da allora, il Paese è rimasto senza una guida politica stabile. Il Consiglio presidenziale di transizione, incaricato di gestire l’emergenza, ha fallito nel ristabilire l’ordine, organizzare elezioni e contrastare l’ascesa delle bande armate, che oggi rappresentano il vero potere in molte aree del territorio: conquistano, saccheggiano, usando violenza sulle persone, senza risparmiare i bambini e senza fare sconti alle organizzazioni umanitarie e caritatevoli, comprese quelle gestita dalla Chiesa cattolica e, in particolare, dagli ordini religiosi. Tutto ciò, attraverso la rete Caritas, ci viene confermato dalle Figlie di Maria Ausiliatrice, conosciute anche come Salesiane di Don Bosco, le quali hanno un legame particolare con la Sardegna. I sardi, infatti, dopo il terribile terremoto del 2010, risposero generosamente a quella tragedia dando vita ad una importante raccolta di fondi che permise la ricostruzione di una scuola e l’avvio di alcune importanti iniziative di carattere promozionale ed educativo. Più recentemente, la Delegazione regionale Caritas della Sardegna ha accolto la richiesta delle Suore salesiane al fine di sostenere un progetto, denominato “Per crescere bene. L’educazione è essenziale”, volto a favorire il rinforzo della sicurezza alimentare ed educativa di 50 bambini haitiani.
Di fronte a questa prolungata e profonda stagione di crisi la risposta della comunità internazionale è stata timida. D’altra parte, la popolazione haitiana guarda con una certa diffidenza a qualsiasi intervento esterno, memore dei fallimenti delle precedenti missioni ONU. Nel 2023, il Consiglio di Sicurezza ha autorizzato una missione multinazionale di supporto alla sicurezza, guidata dal Kenya, ma l’operazione ha subito ritardi e ostacoli, e non ha ancora ottenuto la fiducia della popolazione. A complicare ulteriormente la situazione, si aggiungono i tagli ai finanziamenti da parte dell’attuale amministrazione statunitense in favore dell’Agenzia USA per Sviluppo Internazionale (United States Agency for International Development – USAID).
Oggi, circa il 90% della capitale Port-au-Prince è sotto il controllo di oltre 150 gang criminali. Queste bande sono responsabili di estorsioni, rapimenti, stupri e omicidi. La violenza ha costretto oltre un milione di persone ad abbandonare le proprie case, generando una crisi di sfollati interni senza precedenti (quasi un milione e mezzo di persone) .
In un solo anno, il conflitto haitiano ha causato oltre 5.500 vittime civili, un numero paragonabile a quello registrato in Ucraina. La vita quotidiana è paralizzata: i commerci sono fermi, gli ospedali non funzionano, le scuole restano chiuse. La popolazione vive nel terrore, con accesso limitato a cibo, acqua e cure mediche.
Un episodio particolarmente tragico si è verificato tra l’11 e il 12 settembre scorso nel villaggio di Labodri, a nord-ovest della capitale, Port-au-Prince. Amnesty International ha denunciato un massacro compiuto da bande armate: oltre 40 persone uccise, case incendiate, corpi abbandonati per strada. Un simbolo crudele della crisi che devasta il Paese.
Secondo Stéphane Dujarric, portavoce del Segretario Generale dell’ONU, l’attacco di Labodri evidenzia l’assenza quasi totale di un’autorità statale. Si stima che tra i 6 e i 7 milioni di haitiani — circa il 60% della popolazione — abbiano urgente bisogno di aiuti umanitari. Malnutrizione, colera e altre malattie sono in forte aumento.
Haiti è sospesa tra la sopravvivenza e il collasso. Senza un intervento rapido e coordinato, milioni di persone continueranno a vivere in condizioni disumane, esposte a violenza, fame e malattie. È urgente un impegno collettivo per ristabilire quanto prima la sicurezza, tutelare i diritti umani e ricostruire le istituzioni democratiche.
Raffaele Callia
(tratto da www.caritassardegna.it)























