“Earth day”. La crisi climatica aggravata dalle guerre in corso

Foto di Amy Shamblen

L’Earth Day, la celebrazione ambientale più importante del pianeta, ha compiuto 54 anni. La cosiddetta “Giornata della Terra”, infatti, è stata istituita dalle Nazioni Unite il 22 aprile 1970 per far presente all’umanità la necessità di preservare con la dovuta attenzione le risorse naturali del pianeta. Nell’opinione comune, quella data segna simbolicamente la nascita del movimento ambientalista: un “moto” di opinione pubblica che, per quanto cresciuto nel tempo in termini sia quantitativi sia qualitativi, ancora non può dirsi in grado di intaccare in modo risolutivo le decisioni politiche su quella che, nel frattempo, è divenuta una crisi climatica globale.

È del tutto evidente come, dopo 54 anni, i problemi ambientali siano cresciuti e peggiorati sensibilmente, tanto da considerare la nostra epoca come quella in cui la vita sul nostro pianeta, proprio a causa della crisi climatica, rischia di essere compromessa per sempre. Si tratta di un terribile paradosso: proprio quando, grazie al progresso scientifico e tecnologico raggiunto fino ad ora, si potrebbe migliorare la vita per tutto il genere umano in ogni angolo del pianeta, la “casa comune” è in affanno perché sfruttata senza limiti, abusata senza alcun rispetto, contesa per l’ingordigia di pochi. Come ci ricorda Papa Francesco nell’esortazione apostolica “Laudate Deum” dello scorso ottobre, sulla crisi climatica, abbiamo tutti il dovere di «ripensare alla questione del potere umano, al suo significato e ai suoi limiti. Il nostro potere, infatti, è aumentato freneticamente in pochi decenni. Abbiamo compiuto progressi tecnologici impressionanti e sorprendenti, e non ci rendiamo conto che allo stesso tempo siamo diventati altamente pericolosi, capaci di mettere a repentaglio la vita di molti esseri e la nostra stessa sopravvivenza […]. Ci vuole lucidità e onestà per riconoscere in tempo che il nostro potere e il progresso che generiamo si stanno rivoltando contro noi stessi».

Peraltro, è sempre più stretta – anche se non avvertita da molti – l’intima connessione tra la crisi climatica e le guerre in corso. Oltre al dramma delle morti e dei feriti, della violenza sistematica sui civili; oltre alla distruzione fisica e morale di intere comunità, le guerre sono in grado di aumentare i danni sull’ambiente già provocati dall’uomo attraverso il suo modello di sviluppo. Si pensi, ad esempio, che riguardo alle emissioni di anidride carbonica – come ha rivelato un recente rapporto pubblicato dal quotidiano britannico “The Guardian” – nei soli due primi mesi di guerra a Gaza sono state generate più emissioni di gas serra di quelle prodotte da 20 dei Paesi più vulnerabili al cambiamento climatico.

Una ricerca condotta da alcuni analisti statunitensi e del Regno Unito, citata recentemente da The Nation (la più antica rivista statunitense fra quelle ancora edite),  ha stabilito che circa il 99% dell’anidride carbonica emessa nei primi 60 giorni dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre è attribuibile al bombardamento aereo israeliano e all’invasione terrestre di Gaza, mentre quasi la metà dell’emissione totale di CO2 della guerra proviene dagli aerei cargo statunitensi che trasportano forniture militari in Israele.

Non solo. Ad aumentare l’inquinamento è anche l’accresciuto attivismo delle industrie proprio a causa delle guerre in corso e non solo di quelle belliche. Le guerre arricchiscono proprio le industrie più inquinanti e rischiano di provocare dei cambiamenti di strategia sul piano degli investimenti in favore delle energie rinnovabili. In altre parole, le “emissioni militari” incidono in modo rilevante sul totale delle emissioni a livello globale.

Tutto ciò ci obbliga a considerare come strettamente interconnessi i temi ambientali con quelli legati alla pace, così da mettere sotto uno stesso ombrello i termini inglesi war and warming, guerra e riscaldamento. Rispetto a ciò, il magistero della Chiesa non cessa di ricordare come i temi dell’ecologia integrale siano da accogliere come un tutt’uno, in cui ricomprendere pace, giustizia e salvaguardia del creato, come ci ha ricordato anni fa Papa Francesco nella enciclica “Laudato si’”, richiamando alla mente quanto scritto a suo tempo da due suoi predecessori divenuti santi, vale a dire San Giovanni XXIII e San Paolo VI: «Otto anni dopo la Pacem in terris, nel 1971, il beato Papa Paolo VI si riferì alla problematica ecologica, presentandola come una crisi che è «una conseguenza drammatica» dell’attività incontrollata dell’essere umano: «Attraverso uno sfruttamento sconsiderato della natura, egli rischia di distruggerla e di essere a sua volta vittima di siffatta degradazione». Parlò anche alla FAO della possibilità, «sotto l’effetto di contraccolpi della civiltà industriale, di […] una vera catastrofe ecologica», sottolineando «l’urgenza e la necessità di un mutamento radicale nella condotta dell’umanità», perché «i progressi scientifici più straordinari, le prodezze tecniche più strabilianti, la crescita economica più prodigiosa, se non sono congiunte ad un autentico progresso sociale e morale, si rivolgono, in definitiva, contro l’uomo».

Raffaele Callia

SERVIZIO CIVILE UNIVERSALE: COMUNICAZIONE AI CANDIDATI DEL BANDO DEL 22 DICEMBRE 2023

Si comunica a tutti i candidati che lo scorso marzo hanno preso parte alle prove selettive del Bando di Servizio Civile Universale del 22 dicembre 2023 che la Caritas diocesana di Iglesias ha già provveduto a completare tutte le procedure richieste per la stesura delle graduatorie, restando in attesa di ricevere l’autorizzazione alla loro pubblicazione da parte di Caritas Italiana. Si pregano i candidati di consultare quotidianamente questo portale, ove – appena possibile – saranno rese note le graduatorie.

La Caritas di Iglesias al 44° Convegno nazionale delle Caritas diocesane

Anche la Caritas di Iglesias ha preso parte al 44° Convegno nazionale delle Caritas diocesane, tenutosi a Grado dall’8 all’11 aprile 2024, dal titolo “Confini, zone di contatto e non di separazione”. L’evento ha visto la partecipazione complessiva di 613 membri (di cui 138 giovani), tra direttori e componenti di équipe provenienti da 182 Caritas diocesane di tutta Italia. Dalla Sardegna hanno preso parte in tutto 34 partecipanti, provenienti da tutte e dieci le diocesi dell’Isola; 4 i partecipanti dalla Caritas diocesana di Iglesias. A seguire alcuni momenti raccontati dai partecipanti della diocesi di Iglesias.

 

 

 

I confini non-confini tra Italia e Slovenia, dai racconti dei giovani di Nova Gorica

di Ilaria Perduca

In una sua celebre canzone Francesca Michielin canta: “Nessun grado di separazione, nessun tipo di esitazione, non c’è più nessuna divisione fra di noi. Siamo una sola direzione in questo universo che si muove non c’è nessun grado di separazione”. Parole che sembrano fare da sottofondo al racconto di una “separazione”, di un confine che invece, esiste e che ha lavorato tanto per un sano equilibrio.

Di questa esperienza, di questo “grado di separazione” alcuni giovani hanno voluto condividere le storie nella chiesa del Cristo Redentore, concattedrale di Nova Gorica, con i convegnisti che nel pomeriggio del 10 aprile hanno oltrepassato anche i “confini” geografici posando piede in Slovenia.

La storia di Gorizia inizia nel 1947. In questo luogo si stabilì che il confine tra l’Italia e la neonata Jugoslavia si sarebbe delineato proprio lungo la città, separando il centro storico, rimasto in Italia, dalla stazione ferroviaria Transalpina e dalle zone di periferia, passati alla Jugoslavia. Per dividere i due paesi venne costruito “il muro di Gorizia”, probabilmente meno ricordato del muro di Berlino ma non per questo di meno impatto dal punto di vista del contesto storico. Per volere di Tito venne poi costruita una città in Jugoslavia, Nova Gorica. Le frontiere resteranno chiuse con una concessione che venne fatta nella storica giornata di domenica 13 agosto 1950, la cosiddetta “domenica delle scope”. In occasione dell’anno santo, infatti, Tito decise di concedere agli abitanti di Nova Gorica di incontrare i loro cari a Gorizia e fare acquisti personali, per poi tornare in giornata. Nova Gorica è in costruzione, mancano anche tanti beni di prima necessità. Mancano persino delle semplici scope di saggina, dalle quali questa famosa giornata prenderà il nome. Questa giornata rimarrà nella storia di questi due popoli che la geopolitica voleva separati.

Negli anni ci fu una graduale apertura territoriale che subì una vera svolta anzitutto nel 2004, quando la Slovenia entrò a far parte dell’Unione Europea, e poi nel 2007, quando aderì all’area Schengen. Per la prima volta il valico rimase senza controlli e la recinzione che separava a metà la piazza transalpina fu abbattuto.

La naturalezza dei racconti di vita usciti dai cuori di questi giovani testimoni e le vicende delle loro case che sorgono ad appena 50 metri dal confine, hanno spiazzato i convegnisti, forse più di qualsiasi relazione ascoltata fino a quel momento nei primi due giorni. Sono storie che attingono a un passato neanche tanto lontano: sono i ricordi dei nonni che parlano di abiti da sposa cuciti e indossati per essere recapitati oltre i posti di blocco; ricordi che arrivano al presente e che si intrecciano con le vicende di Alessandro (conosciuto anche come Sasha) e del suo impegno a voler parlare due lingue per poter comunicare con amici di lingua italiana e slava. A ricordarci che è possibile stabilire dei confini con gentilezza, perché avere dei buoni confini vuol dire riconoscersi per ciò che si è e riconoscere l’altro per ciò che è.

 

 

 

 

 

 

Diventare grandi nella piccolezza

di Emanuela Frau

Nell’ambito dell’assemblea tematica dal titolo “Nei margini la piccolezza evangelica”, suor Daniela Chiara, Piccola Sorella di Gesù, racconta la propria esperienza di vita, ricordando con affetto il fondatore della comunità, San Charles de Foucauld, il suo carisma, le opere e la figura femminile che gli stette accanto: Magdeleine Hutin. Magdeleine fu la prima Piccola Sorella, fondatrice della Fraternità nel 1939: ebbe una vita centrata su Gesù, vissuta a contatto con persone di fede musulmana e testimoniando l’amore di Dio per ogni essere umano. In una semplice quotidianità le Piccole Sorelle condividono le loro attività con i più fragili, dimostrando un amore preferenziale per i più piccoli; creando relazioni familiari e vivendo anche una vita contemplativa.

Grazie alla Fraternità, suor Daniela Chiara ha avuto profonde esperienze con i Sinti emiliani, con i Rom romeni nella città di Bari, per 15 anni in Niger con il popolo Tebu (a maggioranza musulmana), tutt’oggi a Torino con le donne vittime della tratta a San Salvario. Nella sua riflessione sul confine sottolinea che quando si parla di margine significa che esiste un centro da qualche parte, a cui è stato dato un peso, una certa importanza, a cui le cose sono attirate; mentre il margine, all’opposto, è ciò che apparentemente è privo di bellezza e di valore. Spesso sono proprio le persone che decidono ciò che è centrale o marginale nella loro vita.

Gesù ha scelto di mettersi ai margini; l’ha fatto con i lebbrosi, con i ciechi, con i reietti della società, spostando il centro; toccandoli Lui passa il confine e ci insegna quale strada percorrere per sconfinare nella nostra esistenza. Nell’accorgersi dell’umanità sofferente, inizialmente suor Daniela Chiara non voleva guardarla, non ci riusciva; ma rendendosi conto che stava relegando sé stessa ai margini, ha iniziato a spostare le persone più fragili e bisognose al centro, in mezzo al suo cuore, cambiando così la prospettiva e comprendendo che il fastidio iniziale si era ormai trasformato in compassione.

Per suor Daniela Chiara il margine non è solo questione di luogo ma è quel confine, quella soglia che permette o non permette un incontro con l’altro. Nelle loro comunità, sono riuscite a creare un legame alla pari, fare il lavoro che fa la gente del luogo che le ospita; non vivendo come sorelle maggiori ma come sorelle piccole, figlie di uno stesso Padre, quindi sorelle di Gesù e di tutti, esprimendo la stessa piccolezza presente nel Bambin Gesù.

 

 

 

 

 

 

 

Confini: luoghi di incontro e di convivenza delle differenze

di Aldo Maringiò

Il confine è spesso uno spazio di incontro, di avvicinamento; ma tante volte è anche spazio di scontro. Le stesse montagne che fanno da cornice ai luoghi del convegno sono state teatro di guerre e di violenza. Oggi, fortunatamente, sono diventate luoghi di riflessione, di incontro e dopo lunghi anni di pacificazione dai quali trarre degli insegnamenti. Tutto ciò ci deve far meditare su cosa succede quando arriva da noi qualcuno che non conosciamo: come ci posizioniamo nei suoi confronti, quali sono le strategie che attuiamo per “segnare” il nostro confine. Molto spesso dell’altro non conosciamo niente, specie se viene da un altro Paese o persino da un altro continente.

Nell’ambito dell’area tematica “Confini: luoghi di incontro e di convivenza delle differenze”, il professor Giovanni Grandi, docente di filosofia morale, ci ha fatto riflettere sui confini sotto l’aspetto sociale ed etico. Siamo stati guidati a capire quanto le idee, i gesti, i comportamenti possono creare dei conflitti, e generare così dei confini; quanto siamo disposti a “perdere qualcosa di noi” per poter vivere in armonia con il diverso mantenendo il confine proprio di ciascuno e allo stesso tempo divenendo arricchimento esperienziale.

Il prof. Grandi ci ha aiutato a confrontarci con la molteplicità dei confini con i quali tutti i giorni siamo chiamati a  confrontarci. È la paura dell’altro, dello sconosciuto, dell’inedito che ci spinge naturalmente a tracciare dei confini anzitutto interiori prim’ancora che esteriori. I confini possono segnare non solo una fine ma anche un nuovo inizio. Nei luoghi in cui il convegno si è svolto tanti migranti, dopo aver attraversato la rotta balcanica ed aver affrontato tante difficoltà, privazioni, umiliazioni, transitano per raggiungere il cuore di quell’Europa in cui sperano di costruire un futuro migliore, ricongiungersi con i familiari già residenti o in cerca di una vita senza guerre, ricatti, persecuzioni politiche, fame e quant’altro possa umiliare un essere umano.

Quanto la comunicazione può aiutare ad abbattere i confini o può invece contribuire a crearne di più impermeabili fino a generare conflitto? La risposta è che la comunicazione, ogni forma di comunicazione, può avvicinare o allontanare di più l’altro. E per noi operatori Caritas questo è importante soprattutto nella fase di ascolto di chi viene nelle nostre opere segno e in particolare nei Centri di ascolto a chiedere aiuto. L’altro quindi deve diventare un’occasione di incontro, di convivenza e non di divisione.

 

 

 

 

 

 

 

Chiesa di minoranza, in cammino, capace di sconfinare

di Raffaele Callia

Il mese scorso la guerra in Siria ha compiuto 13 anni, senza far intravedere una soluzione e dopo aver lasciato morti e distruzione alle spalle, recentemente accresciuti anche a causa di un terremoto che ha coinvolto, oltre alla Siria, anche la Turchia. Ai lavori del 44° Convegno nazionale delle Caritas diocesane ha preso parte anche il cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco, capitale della Siria. In questo Paese, dove gli Atti degli apostoli ci ricordano che per la prima volta i fedeli di Gesù Cristo si chiamarono cristiani, a causa della guerra proprio i cristiani sono passati da circa 2 milioni a circa 500 mila. Nella sola Aleppo, in particolare, si è passati da circa 150.000 cristiani a meno di 30.000. Un calo dovuto alla guerra e al fatto che le minoranze cristiane sono l’anello debole in un contesto a prevalenza musulmana.

Le cifre di morte e distruzione ricordate dal cardinal Zenari sono quelle di un conflitto che ha portato via la vita a 29.000 minori. Solo nel 2023 sono morte più di 4.000 persone, di cui oltre 300 sono bambini (1.889 in tutto i civili). Coinvolgendo eserciti, milizie e jihadisti stranieri, ad oggi il conflitto ha ucciso più di 500.000 persone dall’inizio della guerra. Sono circa 12 milioni le persone in fuga (di cui 8 milioni di sfollati, ovverosia di quanti sono rimasti all’interno dei confini del Paese). Sono 100.000 le persone scomparse, di cui 5 ecclesiastici (è nota la vicenda del gesuita Paolo Dall’Oglio).

Il dramma siriano ci ricorda il dramma della più grave catastrofe umanitaria della storia recente. Un conflitto che ha messo sul lastrico il 90% della popolazione: 16 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria e la soluzione politica non è ancora in vista. La Siria è dimenticata: le notizie non ci sono più anche a causa della guerra in Ucraina e a Gaza.  Va anche ricordato che in Siria operano, in vario modo, le forze armate di 5 Paesi stranieri (Russia, Usa, Turchia, Iran e Israele). Un terzo della geografia della Siria non è sotto controllo siriano. Ancora oggi, secondo l’ONU, partono circa 500 persone ogni giorno, fra cui giovani, medici, neolaureati, ecc. Attualmente, due terzi del personale medico e infermieristico è già emigrato, mentre metà degli ospedali sono già stati distrutti o resi inagibili. Si tratta di un dramma sociale e di futuro all’interno del dramma più generale che si consuma da 13 anni.

In tutto questo, la presenza della Chiesa (una presenza di minoranza) rappresenta un importante segnale di speranza operosa, soprattutto in un momento in cui i riflettori dei media sulla Siria sembrerebbero essersi spenti. Anche la Chiesa italiana ha deciso di restare accanto alla popolazione siriana, condividendo gioie e speranze, tristezze e coraggio. Una Chiesa in ascolto di Dio e umilmente impegnata nel servizio.

Il messaggio pasquale dell’Amministratore apostolico Cardinale Arrigo Miglio alla comunità diocesana

Cosa può significare l’augurio di Buona Pasqua? Pochi giorni fa il Papa si è rivolto ad una città della Spagna, Mérida, ricca di celebrazioni e di riti pasquali quasi come la nostra terra, augurando a tutti di passare dai riti all’Evento. Mi sembrano parole importanti anche per noi.
Siamo fieri e orgogliosi della nostra tradizione di riti che ci avvolgono per tutta la Settimana Santa fino alla domenica di Pasqua e ancora al martedì seguente. Hanno avuto ed hanno una funzione decisamente importante, collocando la Pasqua al centro dell’anno, aiutandoci ad immergerci nei Misteri e nel Mistero. Questi riti hanno finora evitato che la Pasqua diventasse, come invece è per altre regioni del nostro paese, solo un fine settimana speciale e l’occasione per le prime scampagnate fuori porta. No, qui la Pasqua è un’altra cosa.

E allora il primo augurio è quello di passare dai riti all’Evento. Ma subito sentiamo bisogno di chiarirci: quale Evento? Un Evento passato? Se parliamo della crocifissione e della morte di Gesù si tratta certamente di un evento passato: Cristo è morto una volta sola per tutti, ci ammonisce S. Paolo, ed ora è risorto e non muore più (cfr Rm.6,9-10).

Domanda:
anche la Resurrezione è un evento che appartiene al passato?
Quest’anno leggiamo in modo particolare il Vangelo di Marco che, nella sua pagina conclusiva originale, c.16,1-8 (i vv.9-20 sono una aggiunta posteriore, pur sempre accolta nel Canone), ci presenta una scena strana: le Donne vanno al Sepolcro, la tomba è aperta e vuota, l’angelo le invita a tornare dai discepoli e a recarsi in Galilea, dove incontreranno il Signore risorto. Esse allora partono, ma sono piene di paura e non dicono nulla a nessuno.

Dalla tomba vuota alla strada
, per andare verso un Incontro. Così sulla strada avvengono i diversi incontri col Signore Risorto e Gesù stesso la sera di Pasqua penetra nel Cenacolo, dove sonno asserragliati i discepoli, per donare lo Spirito Santo e rimetterli in strada e ritrovarli in Galilea. La Resurrezione di Gesù per ciascuno di loro diventa un Evento che sta davanti, non alle spalle, un Evento verso cui camminare, l’incontro con una presenza vera e reale (non sono un fantasma, ripete Gesù). Proprio come ci tramanda la processione del mattino di Pasqua: S’Incontru! I vangeli ci narrano alcuni incontri del Risorto con le donne e i discepoli, non con Maria la Madre, come invece avviene per le nostre processioni. Mi pare una intuizione fortissima: Maria è la Madre di tutti noi, donataci dalla Croce, ci rappresenta tutti e, finché non avremo incontrato tutti il Risorto, il Suo Incontro con Lui in qualche modo prosegue sulla strada della Storia.

Ecco allora il vero augurio
: che tutti possiamo incontrarlo, Gesù vivo e Risorto, sulla strada di Emmaus o sul monte della Galilea o sulla riva del Lago o nel chiuso della stanza dove ci siamo rintanati. Incontrarlo non una volta sola ma lungo tutto il nostro cammino, non quando decidiamo noi ma quando Lui ci viene incontro, anche se magari non subito lo riconosciamo. È l’augurio di una Pasqua viva, Pasqua del presente e del futuro, un cammino in crescendo verso la pienezza della resurrezione e della vita nuova con Lui.  Buona Pasqua!

Card. Arrigo Miglio

L’Istat pubblica le stime della povertà assoluta in Italia nel 2023

Il 25 marzo scorso l’Istituto nazionale di statistica ha reso note le stime preliminari relative alle spese per consumi delle famiglie con riferimento al 2023, prendendo in esame la serie storica della spesa media mensile delle famiglie del periodo 2014-2023, ricostruita secondo la nuova classificazione internazionale dei consumi individuali secondo lo scopo (COICOP) introdotta lo scorso anno.

Tali dati rappresentano per l’ISTAT una base informativa molto importante per la costruzione degli indicatori della povertà assoluta. Sulla base di tali stime, infatti, sono considerate in condizione di povertà assoluta le famiglie che effettuano una spesa mensile inferiore o pari a una soglia minima corrispondente all’acquisto di un paniere di beni e servizi reputato essenziale a garantire uno standard di vita minimamente accettabile e a evitare forme di esclusione sociale severe.

Ebbene, dalle stime preliminari pubblicate il 25 marzo scorso risulta che la povertà assoluta in Italia è rimasta sostanzialmente stabile. Infatti, tra il 2022 e il 2023 le famiglie italiane in povertà assoluta si attestano all’8,5% del totale delle famiglie residenti (pari a oltre 2.234.000 famiglie; erano l’8,3% nel 2022), corrispondenti a circa 5.752.000 individui (il 9,8% della popolazione italiana; una quota rimasta stabile rispetto al 9,7% del 2022).

Tra il 2022 e il 2023 la spesa media delle famiglie italiane è cresciuta da 2.519,00 a 2.728,00 euro mensili, con un aumento in valori correnti dell’8,3%. Tuttavia, al netto dell’inflazione la spesa media del 2023 è diminuita in termini reali del 10,5% rispetto al 2014. Peraltro, i dati del periodo 2014-2023 mostrano una sostanziale stabilità in valori correnti fino al 2017, quando si è registrato un aumento statisticamente significativo della spesa rispetto al 2016 (+1,5%). Nel biennio successivo la spesa media non ha evidenziato mutamenti significativi, anche a causa degli interventi di redistribuzione a sostegno del potere di acquisto delle famiglie, come l’introduzione del Reddito di Inclusione (2018) e del Reddito e della Pensione di Cittadinanza (2019). Nel 2020, invece, con l’avvento della pandemia la spesa si è contratta fortemente (-9,7%). Nel 2021, il rilancio dell’attività economica ha potuto avvantaggiarsi anche della ripresa della spesa delle famiglie, proseguita anche nel corso del 2022 (+8,7%), seppure in un contesto di sostanziale rallentamento causato principalmente dalla significativa crescita dell’inflazione, rispetto a cui le famiglie italiane hanno dovuto ridurre la propria capacità di risparmio: nei primi tre trimestri del 2023, infatti, il tasso ri risparmio lordo delle famiglie è sceso al 6,6%; un livello – come segnala l’ISTAT – «molto al di sotto dei valori pre-pandemia, segnalando che le famiglie, per far fronte al forte incremento dei prezzi, hanno diminuito la propria capacità di risparmio».

L’andamento dei prezzi nel 2023 ha ulteriormente indebolito la posizione delle famiglie più disagiate, in particolare del Mezzogiorno d’Italia, dove l’incidenza della povertà assoluta familiare ha raggiunto il valore più elevato (10,3%), coinvolgendo circa 866.000 famiglie. Ad essere colpite sono in particolare le famiglie numerose (quelle con cinque e più componenti) e con minori.

Proprio nel caso dei minori, l’incidenza della povertà assoluta familiare nel 2023 ha raggiunto il 12,0%, mentre quella individuale è salita al 14,0% (il valore più alto della serie storica dal 2014). Nel 2023 il numero dei minori stimati che appartengono a famiglie in povertà assoluta è pari a circa 1.300.000. La fascia di popolazione che registra il minor disagio economico è invece quella che va dai 65 anni in su (una quota pari al 6,2%).

Com’è facile immaginare, l’incidenza della povertà assoluta risulta elevata per le famiglie con persona di riferimento in cerca di occupazione (raggiungendo il 20,6%). Infine, appare assai elevata – anche se stabile nell’ultimo anno – l’incidenza della povertà assoluta per le famiglie composte da soli stranieri (35,6%): un dato che mette in evidenza il divario esistente rispetto all’incidenza della povertà assoluta nel caso di famiglie composte da soli italiani (6,4%).

Raffaele Callia

“Cercando la libertà nei deserti esistenziali”: è online la newsletter delle Caritas sarde dedicata alla Quaresima/Pasqua 2024

È online l’ottavo numero della newsletter delle Caritas diocesane della Sardegna IMPEGNO CARITAS dedicato alla Quaresima/Pasqua 2024. Il titolo “Cercando la libertà nei deserti esistenziali” richiama il senso profondo della pubblicazione. «(…) Raccontare è far emergere una persona ritrovata, un mistero visitato, una storia di salvezza – scrive mons. Antonello Mura, Presidente della Conferenza Episcopale Sarda e delegato per la Caritas e Migrantes, nella sua introduzione -. Se ognuno di noi scoprisse quale deserto è chiamato ad attraversare, e quale traguardo è invitato a raggiungere, allora sarebbe consapevole che sempre, all’inizio della sua storia, c’era una schiavitù, ma che alla fine, dopo tanto deserto, si fa esperienza della libertà, desiderata nel tempo della prova e poi conquistata nella gioia».

Le nostre Caritas «sanno raccontare – continua il vescovo delegato – perché conoscono il passaggio che tante persone hanno fatto dalla schiavitù alla libertà. E lo raccontano, perché le hanno accompagnate a riscoprire la bellezza di essere, semplicemente e autenticamente, uomini e donne, mai perdute del tutto, perché hanno conosciuto la strada per ritrovarsi. “Attraverso il deserto Dio ci guida alla libertà”, dice papa Francesco. Abbiamo intercettato tante storie diverse e abbiamo capito che nessuno, proprio nessuno, è esentato dalla gioia della libertà, ma neanche dalla prova del deserto. La Chiesa conosce i deserti interiori e quelli sociali che molti sono costretti ad affrontare e a superare. Conosce la tenerezza dell’accompagnamento e lo stile di chi sa stare accanto a coloro che fanno esperienza di solitudine e di abbandono. In questo modo, la stessa Chiesa, attraverso i gesti di carità si autorigenera continuamente, riscoprendosi in missione a nome del vangelo (…)».
All’interno della pubblicazione, dieci storie raccontate dalle dieci Caritas diocesane dell’Isola, storie da leggere «con l’occhio di chi si sarebbe potuto trovare “dall’altra parte” – dice il delegato regionale Caritas don Marco Statzu – , in modo da comprendere cosa significa astenersi dal giudizio. Storie di persone che hanno ricevuto un dono, che sono state liberate e a propria volta diventano liberanti per altri. Storie da leggere per capire che è possibile convertirsi, è possibile cambiare, è possibile percorrere una strada di libertà e accogliere una vita nuova».

La newsletter intende essere uno strumento di animazione alla testimonianza della carità in questo importante momento liturgico; destinatarie privilegiate, le Caritas parrocchiali, ma anche tutte le altre realtà ecclesiali e non, impegnate nel servizio ai più fragili.

La newsletter è disponibile cliccando qui, dove potrà essere scaricata in formato pdf.

La “strage degli affamati” e il ricordo di Auschwitz

Foto tratta da Unsplash

“Voi che vivete sicuri/nelle vostre tiepide case,/voi che trovate tornando a sera/il cibo caldo e visi amici:/Considerate se questo è un uomo/che lavora nel fango/che non conosce pace/che lotta per mezzo pane/che muore per un sì o per un no.”

È il celeberrimo incipit di un testo breve, in versi liberi, dal titolo Shemà (che in ebraico significa “ascolta”), che apre lo struggente volume di Primo Levi Se questo è un uomo, opera in cui l’autore racconta, da sopravvissuto all’olocausto, la propria drammatica esperienza di discesa agli inferi di Monowitz e di Auschwitz.

Mi sono tornate in mente queste parole quando giovedì 29 febbraio si è saputo di un nuovo dramma che nel dramma più ampio della guerra a Gaza ha visto coinvolti innocenti palestinesi schiacciati tra terra e mare, tra le armi dell’esercito israeliano e il fanatismo di Hamas, tra la fame, le malattie, la precarietà igienica e la disperazione che impedisce di immaginare un futuro diverso dalla morte e dalla sofferenza.

Il nuovo dramma, in un dramma che ha già provocato la morte di oltre 30.000 persone in circa 5 mesi  di guerra a Gaza, forse passerà alla storia come la “strage degli affamati”: la morte di oltre 100 persone fra la folla accalcatasi ad al-Rashid Street (a sud di Gaza City) per prendere gli aiuti umanitari portati dai tir. La scena è stata ripresa dai droni israeliani ed è stata trasmessa dai media internazionali; una scena quasi surreale – se non fosse drammaticamente vera – che ha fatto sembrare quei disperati come tante formiche disorientate attorno a un pezzo di pane, da accaparrarsi ad ogni costo e con il solo obiettivo di sopravvivere.

Ancora è presto per stabilire come siano andati effettivamente i fatti, anche se diversi leader politici mondiali e le stesse Nazioni Unite hanno espresso profonda disapprovazione chiedendo al più presto chiarezza sulle responsabilità. Di sicuro si sa che da sempre la disperazione e la lotta per la sopravvivenza generano caos e disordine. Così come vivere in una eterna condizione di tensione e di minaccia senza soluzione di continuità rende iper-reattivi ad ogni sollecitazione che provenga dall’esterno. Sono certamente questi gli ingredienti diabolici che hanno provocato l’ennesimo dramma nel più ampio dramma di Gaza. Una strage assurda e inconcepibile, com’è ogni strage provocata dalla guerra.

La cosiddetta “strage degli affamati”, inoltre, ha prodotto un altro esito indesiderato che si aggiunge alla morte e al ferimento di tanti innocenti: la sospensione immediata dell’ipotesi di tregua che faticosamente si stava costruendo tra Hamas e Israele fino a poche ore prima della tragedia di fine febbraio. Tutto ciò mentre la situazione umanitaria a Gaza sta divenendo ogni giorno sempre più drammatica, con scene quasi apocalittiche: un quarto della popolazione è in stato di inedia; un bambino su sei, al di sotto dei due anni, soffre di malnutrizione acuta (mentre 12.500 sono già morti a causa della guerra); folle di disperati affamati bloccano le strade e le spiagge, dove provano ad arrivare gli aiuti. Sono diventate virali le immagini che ritraggono migliaia di civili palestinesi radunatisi  sulla spiaggia per tentare di raccogliere gli aiuti paracadutati da aerei giordani e che per errore sono caduti in mare: una moltitudine di disperati che, con imbarcazioni di fortuna o a nuoto, cercano di recuperare quella fonte di sopravvivenza, difendendola con bastoni e con la forza da altri disperati che lottano per la stessa ragione. Hanno fatto il giro del web anche le immagini di pagnotte impastate con la poca farina disponibile, l’erba secca e il mangime per animali; pagnotte impastate di disperazione e di lacrime che non riusciranno a sfamare tutta quella gente.

Noi che viviamo sicuri nelle tiepide case, noi che troviamo tornando a sera il cibo caldo e visi amici, consideriamo con onestà di coscienza e di intelletto se questo è davvero un uomo.

Raffaele Callia

AVVISO CONVOCAZIONE PROCEDURE SELETTIVE – Servizio Civile Universale (bando 2023)

La presente comunicazione equivale a convocazione ufficiale alle procedure selettive per i candidati che hanno presentato regolarmente la domanda per il bando di Servizio Civile Universale del 22 dicembre 2023.

Ogni candidato è tenuto, a pena di esclusione, alla presenza a tutti e due gli appuntamenti, salvo i casi di assenza per giustificato motivo. Le procedure selettive si svolgeranno conformemente al “sistema di reclutamento e selezione” accreditato.

La prima fase della selezione consiste in un corso informativo con dinamiche di gruppo e questionario di valutazione. Le selezioni proseguiranno con la seconda fase, consistente in un colloquio individuale.

Tutti i dettagli con l’elenco degli ammessi alle procedure selettive sono disponibili nei seguenti file allegati:

Convocazione selezioni SCU Bando 2023. Primo elenco
Convocazione selezioni SCU Bando 2023. Secondo elenco

Il rispetto del diritto internazionale per favorire la pace

Il conflitto tra Hamas e Israele, innescato il 7 ottobre dall’attacco terroristico alla popolazione israeliana al confine con la striscia di Gaza, ha raggiunto proporzioni catastrofiche, con il rischio di un allargamento ingovernabile verso altri scenari, fra cui i territori della West Bank (Cisgiordania), il Libano, la Siria, l’Iran, l’Iraq e il Golfo di Aden. Dall’ottobre scorso sono oltre 27.000 le vittime tra i palestinesi (di cui il 70% è costituito da donne e bambini), mentre tra gli israeliani sono più di 1.200. I feriti sono decine di migliaia, mentre gli sfollati palestinesi sono quasi 2 milioni (una cifra pari a circa il 90% della popolazione di Gaza), costretti a vivere in condizioni umanitarie estremamente precarie.

Va ricordato che il conflitto in atto da ottobre scorso è solo l’ultimo episodio in ordine di tempo di una lunga catena di violenza che da decenni insanguina il Medio Oriente. Una scia di sangue che affonda le proprie radici alla fine del XIX secolo nella nascita del sionismo da un lato e del nazionalismo palestinese dall’altro (vale a dire in un periodo storico in cui oltre il 90% delle persone che vivevano nella Palestina ottomana era araba) e che ha la sua fase principale a partire dalla guerra del 1948, anno in cui fu proclamata la nascita dello Stato d’Israele, cui farà seguito una serie di conflitti più o meno intensi (fra cui la guerra di Suez del 1956, la guerra dei sei giorni del 1967 e la guerra del Kippur del 1973).

Due anni prima della nascita dello Stato d’Israele, il teologo e filosofo austriaco (poi naturalizzato israeliano) Martin Buber si oppose al tentativo del movimento sionista di dar vita a una realtà statuale ebraica, consapevole che tutto ciò avrebbe portato a uno scontro sanguinoso tra ebrei e arabi presenti in Palestina. Egli, infatti, insieme ad altri intellettuali di un vasto movimento per la pace, riteneva che l’unica strada da percorrere fosse quella di dar vita a un unico Stato binazionale, in cui far convivere ebrei e arabi. In altri termini, l’indipendenza di una parte non doveva essere guadagnata a discapito dell’indipendenza dell’altra.

Negli ultimi decenni, di pari passo con una politica di occupazione progressiva da parte israeliana dei territori palestinesi, la comunità internazionale si è orientata per lo più verso  la creazione di due Stati indipendenti, uno israeliano e l’altro palestinese, sebbene sia del tutto evidente la prospettiva decrescente di tale possibilità. Di fatto, l’occupazione dei coloni israeliani, dopo molti decenni, è divenuta una situazione permanente difficilmente reversibile. Di fronte a ciò, non sono pochi fra gli stessi israeliani coloro i quali considerano tale occupazione come un vero e proprio regime.

D’altra parte, chi ha avuto la possibilità di viaggiare nei territori della Cisgiordania occupati dai coloni israeliani, ha avuto modo di vedere con i propri occhi la frequente negazione dei diritti politici e civili a discapito di oltre 2 milioni e mezzo di persone. Vessazione, umiliazione e annessione sono divenute le parole d’ordine di una strategia progressiva in aperta violazione del diritto internazionale e di innumerevoli risoluzioni delle Nazioni Unite sistematicamente disattese. Ad un’estensione territoriale della sovranità israeliana sui territori della Cisgiordania e di Gerusalemme Est non ha corrisposto un’estensione dei diritti di cittadinanza dei palestinesi che vi abitano, creando le basi per un sistema istituzionale di disuguaglianza tra israeliani e palestinesi. In questo modo se anche non ci sarà una completa annessione da parte di Israele si creeranno comunque delle aree amministrative isolate in una condizione permanente di tensione e violenza; come di fatto sta già avvenendo.

Sono quasi 700.000 i coloni ebrei che vivono in Cisgiordania e a Gerusalemme Est e molti altri vivono sia negli insediamenti situati vicino alla cosiddetta Linea Verde (quella tracciata in occasione dell’armistizio del 1949) sia in altre zone della Palestina (compreso Gaza), rendendo praticamente impossibile la creazione di uno Stato palestinese geograficamente compatto e unitario.

Di fronte a tale realtà, difficilmente reversibile, molti analisti ritengono che se anche gli israeliani non annettessero formalmente la Cisgiordania, questa sia già oggi funzionalmente parte di Israele. Il che significa allontanare definitivamente dall’orizzonte politico il paradigma guida che dal 1937 (vale a dire dall’epoca della Commissione Peel) ha orientato l’obiettivo di una soluzione a due Stati per risolvere il conflitto israelo-palestinese. In altri termini, per tali analisti una separazione tra israeliani e palestinesi è oramai impossibile, mentre resterebbe da seguire la strada o di una Confederazione o di uno stato democratico binazionale.

In questa prospettiva si staglierebbe all’orizzonte un cammino per nulla lineare, pieno di tornanti e certamente accidentato. Tuttavia, si tratterebbe dell’unico sentiero (di “insocievole socievolezza” direbbe Kant) realisticamente percorribile per garantire la sopravvivenza pacifica degli israeliani e dei palestinesi, attraverso cui garantire diritti di piena cittadinanza degli uni e degli altri, oltre che il rispetto del più basilare diritto umano oggi ampiamente violato.

Con la diplomazia e l’arte della mediazione tutto rientra nel novero del possibile. In questa prospettiva il rispetto del diritto internazionale rappresenta una delle condizioni essenziali per costruire le opportunità propizie e favorire la pace. Finché le armi non taceranno nulla di tutto ciò sarà possibile.

Raffaele Callia