Le ferite mai chiuse della Terra Santa

“Seguo con grandissima preoccupazione quello che sta avvenendo in Terra Santa. In questi giorni, violenti scontri armati tra la Striscia di Gaza e Israele hanno preso il sopravvento, e rischiano di degenerare in una spirale di morte e distruzione. Numerose persone sono rimaste ferite, e tanti innocenti sono morti. Tra di loro ci sono anche i bambini, e questo è terribile e inaccettabile. La loro morte è segno che non si vuole costruire il futuro, ma lo si vuole distruggere. Inoltre, il crescendo di odio e di violenza che sta coinvolgendo varie città in Israele è una ferita grave alla fraternità e alla convivenza pacifica tra i cittadini, che sarà difficile da rimarginare se non ci si apre subito al dialogo”. Con queste parole, pronunciate dopo il Regina Coeli di domenica 16 maggio, Papa Francesco ricorda le nuove violenze esplose nella Terra Santa: le ultime di una lunga serie, in un territorio che sembra non poter conoscere un destino diverso.

A riaccendere le polveri, questa volta, sono stati anzitutto gli scontri esplosi a Gerusalemme durante il Ramadan, a seguito del dispiegamento di militari israeliani lungo la Spianata delle Moschee (dove diversi fedeli si sono rifiutati di rispettare delle nuove regole sulla sicurezza, giudicate umilianti) e nel quartiere storico di Sheikh Jarrah, dove le autorità israeliane hanno espropriato una trentina di famiglie palestinesi, proseguendo la politica di colonizzazione coatta con cui da decenni si sta garantendo la progressiva spoliazione del popolo palestinese.

A prevalere, ancora una volta, è la logica della violenza che suscita altra violenza, così come purtroppo accade in Terra Santa da diversi decenni; in un momento politico di estrema fragilità per entrambe le parti (israeliana e palestinese), con gli affanni del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che non ha i numeri per costituire un nuovo governo nonostante tre elezioni nell’arco di poco tempo, e la leadership in forte declino di Abu Mazen quale presidente dell’Autorità nazionale palestinese. Una logica della violenza che si amplifica a dismisura, come sempre accade, in una situazione di vuoto di potere interno e di sostanziale indifferenza da parte della comunità internazionale. Ecco perché da Gerusalemme il conflitto si è esteso in altre zone, spostandosi in particolare nella Striscia di Gaza e lungo i confini con i territori dello Stato israeliano.

Proprio a Gaza, un territorio tra i più densamente popolati al mondo, con i suoi 378 chilometri quadrati e una popolazione di oltre 2 milioni di persone per lo più in condizioni di precarietà socio-economica e sanitaria e sottoposte a un rigido embargo da parte di Israele, si stanno verificando pesanti bombardamenti in risposta al lancio di missili da parte di Hamas. Violenza – appunto – che suscita altra violenza, con il risultato che a pagare il prezzo più alto è come sempre la popolazione civile. Distruzione, morte, odio e vendetta sembrano le uniche parole in grado di connotare la coabitazione di diverse espressioni culturali e religiose in quel territorio così importante, il quale dovrebbe poter avere un destino diverso da quello a cui si sta assistendo.

Purtroppo, come ha scritto la stampa più attenta alle vicende mediorientali, a parte i rituali appelli al dialogo e al cessate il fuoco, per la crisi attuale non si è attivata in tempi rapidi una mobilitazione diplomatica al fine di rilanciare il processo di pace israelo-palestinese. Lo stesso Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha faticato non poco nel produrre una dichiarazione comune, giudicata da molti assai tiepida. A ben vedere, la via diplomatica rimane sempre la via maestra; in realtà l’unica per evitare non solo altro spargimento di sangue ma anche che il conflitto degeneri e si estenda geograficamente, tenuto conto dei vincoli e degli interessi internazionali in gioco. Sono troppe le risoluzioni dell’Onu rimaste lettera morta e sono troppe le responsabilità internazionali ignorate.

Da parte sua, Caritas Italiana rimane sempre in contatto con Caritas Jerusalem, con cui collabora da anni con interventi sanitari nella Striscia di Gaza, gemellaggi e altro, garantendo il proprio sostegno in favore degli aiuti umanitari e dell’assistenza di base. A ricordare la significativa presenza dei cristiani in quella Terra, spesso trascurata e invece così importante nei processi di mediazione tra le parti in conflitto. Una presenza, come ha ricordato in un recente appello il Patriarca latino di Gerusalemme, Mons. Pierbattista Pizzaballa, capace di essere voce profetica di fronte alle gravi ingiustizie e alla violenza di questi giorni: “Lo sgombero forzato dei palestinesi dalle loro case a Sheikh Jarrah – scrive Mons. Pizzaballa – è anche una violazione inaccettabile dei diritti umani più fondamentali, il diritto alla casa. È una questione di giustizia per gli abitanti della città vivere, pregare e lavorare, ognuno secondo la propria dignità; una dignità conferita all’umanità da Dio stesso. In merito alla situazione a Sheik Jarrah – prosegue il Patriarca –, facciamo eco alle parole dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani che ha detto che lo stato di diritto è “applicato in modo intrinsecamente discriminatorio”. Questo è diventato un punto di forza principale tra le crescenti tensioni a Gerusalemme. La questione oggi non è un problema di controversia immobiliare tra parti private. È piuttosto un tentativo guidato da un’ideologia estremista che nega il diritto di esistenza di una persona nella propria casa”.

È dunque urgente che si ritorni a parlare attraverso la lingua della diplomazia, con una mediazione onesta e disinteressata, che sappia far tacere al più presto le armi e richiamare tutte le parti in causa alle proprie responsabilità giuridiche internazionali.

Raffaele Callia

50 anni di Caritas in Italia e in Sardegna

Il 2 luglio 2021 le Caritas che sono in Italia celebreranno il loro cinquantesimo anniversario. Infatti, è con il decreto n. 1727/71 del 2 luglio 1971 che la Conferenza Episcopale Italiana approvò il primo statuto della Caritas Italiana, quale organismo pastorale costituito “al fine di promuovere, anche in collaborazione con altri organismi, la testimonianza della carità della comunità ecclesiale italiana, in forme consone ai tempi e ai bisogni, in vista dello sviluppo integrale dell’uomo, della giustizia sociale e della pace, con particolare attenzione agli ultimi e con prevalente funzione pedagogica” (articolo 1).

La nascita della Caritas in Italia avvenne dopo che, un anno prima, San Paolo VI sciolse la Pontificia Opera Assistenza (POA), a suo tempo istituita da Papa Pio XII (il 15 giugno 1953) per favorire gli interventi umanitari della Santa Sede. La Caritas, raccogliendone il testimone, fu promossa sulla spinta del Concilio Vaticano II e con il precipuo compito di animare tutta la comunità a una testimonianza della carità, con una prevalente prospettiva di tipo educativo. In questi cinquant’anni non sono certo mancati gli interventi concreti di tipo assistenziale (in Italia come all’estero) ma è altrettanto vero che non è venuto meno, anzi è cresciuto progressivamente, l’impegno della Caritas nei confronti della promozione della carità a livello comunitario, con un’azione incisiva nel coinvolgere la società civile e le istituzioni, anche attraverso l’osservazione rigorosa delle cause della povertà e nella definizione di precise linee di azione in ambito legislativo.

L’ampio cammino percorso dalla Caritas in Italia abbraccia naturalmente il percorso specifico delle Caritas in Sardegna, in una regione in cui non è mai mancata la testimonianza ecclesiale della carità, come ricordano gli stessi Atti del Concilio plenario sardo: “in Sardegna, lungo i secoli, la Chiesa ha espresso mirabili esempi di uomini e donne che hanno manifestato il volto amoroso di Dio attraverso opere di servizio ai poveri. In particolare gli ultimi due secoli hanno visto sorgere nell’Isola diverse di queste opere, specialmente per iniziativa di fondatori e fondatrici di istituti religiosi, che hanno tessuto una rete di servizi, i quali, ancora oggi, offrono risposte significative ai molteplici bisogni della popolazione e danno testimonianza dell’amore preferenziale di Dio per i poveri” (cfr. CES, La Chiesa di Dio in Sardegna all’inizio del terzo millennio. Atti del Concilio Plenario Sardo, 2000-2001).

Tratteggiare i cinquant’anni dell’esperienza delle Caritas in Sardegna, anche per sommi capi, significa inevitabilmente intercettare le diverse tappe del cammino ecclesiale di quel periodo. Nelle comunità ecclesiali della Sardegna, come peraltro nel resto delle diocesi italiane, negli anni Settanta lo sforzo che si fece fu anzitutto quello di una progressiva conversione da una prassi di tipo squisitamente assistenziale (potremmo dire di prossimità nell’emergenza) ad un modello di tipo prevalentemente promozionale (ancor meglio di promozione umana integrale), con un’attenzione sempre più crescente nei confronti della “prevalente funzione pedagogica”, finalizzata ad animare tutta la comunità (e non solo parti di essa) in ordine alla testimonianza della carità.

Nascono sotto questo impulso, anche nelle diocesi sarde, le Caritas diocesane presiedute dai rispettivi vescovi e la cui direzione viene affidata anzitutto a sacerdoti che, per ovvie ragioni, avevano in precedenza diretto e seguito in prima persona il servizio presso le Opere di assistenza diocesane. A loro si devono i primi passi nella transizione alla nuova proposta pastorale della carità, dopo lo scioglimento della POA. Furono loro a promuovere le prime azioni che hanno visto alcune raccolte in denaro e in beni, soprattutto in occasione di alcune calamità, fra cui il terremoto in Campania, e il coinvolgimento di giovani volontari in azioni concrete legate alle stesse emergenze. Si tratta di premesse importanti che favoriranno la nascita e la crescita di un volontariato ecclesiale maturo e consapevole, che si arricchirà negli anni successivi della significativa esperienza dei primi obiettori di coscienza in servizio civile sostitutivo a quello militare.

Anche a livello regionale nascono così i primi coordinamenti e si gettano le basi per un lavoro che, assunto istituzionalmente dalla Delegazione regionale Caritas, permetterà di affiancare sul versante della carità il servizio della Conferenza Episcopale Sarda.

Di pari passo con le sfide assunte a livello generale, la Caritas anche in Sardegna si pone in sintonia con l’evoluzione culturale e normativa dell’Isola. In questo senso si spiega il contributo dato nella interlocuzione all’interno della Chiesa, della società e nel dialogo con le istituzioni politiche. In questa prospettiva si pone il costante contributo dato anche in seno all’elaborazione culturale che ha condotto alla produzione di nuove norme sul contrasto delle povertà. Una realtà, dunque, che è cresciuta nel tempo e i cui tratti identitari, oltre a quanto previsto nello stesso statuto della Caritas Italiana (all’ art. 21), sono ampiamente delineati nel già citato – e forse non ancora del tutto valorizzato – Concilio Plenario Sardo degli anni Novanta. Una realtà di Chiesa capace di esprimere una misericordia nei confronti delle tante storie di fragilità umana mai disgiunta dall’anelito verso la giustizia sociale.

Sabato 8 e 15 maggio 2021 l’iniziativa “Dona la spesa”

Al via da domani, anche a Iglesias, l’iniziativa solidale “Dona la spesa”, promossa da Supermercati di Sardegna in collaborazione con diverse Caritas diocesane dell’Isola, nell’ambito dell’iniziativa nazionale proposta dalla Coop.

Nei giorni sabato 8 maggio e 15 maggio 2021 nei punti vendita aderenti i cittadini che lo desiderano potranno fare una spesa solidale per le persone bisognose, riempiendo il “carrello della solidarietà”: i beni di prima necessità verranno poi ritirati dai volontari e dagli operatori delle Caritas diocesane coinvolte.

Un’iniziativa ancora più significativa nel difficile periodo di pandemia, in cui le Caritas diocesane sarde hanno moltiplicato gli sforzi per aiutare le persone in difficoltà e che fa seguito ad altre iniziative solidali promosse dai Supermercati di Sardegna in collaborazione con la Delegazione regionale Caritas.

La spesa solidale potrà essere effettuata, ad Iglesias, nei seguenti punti vendita aderenti:

  • Via Oristano 18
  • Via Cattaneo, s/n – fronte Ospedale CTO

 

Pandemia, confinamento e opinione degli italiani

Il 26 aprile scorso l’Istituto nazionale di statistica ha pubblicato gli esiti di un’indagine dal titolo “Comportamenti e opinioni dei cittadini durante la seconda ondata pandemica (12 dicembre 2020-15 gennaio 2021)”. Realizzata attraverso l’intervista telefonica di un campione sufficientemente rappresentativo della popolazione italiana composto da individui dai 18 anni in su, utilizzando la tecnica di rilevazione CATI (selezionando  il campione da un collettivo per il quale fosse presente un recapito telefonico), tale indagine ha inteso esplorare il clima familiare, i sentimenti e le opinioni degli italiani nella fase più recente dell’emergenza sanitaria, effettuando un confronto con il primo periodo di confinamento.

Il primo dato emergente dall’indagine Istat è che durante la seconda ondata epidemica sono state confermate le difficoltà familiari affrontate nella fase iniziale, seppur con intensità minore rispetto al primo confinamento. Se nell’aprile del 2020 il 56,9% si era espresso con giudizi negativi e soltanto il 20,6% positivamente, nel corso della seconda ondata il primo dato è calato al 44,7% mentre il secondo è salito al 34,1% (il 21,2% si è espresso in termini neutri), ad indicare un atteggiamento in cui convivono simultaneamente un profondo malessere per il disagio provato ma allo stesso tempo anche la speranza in un cambiamento positivo. Molto probabilmente, come rileva l’Istat, “l’abitudine a convivere con la situazione determinata dall’emergenza sanitaria e la minore rigidità delle regole di comportamento anti contagio” hanno contribuito a ridurre lo stato d’animo, le sensazioni e le emozioni di carattere eminentemente negativo, avvertiti in modo significativo nella prima fase del confinamento.

Per quanto concerne il clima familiare, la convivenza spesso forzata a causa delle limitazioni negli spostamenti non ha prodotto particolari effetti, rimanendo sostanzialmente inalterato (per l’86,3% degli intervistati) anche in questo difficile momento. Ciononostante, rileva l’Istat, le relazioni tra conviventi “sono invece peggiorate per il 3,2% della popolazione (2,6% ad aprile 2020). Si tratta di un milione di persone per le quali la pandemia ha messo a dura prova la convivenza all’interno delle mura domestiche”. Rispetto a ciò sono abbastanza noti gli episodi conflittuali, non di rado anche molto violenti (che hanno visto protagoniste in particolare diverse donne), la cui gravità si è accresciuta proprio a causa del confinamento forzato. D’altra parte, però, appare particolarmente significativa la quota di intervistati (28,3%) che ammettono di essere riusciti a incrementare il tempo dedicato ai propri familiari, di pari passo con una drastica riduzione del tempo dedicato agli incontri con gli amici (il 61,4% ha dichiarato di vedere gli amici con minore frequenza). Le regole imposte anche durante la seconda ondata pandemica hanno di fatto “ridotto gli spostamenti e in generale le attività fuori casa. Ciò ha significato anche riorganizzare i propri tempi e ridistribuirli tra le varie attività […]. Sono soprattutto le persone fino ai 44 anni d’età – precisa l’Istat – ad aver ricavato più tempo da dedicare alla famiglia, in particolare gli uomini tra i 35 e i 44 anni (47,8%). Per effetto dello smart working e della sospensione di alcune attività lavorative ciò è stato possibile per alcuni lavoratori, più che per altri”.

L’altra faccia della sospensione lavorativa è ovviamente associata all’incertezza economica e alle difficoltà conseguenti per un numero significativo di italiani. Più di una persona su 10 ha dichiarato di aver dovuto fare ricorso ad aiuti economici (prestiti, sussidi pubblici o altro) per superare le difficoltà durante la seconda ondata epidemica e circa un quinto della popolazione italiana non è riuscito a far fronte agli impegni economici. Tra gli occupati, rileva l’Istat, “sono soprattutto i lavoratori del Commercio ad avere avuto bisogno di aiuti (21,8%): il 4,7% ha chiesto prestiti bancari, il 17,0% aiuti pubblici”. Tutto ciò ha determinato – e continua a provocare – delle importanti fragilità riguardo alla condizione economica dei nuclei familiari, la quale risulta in peggioramento per un cittadino su cinque.

Raffaele Callia

 


Il rapporto è consultabile integralmente al seguente link:
https://www.istat.it/it/archivio/257010

All’interno degli “Orti solidali di comunità” nasce la “Casa degli Orti”

Nonostante le difficoltà registrate lo scorso anno a causa della pandemia, grazie al contributo dei Fondi CEI 8xmille Italia per l’anno 2020 è stato possibile potenziare il progetto degli “Orti solidali di comunità”.

Il contributo ha consentito di ultimare i lavori relativi al fabbricato rurale che insiste nel terreno dove ha luogo il progetto (località Montisantu, a Iglesias), il quale ospita in modo stabile 6/7 persone, tra coloro che si rivolgono ai Centri di ascolto cittadini (Iglesias) o che usufruiscono del servizio dell’Emporio della solidarietà. Il fabbricato è divenuto un luogo accogliente e funzionale, abitabile per le persone che quotidianamente prestano servizio nel progetto, consentendo di sviluppare, oltre le attività consuete di lavoro, momenti di socializzazione, convivialità e rinforzo di competenze.

Fin dagli esordi del progetto degli “Orti solidali di comunità” la Caritas diocesana ha ritenuto indispensabile dotarsi di un luogo fisico dove potersi intrattenere, anche oltre l’orario di lavoro, per proporre una serie di iniziative e attività di carattere eminentemente educativo. È nata così “Casa degli orti”, che a breve sarà segnalata da una targa/insegna che la identificherà per la comunità come opera segno della diocesi di Iglesias.

L’avvenuta trasformazione permette oggi ai partecipanti del progetto, ossia la comunità di lavoro che si è creata in questi anni, di trascorrere intere giornate presso il terreno degli Orti solidali, dando l’opportunità di condividere un pranzo tra i lavoratori che prestano servizio (operatori e beneficiari). Il dopopranzo, sbrigati gli ultimi compiti lavorativi, come ad esempio l’innaffiatura delle sementi e delle colture, la sistemazione delle attrezzature e i controlli tra i filari, il gruppo si ritrova all’interno della “Casa degli orti” per pianificare le incombenze del giorno seguente. Non è tutto, questi momenti, che si svolgono sempre in modo naturale senza alcuna asimmetria tra operatori e beneficiari divengono l’occasione per incoraggiare l’entusiasmo e rinforzare quelle abilità, non di rado di tipo trasversale, che emergono durante una lunga giornata di lavoro e che si sceglie di restituire ai protagonisti perché esse possano inscriversi giorno dopo giorno nel codice di comportamento, andando a sostenere il protagonismo socio-personale dei diretti interessati in vari settori della vita affettiva, lavorativa e relazionale.

La “Casa degli orti” mostra oggi tutte le potenzialità per cui ci si è impegnati, dato che possiede una cucina, con angolo cottura, posti a sedere (tavoli e sede), i mobili pensili ed elettrodomestici e, in un secondo ambiente, un tavolo riunione, una scrivania e gli arredi tipici di una stanza/ufficio.

È evidente come l’importanza di questo impegno richieda una condivisione tra operatori presenti sul campo e coordinatori/supervisori del progetto. Da questo punto di vista si è dato vita, già da anni, ad una sorta di cabina di regia, luogo deputato a orientare gli accompagnamenti socio-educativi che si è deciso di mantenere nelle forme della mimetizzazione all’interno delle attività giornaliere, per essere affidati ad operatori (tutor dell’accompagnamento) che li mettano in atto approfittando delle occasioni che scaturiscono dalle naturali interazioni umane e lavorative. Questo è il motivo che ha indotto ad investire sulla responsabilità di ruolo ed educativa dei tre operatori attualmente in forza presso i progetti CEI 8xmille. In questa prospettiva, la sinergia tra il progetto “Orti solidali di comunità” ed “Emporio della solidarietà” appare naturalmente come un connubio educativo, mediante il quale viene condiviso l’obiettivo di portare le forme dell’accompagnamento e lo stile educativo, con le stesse intenzionalità e senza distinzioni, in entrambi gli ambiti dell’impegno della Caritas diocesana.

Nell’ultimo anno l’azione progettuale ha potuto registrare questi importanti cambiamenti:

  1. mettere a disposizione un luogo (“La Casa degli orti”) confortevole, accogliente e funzionale allo svolgimento delle pratiche di responsabilità educativa fondate sul principio della massima condivisione e dell’aiuto a percepirsi (operatori e beneficiari) accomunati dallo stesso cammino di crescita e sviluppo di competenze;
  2. prolungare le giornate di lavoro, comprendendo anche il pomeriggio. Ciò ha delle ricadute sui volumi di produzione delle colture (ortaggi e frutta), fattore che andrà ad incidere sulla conseguente capacità di aiuto che il progetto potrà esprimere nei prossimi mesi;
  3. incidere a livello educativo, in particolare formando una squadra di intervento (coordinamento) che chiama in causa in modo diretto i tre operatori dei progetti (tutor d’accompagnamento), i quali lavorano per una condivisione piena di codici comunicativi, stili e contenuti ispirati all’accompagnamento socio-educativo.

In questo anno, reso ancora più difficile dalla pandemia, i due servizi in questione (Orti solidali ed Emporio) non hanno mai interrotto del tutto le attività, consentendo alle persone che vi si accostano, portatori di bisogni diversificati, tra questi anche bisogni di salute, di trovare, ad esempio nel lavoro all’aria aperta, un’utile occupazione e un modo di offrire a se stessi sollievo rispetto ad una realtà circostante in alcuni casi drammatica, angosciante e carica di incertezze.

Un’ultima breve notazione: gli arredi con cui si è voluto caratterizzare la “Casa degli orti” sono stati commissionati ad un artigiano del legno designer. Tale opzione è stata ritenuta perfettamente in linea con lo spirito del progetto, che fa della tutela dell’ambiente e della valorizzazione del biologico uno dei suoi capisaldi.

Dal “naufragio” della superlega al naufragio dei migranti

Nel giro di pochi giorni si è passati dalla farsa di un “naufragio” virtuale, che in teoria avrebbe dovuto riguardare il mondo del calcio e che in verità con lo sport ha poco a che fare, alla tragedia concreta – drammaticamente concreta – del naufragio e della conseguente morte di 130 persone a bordo un gommone al largo della Libia.

Il primo è il naufragio di un progetto concepito da ricchi per società ricche e finalizzato ad accrescere i profitti. Il secondo, invece, racconta la morte tragica di persone povere desiderose solo di vivere dignitosamente; una morte rispetto a cui non dovremmo mai smettere di provare vergogna, col rischio per nulla remoto di assuefarci al disumano e in qualche modo finire per “normalizzarlo”.

Il progetto della “Superlega”, vale a dire l’idea di costituire chiaramente una conventio ad excludendum da parte delle società calcistiche dotate di maggiore disponibilità finanziaria, era volta a sganciarsi “dai rispettivi campionati nazionali, dove hanno giocato da sempre, per fargli disputare un campionato continentale a loro soltanto riservato” (sono le parole non di un giornalista sportivo ma dello storico Ernesto Galli della Loggia, sulle pagine del Corriere della Sera). Ebbene, tale progetto è andato in fumo nel giro di poche ore, ma restano inevitabilmente impresse nella mente le immagini dei protagonisti e le loro dichiarazioni: immagini e parole impastate di arroganza, di assurdo distacco dalla realtà e distanti anni luce dal pathos agonistico di chi crede ancora nello sport come a un insieme di passioni e valori positivi, che includono tutti e non escludono i più piccoli, che offrono opportunità di crescita e non impongono criteri che riecheggiano il censo di antica memoria.

Il secondo naufragio è un violentissimo pugno nello stomaco: un’ennesima tragedia umana incomprensibile e ingiustificabile, che suscita commozione, repulsione e vergogna; una sorta di coazione a ripetere – in verità del tutto conscia – che porta tutti noi, per l’ennesima volta, a un’assurda deriva rispetto al senso di umanità.

Le ore, le interviste e gli articoli dedicati alla “Superlega” superano abbondantemente quanto è stato riservato a questa tragedia: giusto il tempo necessario per consumare la consueta retorica sul rimpallo delle responsabilità e sul senso di impotenza. Tutto deve scorrere rapidamente: il calcio, le notizie riguardanti le società sportive; ma anche la disperazione, la tragedia, la morte. La cronaca quotidiana  dell’emergenza Covid ci ha riportato immediatamente sotto i suoi riflettori e ci ha fatto tirare il fiato, con composto sentimento di appartenenza nazionale, per lo “scampato pericolo” di vederci sottratto il “campionato dei nostri padri!”.

Si rimane impietriti di fronte a questo enorme paradosso, ma questo non può e non deve bastare. Quale destino potrà avere una società che non trova più il tempo per elaborare il lutto, il proprio lutto di esseri umani? Che cosa rischiamo di diventare se neanche l’immagine di quei corpi galleggianti, abbandonati a sé stessi, non è più in grado di farci piangere? Cosa si deve fare per evitare di precipitare ancora una volta nell’abisso del disumano?

Raffaele Callia

L’economia europea messa alla prova dalla crisi pandemica

Per effetto della pandemia da COVID-19, nel primo semestre del 2020 l’attività economica dell’area euro ha subito una brusca contrazione (con una diminuzione annua del PIL del 6,6% rispetto al 2019), mentre nel secondo semestre ha registrato una parziale ripresa. Anche l’inflazione è diminuita a motivo delle ripercussioni provocate dalla pandemia: nella media del 2020, infatti, l’inflazione nell’area euro è scesa allo 0,3% dall’1,2% del 2019.

A certificarlo è la Banca Centrale Europea, che ha recentemente pubblicato il suo Rapporto annuale proponendo statistiche e riflessioni macroeconomiche di particolare importanza. “Nella prima metà dell’anno – scrive il presidente della BCE Christine Lagarde nella presentazione – l’attività economica si è contratta bruscamente a seguito delle misure di confinamento e della più elevata avversione al rischio”.

Nel Rapporto si legge che il coronavirus ha provocato la più ampia contrazione dell’economia mondiale dopo la “Grande depressione”. L’economia internazionale, infatti, è stata colpita da una profonda recessione causata proprio dalla diffusione del virus e dalle misure poste in essere per favorire il contenimento del contagio. “La prima ondata della pandemia – precisa il Rapporto – ha colpito i Paesi dell’area dell’euro principalmente tra marzo e aprile, a una velocità e con un’intensità senza precedenti, e nella maggior parte dei Paesi è stata accompagnata da rigide misure di contenimento che hanno interessato l’intera economia. In conseguenza di tali misure, nel primo semestre del 2020 l’attività economica dell’area dell’euro ha registrato una contrazione cumulata pari al 15,3 per cento. Il contenimento della pandemia e la revoca delle misure restrittive, intervenuti a partire da maggio 2020 nella maggior parte dei paesi, hanno determinato una forte ripresa dell’attività nel terzo trimestre. In autunno, tuttavia, l’attività economica ha ricominciato a rallentare e la nuova impennata dei contagi ha provocato un’ulteriore serie di lockdown nell’ultimo trimestre dell’anno, sebbene più mirati rispetto a quelli introdotti durante la prima ondata”.

Grazie all’azione portata avanti dalla Banca Centrale Europea nell’orientare la politica monetaria e stabilizzare i mercati, secondo il presidente Lagarde è stato possibile “contrastare l’impatto avverso della pandemia sull’economica dell’area dell’euro, adottando un insieme articolato di misure che nel corso dell’anno sono state ricalibrate”. Fra queste misure si segnalano, in particolare, l’allentamento dei criteri di idoneità e di altri requisiti applicabili alle garanzie e l’introduzione di un nuovo programma temporaneo di acquisto per l’emergenza pandemica.

Tra i numerosi effetti causati dalla pandemia da COVID-19, si legge nello studio prodotto dalla BCE, “uno dei più pervasivi è stato un livello di incertezza senza precedenti, non solo per l’economia e per la società in senso ampio, ma anche per i singoli individui, nei quali ha generato ansia e spesso confusione. In circostanze del genere – precisa il Rapporto – una comunicazione affidabile, basata sui fatti, chiara e tempestiva da parte delle autorità pubbliche è fondamentale per fornire informazioni di vitale importanza e infondere fiducia”.

Raffaele Callia

Maria Marongiu, vicedirettore della Caritas diocesana, è tornata alla casa del Padre

Umanamente addolorati e obbedienti alla volontà del Signore, il direttore, gli operatori e tutti i volontari della Caritas diocesana di Iglesias annunciano la nascita alla vita nuova e definitiva della cara Maria Marongiu, vicedirettore della Caritas diocesana. Accompagnandola nel suo ultimo viaggio terreno con le preghiere, quanti l’hanno amata e stimata ringraziano il Signore per il dono della sua vita e per il suo generoso servizio ai poveri.

La Caritas diocesana è vicina con la preghiera ai familiari e agli amici di Maria. Il Signore risorto doni a tutti la grazia della consolazione della fede in Lui.

Nata a Carbonia il 6 giugno 1952, insegnante in pensione da diversi anni, Maria Marongiu, dopo un lungo periodo di impegno nell’ambito dell’amministrazione comunale di Carbonia (come vicesindaco e assessore alle politiche sociali), ha svolto il proprio servizio ecclesiale nell’ambito della Caritas diocesana di Iglesias (in passato anche con l’Azione cattolica) dapprima come coordinatrice del Centro di ascolto “Madonna del Buon Consiglio” di Carbonia e successivamente anche come referente dell’Osservatorio diocesano delle povertà e delle risorse. Inoltre, dal 1° ottobre 2020, aveva cominciato il suo prezioso servizio di vicedirettore della Caritas diocesana.

Il suo impegno e il suo servizio continueranno a vivere nella testimonianza della Carità cui è chiamata ogni giorno la grande famiglia degli operatori della Caritas.

 

Consulta la pagina dedicata a Maria Marongiu del settimanale
Sulcis Iglesiente Oggi (anno XXII, 18.04.2021, n. 12)

Donazioni dalla Conad Nord Ovest alla Caritas di Iglesias

La Caritas diocesana di Iglesias, a nome delle famiglie beneficiarie in condizione di bisogno, ringrazia la Conad Nord Ovest per la donazione già ricevuta in risorse economiche per acquisto di viveri (pari a euro 5.000,00) e in carte acquisti, che giungeranno a breve (per un valore complessivo di euro 8.220,00). In tutto pertanto, la Conad Nord Ovest provvederà ad erogare un aiuto per un importo totale di euro 13.220,00.

La donazione ha riguardato anche altre Caritas diocesane della Sardegna, come si evince dal testo del comunicato stampa pubblicato il 10 aprile dalla stessa Conad Nord Ovest.


101.500 euro da Conad Nord Ovest a Caritas Italiana per la Sardegna.
Pari a oltre 25.000 pasti per 1700 famiglie,
sono un aiuto concreto per chi si trova difficoltà economica

Pistoia, 7 aprile 2021 – Secondo l’ultimo report dell’Istat sull’anno appena passato, in Italia ci sono ulteriori 955mila famiglie numerose in stato di povertà rispetto al 2019, che non riescono a far fronte alle spese minime per condurre una vita dignitosa. Per far fronte a questa situazione, già a Natale scorso Conad Nord Ovest ha deciso di intervenire nelle regioni in cui la cooperativa è presente: ad oggi sono stati donati a Caritas Italiana complessivamente 632.500€, di cui 101.500€ – pari a oltre 25.000 pasti – sono stati destinati alle diocesi sarde nelle province di Cagliari, Iglesias, Sassari, Oristano e Nuoro, in aiuto di circa 1700 famiglie in difficoltà. L’iniziativa è un gesto solidale che ha caratterizzato tutte le attività collegate al 60° di Conad Nord Ovest. Un modo chiaro per dire “Grazie” alle comunità in cui i Soci della cooperativa sono presenti, e rinnovare l’impegno a sostenere i territori in cui operano.

“In Italia ci sono migliaia di famiglie in grande difficoltà, molte delle quali non più in grado di acquistare beni per sopravvivere. I dati drammatici che tutti abbiamo davanti agli occhi ci hanno spinto a intervenire concretamente aiutando più di 10.500 famiglie, con una donazione pari a 160.000 pasti – dichiara Valter Geri, presidente di Conad Nord Ovest. Celebrare i nostri primi 60 anni con azioni concrete per sostenere le comunità e ringraziare per la fiducia che i nostri clienti ci dimostrano quotidianamente, è stato del tutto naturale. 60 anni contraddistinti dai valori fondanti del nostro DNA: partecipazione e ascolto, solidarietà, responsabilità, impegno distintivo verso il cliente e la comunità. I nostri soci, ogni giorno si adoperano per una presenza attenta e partecipata; siamo quindi intervenuti con la speranza di aver portato sollievo in un momento tanto difficile”.

Commenta Raffaele Callia, delegato regionale Caritas: “c’è un grande sforzo anche in Sardegna da parte di tutte le Caritas diocesane, nel dare una risposta efficace alle richieste di aiuto, sia in termini morali, psicologici e relazionali, con un servizio di ascolto e orientamento che si è particolarmente intensificato in quest’ultimo anno, sia in termini di prossimità concreta attraverso gli aiuti alimentari, i sussidi economici, le consulenze legali, i farmaci, e tante altre iniziative frutto della “fantasia della carità”. Bisogna sottolineare che se è vero che si sono moltiplicati i problemi e le fragilità, è altrettanto vero che è cresciuta la solidarietà, anche nella nostra regione, di tante persone e di tante realtà imprenditoriali, anche della grande distribuzione. L’iniziativa di Conad Nord Ovest si inserisce proprio in questa direzione, rappresentando un segnale concreto di partecipazione solidale in questo difficile momento”.

La rete capillare delle Caritas diocesane è garanzia di un mirato intervento sul territorio, grazie al loro impegno quotidiano in favore delle famiglie che si trovano in difficoltà economiche.

Nel corso del 2020, dai monitoraggi condotti da Caritas Italiana presso la propria rete di 218 organismi diocesani è emerso che quasi il 50% delle persone incontrate presso i servizi Caritas non aveva mai richiesto aiuto prima.

A fronte di ciò, le attività dei 118 Empori della solidarietà dislocati in tutta Italia – dove le famiglie in difficoltà possono reperire gratuitamente generi di prima necessità – sono state intensificate, e in 136 diocesi sono stati potenziati i fondi destinati a venire incontro a chi per la pandemia ha perso il lavoro o non lo può trovare.

Donazioni Conad Nord Ovest per Caritas Sardegna

Provincia Donazione in euro
Sassari (diocesi di Sassari, Tempio-Ampurias, Alghero-Bosa) 38.200
Cagliari (diocesi di Cagliari) 34.120
Iglesias (diocesi di Iglesias) 13.220
Oristano (diocesi di Oristano e Ales-Terralba) 7.980
Nuoro (diocesi di Nuoro e Lanusei) 7.980
TOTALE 101.500

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Tempo di ascolto e di speranza

Andrea Mantegna, La Resurrezione, tempera su tavola (1457-1459), Museo delle Belle Arti di Tours

È questa la seconda Pasqua segnata dalla sofferenza originata dalla pandemia. Già nell’estate scorsa i vescovi avevano offerto alla Chiesa italiana una riflessione dal titolo “È risorto il terzo giorno”: una lettura biblico-spirituale dell’esperienza della pandemia. Una meditazione utile anche per questa Pasqua 2021: l’esperienza del Venerdì e del Sabato – la permanenza del Figlio di Dio sulla croce e nel sepolcro – diventi un’esortazione a maturare un’esistenza diversa, da veri figli di Dio.

A noi cristiani è data la grazia di guardare ogni avvenimento della vita attraverso la lente del mistero pasquale, che culmina nell’annuncio che Cristo «è risorto il terzo giorno» (1Cor 15,4).
È tempo di ascoltare insieme la voce dello Spirito, che Gesù ci ha consegnato sulla croce (cf. Gv 19,30) e nel Cenacolo (cf. Gv 20,22).
Soprattutto nel celebrare il Triduo pasquale, ma anche ogni giorno della nostra vita, siamo chiamati ad accogliere il mistero della morte e il silenzio del sepolcro, senza mai chiuderci alla speranza della risurrezione.

Ci è chiesto di fare questa esperienza non solo attraverso l’ascolto della Parola e nella celebrazione dei Sacramenti, ma anche nell’incontro con la sofferenza dei fratelli, vicini e lontani, intorno a noi.

La pandemia ha rivelato il dolore del mondo: ha prodotto sofferenza e ne produrrà anche in futuro, con conseguenze economiche e sociali vaste e persistenti. Si tratta di sofferenze profonde che non possiamo ignorare. È il mistero del male, che il Figlio di Dio ha voluto prendere su di sé.

Però sul Calvario c’è dell’altro. Nei pressi della croce, intorno a Gesù che offre per noi la sua vita, insieme a Maria, la Madre, ci sono alcune donne, il discepolo amato, il centurione, Nicodemo, Giuseppe d’Arimatea: poche persone, certo, ma rappresentanti di un resto di umanità capace di “stare in piedi” sotto la croce (cf. Gv 19,25). Quel Venerdì si rivela così un giorno non solo di violenza e morte, ma anche di pietà e condivisione.

L’impegno della Chiesa e, in essa, la fatica amorevole delle Caritas in ogni parrocchia, diventano perciò un’occasione preziosa per vivere in profondità il mistero pasquale nella nostra vita, non solo come memoria storica della morte e risurrezione di Gesù, ma come esperienza della sua presenza di Crocifisso Risorto oggi in mezzo a noi.
Se sapremo vivere, leggere ed elaborare con vera carità l’esperienza di sofferenza nostra e dei nostri fratelli ascoltando lo Spirito e partecipando al mistero della Pasqua del Signore, allora anche questa pandemia ci avrà insegnato qualcosa di importante. Potremo così camminare come comunità ecclesiale sui passi dell’uomo del nostro tempo, animati da tenerezza e comprensione e da una speranza che non delude.

+ Giovanni Paolo Zedda
Vescovo di Iglesias