“Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia” (Lc 2,12)
Auguri di buon Natale del Signore Gesù dalla
Caritas diocesana di Iglesias
«La vocazione mi è stata trasmessa dai miei genitori e dai miei nonni, poi è maturata in età adulta; arriva già da quando si è bambini». Ne è convinta Anna Franca Manca, che, con un grande sorriso accogliente, ci racconta la sua chiamata al servizio degli altri.
Infermiera in pensione da qualche anno, attraverso la sua esperienza professionale ha imparato che ciascuno ha bisogno del prossimo e può farsi dono per gli altri. Oggi, anche grazie al servizio come Coordinatrice diocesana dei Centri di ascolto, ha maturato la consapevolezza che siamo tutti creature di un Amore grande. Ammette che non mancano i momenti di prova: «in questo fare per gli altri c’è anche la fatica, il turbamento e i dubbi, che però fanno crescere. Spendere la vita per gli altri – aggiunge – ti dà gioia nel cuore. Tutto questo si chiama carità».
Per Anna Franca è sempre il momento giusto per fare il bene: nella quotidianità per poterne apprezzare i frutti nel presente e nel futuro. «È inutile fare volontariato se poi in famiglia prevale l’arroganza e non l’amore che bisogna curare sempre, anche nelle relazioni intra-familiari». Per lei il prendersi cura degli altri è prendersi cura anche di sé; stare in relazione col prossimo dà l’opportunità di cambiare, migliorarsi e mettersi in gioco. Con l’arrivo della pensione ha potuto realizzare un desiderio che coltivava da tempo. «Mi sono avvicinata alla Caritas proprio per poter ascoltare le persone; il Centro di ascolto era il posto più adatto a me; sono sicura che bisogna sapersi ascoltare per poter ascoltare gli altri ed esserci per loro».
Durante la pandemia molti volontari anziani sono rimasti a casa per una comprensibile paura del contagio; lei ha accolto subito la loro fragilità ma non ha voluto chiudere il Centro perché era un momento delicato per tante persone che avrebbero chiesto una mano d’aiuto. «Non ero sola, alcune volontarie hanno continuato a prestare servizio con me; il resto del gruppo era comunque presente con la preghiera: ci sosteneva in questo modo». Nei momenti di stanchezza e sconforto capita che si senta scoraggiata, perché pretende che le cose siano fatte alla perfezione, ma poi si rasserena, anche al pensiero che il Signore le ha dato l’opportunità di aiutare il prossimo. «Lui per me ha fatto tanto. Lo penso crocifisso, morto per la mia salvezza; si è reso piccolo nell’Eucaristia, non lo posso tenere per me, lo devo dare agli altri. Tutto ciò che passa di bello in me è un dono che è giusto trasmettere».
Emanuela Frau
Cosa spinge tante persone di diversa età, con un bagaglio di competenze diverse e con storie di vita differenti, a dedicare parte del proprio tempo, parte di se stessi – in alcuni casi interamente se stessi – per gli altri? Non lo si fa per guadagnarci qualcosa in termini economici (anzi, molto spesso ci si rimette di tasca propria); non si è spinti da smanie di protagonismo (altrimenti sarebbe vanità narcisistica e, peggio ancora, peccato d’orgoglio); non lo si fa nel tempo perso (anzi è necessario “perdere” del tempo per dedicarsi agli altri, molto spesso sacrificando famiglia e amicizie). E dunque qual è la leva che smuove, che dà la spinta affinché uomini e donne, giovani e meno giovani, si dedichino al volontariato?
Sono tante le persone che, anche nella nostra regione, si dedicano a qualche forma di impegno volontario, in un tessuto associativo cresciuto progressivamente e che ha senza dubbio arricchito le varie comunità. Si tratta di un fenomeno ampio, inquadrabile a stento nelle categorie giuridiche e amministrative del cosiddetto “Terzo Settore” (che affianca il pubblico e il privato), soprattutto alla luce della recente riforma in materia, tanto da far ipotizzare l’esistenza di un vero e proprio “Quarto Settore” per definire in modo esclusivo l’impegno organizzato di quanti si dedicano gratuitamente e senza alcun riconoscimento pubblico alla cura della comunità in senso lato.
Chi fa una significativa esperienza di volontariato, in particolare sul versante della prossimità sociale ed educativa, sa bene (e lo sanno tantissimi giovani che hanno fatto il Servizio civile) che è molto più ciò che si riceve di quanto si possa dare. È quasi un invito a rileggere le pagine evangeliche del miracolo dei pani e dei pesci e di come dal poco che si ha (e si è), grazie alla proprietà diffusiva dell’amore, sia possibile moltiplicare il bene e condividerlo.
Ecco perché in molti, seguendo il richiamo di San Paolo – Caritas Christi urget nos – nel porsi la domanda “chi te lo fa fare?” rispondono nei termini di una semplice e impegnativa vocazione: “è l’amore ricevuto da Dio che mi chiama e mi spinge ad amare gli altri”. Come dire che non siamo in grado di accogliere, ascoltare, curare le ferite se anzitutto non ci sentiamo piccoli noi per primi; se non ci sentiamo accolti, ascoltati e amati da Dio.
L’aver scelto per questo numero di ImpegnoCaritas l’icona dell’Annunciazione in prossimità del Natale ci ripropone un esempio sublime di risposta alla chiamata; una vocazione al servizio che è totale dono di sé: nella semplicità e nell’obbedienza al volere dell’Amato, fonte del vero Amore.
Raffaele Callia
Delegato regionale Caritas Sardegna
Nelle nostre Caritas parrocchiali tante persone, giovani e adulti, uomini e donne, offrono volontariamente e gratuitamente molto del loro tempo nell’attenzione a chi si trova in difficoltà. La loro decisione di mettersi a servizio dei poveri può essere causata da diverse motivazioni: il desiderio di rendersi utili, la gioia sperimentata nell’aiutare altri, l’imitazione di qualcuno che si è reso a noi disponibile in un momento di difficoltà. O forse sono stati spinti da altre ragioni, apparentemente anche molto meno valide.
Dio sa accettare anche le nostre motivazioni meno nobili, ma desidera purificare le nostre intenzioni, perché possiamo arrivare ad essere sempre più simili a Lui nel suo amore gratuito. Un modo in cui ci aiuta a capire questo suo desiderio è l’invito che fa ad ogni battezzato di contemplare la storia della salvezza e di diventarne protagonisti attivi.
Tutti noi nella comunità cristiana possiamo riscoprire questo suo progetto nel vivere l’anno liturgico. In questo tempo di Avvento e di Natale abbiamo l’opportunità di un vero cammino di purificazione del nostro modo di amare e di servire, guardando a Gesù obbediente al Padre e imitando le persone che gli sono state più vicine.
La creatura che più lo ha accolto è sua Madre, la Vergine Maria. Perciò possiamo lasciarci aiutare da Lei.
Maria, “la piena di grazia”, accetta di vivere la sua vita a disposizione di un disegno d’amore che la supera da ogni parte. È Dio che ci ama per primo e ci chiama a collaborare con Lui. La libera decisione di diventare “servi” del Signore e dei fratelli – che Dio ci propone e la cui realizzazione Lui stesso sostiene col dono del suo Spirito – deriva dalla scoperta e dall’accoglienza della realtà di Dio che ama ogni sua creatura con gratuità, nonostante la nostra debolezza e addirittura il nostro rifiuto.
Dio non ci costringe ad amarlo e a fare ciò che Lui vuole: desidera da noi un amore libero, che si traduca in piena disponibilità e obbedienza. Attende il nostro libero “sì”. Ma per accogliere i piani di Dio non bisogna essere troppo centrati sui propri piani; dobbiamo essere “vuoti”, non pieni di noi stessi, dei nostri desideri, delle nostre attese. Dobbiamo essere liberi, come Maria. E, come Lei, dobbiamo essere attenti alla volontà di Dio e pronti a metterci al servizio dei fratelli che Lui ci mette accanto. Così il Signore Gesù si farà presente nella nostra vita e i poveri che sapremo accogliere diventeranno “i nostri evangelizzatori”.
+Giovanni Paolo Zedda
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