La vita delle persone è un ineffabile e ineluttabile mistero. Avvolta ancor di più nel mistero è la storia delle loro sofferenze; delle prove quotidiane che si presentano lungo il cammino dell’esistenza.
Nel buio della prova si fa fatica a dare un senso, tant’è grande l’abisso che ci separa da una spiegazione razionale sul perché del male, della guerra, della malattia e della sofferenza; sul perché del distacco dalle persone care, sul perché della morte. Nel buio delle nostre ingannevoli certezze tutto sembra apparire confuso e senza spiegazione: non si comprendono la povertà, l’ingiustizia, la violenza; non si comprendono la solitudine, la malattia, la depressione; non si comprende la morte. Tutto sembra destinato a rimanere immobile, in un buio immanente e senza via d’uscita. Anche per quanti credono, con una fede forse un po’ troppo tiepida, la stessa Croce rischia di rimanere un mistero “assurdo” e dunque stonato, privo di ogni logica.
Per chi riceve la grazia di una fede che si alimenta quotidianamente della fiamma della speranza e che si fa trasformare nel crogiolo della carità, quella condizione di buio acquista per sua natura un senso profondo e trascendente. L’abisso dell’assurdo si trasforma così in una ricerca paziente di un pellegrinaggio quotidiano che, in compagnia del Signore Gesù, non evita il Golgota, ma neppure intende fermarsi ad esso e neanche desidera sostare più del necessario nel buio del sepolcro. Va oltre. Chi riceve la grazia della fede fa come farebbe un bambino nel buio di una notte che sembra non finire mai: si affida, anzi si abbandona totalmente alla protezione paterna e materna; alla protezione della misericordia di Dio. La grazia della fede ci affida la certezza che dopo ogni caduta nel buio del non senso è possibile rialzarsi nella luce del Risorto.
Le storie di vita che gli operatori Caritas sono chiamati ad ascoltare e ad accogliere, alcune delle quali sono narrate anche in questo numero di Impegno Caritas, restituiscono un’immagine che ci permette di tornare al cuore della fede, anche in questo tempo persistente e incerto di pandemia. No, non siamo mai soli, neanche nelle prove più dure, poiché il Signore Gesù ha tolto alla morte l’ultima parola. Ecco, sarebbe bello se quando ci faremo gli auguri per la Pasqua – di buona Pasqua di Resurrezione del Signore Gesù – ci ricordassimo di questo.
Gesù e la samaritana al pozzo di Giacobbe (mosaico di P. Marko Rupnik presso la Cappella della Casa incontri cristiani di Capiago)
L’arrivo del Covid-19 ha messo alla prova molti giovani. Seppur indaffarati nel loro frenetico mondo fatto di studio, relazioni amicali e familiari, anch’essi hanno assistito a uno stravolgimento della propria vita. «Non avrei mai immaginato quello che poi è successo» racconta Aurora Fonnesu, giovane volontaria e referente dell’Area Immigrazione, impegnata da anni presso il Centro di ascolto Il Pozzo di Giacobbe, un servizio per stranieri della Caritas diocesana di Iglesias. «All’inizio della pandemia le informazioni erano estremamente confuse, alcune volte contraddittorie; nelle settimane precedenti il primo confinamento non avevo una percezione chiara».
Aurora ha proseguito per qualche settimana nel proprio impegno, fino a quando le è stato possibile. «Era mia intenzione, durante il lockdown, continuare a prestare servizio presso il Centro d’ascolto; purtroppo però i miei familiari, molto preoccupati per la situazione generale, mi hanno chiesto espressamente di interrompere il servizio per la durata del confinamento». Aurora si è quindi trovata suo malgrado di fronte a un bivio: da un lato avrebbe voluto accogliere i fratelli stranieri, ancora più provati e fragili proprio a causa della pandemia; dall’altro pensava che sarebbe stato giusto assecondare la richiesta della sua famiglia, in apprensione per il rischio di contagio. «Questa situazione mi ha creato un grosso conflitto interiore: una prova personale all’interno della prova complessiva data dalla pandemia. A malincuore ho dovuto sospendere temporaneamente il mio servizio».
Con l’arrivo dell’estate e un relativo miglioramento riguardo ai contagi Aurora ha finalmente ripreso regolarmente il proprio impegno nel Centro di ascolto, superando le paure e aprendosi ai bisogni degli altri. Ricorda con entusiasmo quel giorno: «È stato per me come un parziale ritorno alla normalità. Ho vissuto questo avvenimento con grande sollievo perché potevo tornare a dimostrare la mia vicinanza ai nostri fratelli stranieri». Con l’inizio del nuovo anno pastorale le operatrici del Pozzo di Giacobbe hanno ripreso le attività con maggiore determinazione, provando a garantire costantemente accoglienza e accompagnamento agli stranieri. «Come gruppo – precisa Aurora – abbiamo colto questa sfortunata occasione per migliorare la qualità del servizio che forniamo e curare maggiormente i rapporti con le persone e le istituzioni». Aurora non dimentica il difficile periodo trascorso ma vuole guardare avanti, proseguendo con maggiore determinazione il proprio servizio in favore dei fratelli stranieri.
Sono trascorsi 10 anni esatti da quando la cosiddetta “primavera araba” è fiorita e repentinamente avvizzita in Siria, portandosi dietro una tristissima contabilità di distruzione, morte, profughi e instabilità politica. La voce del popolo siriano, che chiedeva libertà, dignità e giustizia, è stata soffocata brutalmente nel sangue in una violenza che continua a persistere da ben due lustri, tradendo le aspettative di chi pensava che anche a Damasco si sarebbe instaurato finalmente un regime democratico.
A dieci anni di distanza sono oltre 6 milioni e mezzo i siriani che hanno trovato rifugio al di fuori del proprio Paese; sono circa 6 milioni e 700 mila gli sfollati, ovverosia costretti a fuggire all’interno dei confini nazionali. Dopo dieci anni di guerra hanno perso la vita tra le 400.000 e le 500.000 persone e sono circa 13 milioni e 400 mila coloro che necessitano di assistenza umanitaria a causa della guerra.
Nella circostanza di questo tristissimo decennio per la Siria, Caritas Italiana ha pubblicato un dossier con dati e testimonianze dal titolo “La speranza del ritorno. Dieci anni di guerra, fra violenze, distruzione e vite sospese”. Con tale strumento, come si legge nelle pagine del dossier, si è inteso “riavvolgere il nastro per ricostruire il quadro d’insieme”, così da permettere almeno di “immaginare delle vie di uscita possibili dalla crisi […] in grado di portare a una pace duratura, alla ripresa economica del Paese e al rientro volontario di tutti quei siriani che sognano di tornare nelle proprie case”.
Il decennio della guerra siriana offre anche l’occasione per ricordare come si sono sviluppate le “primavere arabe”, in un’area geo-politica che si estende dal Maghreb tunisino a Damasco, passando per la Libia e l’Egitto, scendendo fino alla parte più meridionale della penisola arabica, ove si è innescato un altro scenario drammatico fatto di guerra e crisi umanitarie qual è appunto lo Yemen.
Nell’estate del 2010 fu l’Egitto a registrare le proteste delle classi dirigenti per l’intenzione dell’allora presidente Mubarak, il quale, come un moderno faraone noncurante dell’istituzione repubblicana, intendeva nominare suo figlio Gamal quale successore. Nel dicembre dello stesso anno toccò alla Tunisia, dove un giovane venditore ambulante si dette fuoco per protestare contro l’ennesima confisca del suo carretto utilizzato per vendere le mercanzie. La reazione della popolazione fu talmente compatta in tutto il Paese, al culmine di una sopportazione durata anni, che il 14 gennaio 2011 il presidente Ben Ali dovette fuggire in Arabia Saudita. L’11 febbraio anche il presidente Mubarak rassegnò le dimissioni. Nel corso del 2011 anche la Libia voltò le spalle a Gheddafi, mentre in Yemen, un anno dopo, il presidente Ali Abdullah Saleh fu costretto ad abbandonare un potere ventennale. Insomma, tutto lasciava presagire che ci sarebbe stata una svolta decisiva nei regimi politici e nella società di questi Paesi.
Anche in Siria, dunque, la speranza di buona parte della società civile era che il regime pluridecennale della famiglia Assad fosse oramai giunto al capolinea. Non fu così. Come si legge nel dossier della Caritas Italiana, “l’energia dei manifestanti si scontro, ovunque, con una realtà amara e complessa”. Le manifestazioni iniziate nel marzo del 2011 “assunsero il volto di una rivoluzione volta al rovesciamento del regime di Bashar al-Assad; una rivoluzione tradita e fallita, trasformatasi in breve tempo in una piccola guerra mondiale che ha visto in campo forze turche, iraniane, russe e americane, oltre ai contendenti “locali” e cioè l’esercito lealista di Bashar Al Assad e le varie milizie autoctone, dai curdi del nord-est ai miliziani jihadisti di vario colore o estrazione”.
Ancora oggi la Siria continua a subire il drammatico costo di questo conflitto. Come in ogni guerra, a pagarlo è soprattutto la popolazione civile, che spera di tornare al più presto a vivere in pace nel proprio Paese.
Com’era facile prevedere, le conseguenze economiche dei diversi e prolungati periodi di confinamento, a seguito dei necessari provvedimenti volti a contenere la diffusione del virus fin dall’insorgere della pandemia, stanno producendo una crescita delle situazioni di fragilità tra le famiglie italiane.
Dopo essersi giustamente soffermati sulle difficoltà registrate nell’ambito della sfera psicologica e relazionale, con l’impossibilità di vivere ordinariamente la vita sociale e le dinamiche affettive (di pari passo con l’aumento dei casi di violenza domestica), gli studiosi cominciano a fare il punto anche sulle fragilità riguardanti l’ambito socio-economico.
In altri termini, dopo aver generato e moltiplicato fenomeni quali la “sindrome della capanna”, le non poche problematiche legate alla didattica a distanza, le fragilità psicologiche e morali di chi vive il problema della solitudine (a cominciare dagli anziani), la pandemia ha presentato il conto anche in termini di fragilità economiche, soprattutto tra i lavoratori precari, i giovani e gli stranieri.
A fornire una fotografia aggiornata e allo stesso tempo problematica è stato l’Istituto nazionale di statistica, il quale, sulla base delle stime preliminari circa la povertà assoluta in Italia per l’anno 2020, il 4 marzo scorso (in anticipo rispetto al consueto appuntamento annuale di giugno) ha pubblicato uno studio in cui emerge chiaramente come la povertà sia tornata a crescere nuovamente, azzerando sostanzialmente i miglioramenti registrati nel 2019 e raggiungendo il valore più elevato dal 2005.
Nel 2020, secondo l’Istat, l’incidenza della povertà assoluta risulta in aumento sia in termini familiari (passando dal 6,4% al 7,7%, pari a 335.000 famiglie in più) sia in termini di individui (dal 7,7% al 9,4%, con oltre 1.000.000 di persone in più). Tale incremento porta a oltre 2.000.000 il numero di famiglie italiane (pari a circa 5,6 milioni di persone) che si trova in condizioni di povertà assoluta.
Se il 2019 era stato contrassegnato da una diminuzione della povertà (tra i cali più significativi quello registrato in Sardegna, con una diminuzione del numero delle famiglie in condizione di povertà relativa, passato da 141.000 a 94.000), il 2020 registra purtroppo una ripresa con intensità elevata, che neppure la sussistenza delle misure volte a favorire un sostegno economico integrativo dei redditi familiari (si pensi, ad esempio, al Reddito di Cittadinanza o alla Pensione di Cittadinanza) è stata in grado di contrastare.
Va precisato che gli effetti socio-economici della pandemia hanno colpito tutti, seppure con intensità e in modi diversi. I dati forniti dall’Istat parlano di un aumentato rischio di povertà per le famiglie con figli e con persona di riferimento occupata (più contenuti gli effetti per i pensionati); per le famiglie composte sia da italiani sia da stranieri, ma segnatamente per questi ultimi. I giovani, poi, ancora una volta risultano essere tra le categorie più vulnerabili. In altri termini la crisi pandemica ha colpito sostanzialmente le stesse tipologie già vulnerate dalle crisi precedenti, compresa quella finanziaria.
Il rischio di povertà è aumentato in particolare al Nord Italia, un’area in cui il numero dei nuclei familiari in povertà è cresciuto di circa 218.000 unità nel corso del 2020 (pari a circa il 65% dell’incremento su scala nazionale). Tale peculiarità geografica si spiega per il fatto che proprio al Nord si concentrano i più significativi livelli occupazionali nel settore privato (nel Sud è maggiore la rilevanza degli stipendi pubblici), vale a dire quelli che hanno subito in modo pesante gli effetti del confinamento. Inoltre, essendo omogenei per territori gli importi erogati dal Reddito di Cittadinanza, il differente costo della vita rende più efficaci tali misure al Sud piuttosto che al Settentrione d’Italia. Sempre al Nord, peraltro, si concentra il maggior numero di residenti stranieri, le cui famiglie – come già rilevato – sono state colpite in modo particolare dagli effetti socio-economici della pandemia.
È noto come al centro delle preoccupazioni di Papa Francesco vi sia il destino della persona integralmente considerata e del suo rapporto con il creato, in un momento particolarmente difficile anche a causa della pandemia. Le conseguenze di quest’ultima sulla società e sulle persone sono le cose di cui dobbiamo preoccuparci ed è anche per questo motivo che siamo chiamati a promuovere un “cambiamento di sistema”, creando un’economia inclusiva e riconoscendo il diverso valore di ogni individuo.
Di questo, e di altri temi, si è discusso domenica 21 febbraio a Terralba, in occasione dell’appuntamento formativo annuale promosso dal Gruppo Regionale di Educazione alla pace alla Mondialità (GREM) della Caritas Sardegna, consentendo anche ai volontari che non hanno potuto partecipare in presenza di seguire l’evento su una piattaforma online.
La giornata, guidata dal tema “Ecologia integrale, paradigma di pace e sviluppo umano, custodia del Creato tra servitù e cultura dello scarto”, è iniziata con un’introduzione a cura di Massimo Pallottino, di Caritas Italiana. Il suo contributo è servito a riflettere su come le disuguaglianze si siano aggravate con l’avvento del coronavirus. Sono un caso particolare ed emergente, negli ultimi tempi, le disuguaglianze derivanti dai diritti di proprietà intellettuale. A marzo, quando si incontrerà il G20, il “Civil 20” (di cui fa parte anche Caritas Italiana) ci sarà l’occasione per chiedere ai grandi della terra di rivedere questi vincoli nella prospettiva di una tutela per le persone e le popolazioni più fragili. A questo proposito, Massimo Pallottino ha citato un esempio molto concreto: il caso di una valvola respiratoria dal valore economico di 10.000 dollari che è mancata in un reparto di rianimazione, proprio nel primo periodo dell’emergenza sanitaria. I medici contattarono l’azienda che le produce, ma il fornitore comunicò che non era possibile realizzarle in tempi brevi; si studiarono tutte le soluzioni e, alla fine, a qualcuno venne l’idea decisiva: utilizzare una stampante 3D per riprodurre le valvole a tempo di record. La valvola fu così realizzata da un team di ingegneri italiani e al costo di 1 euro; tuttavia, gli stessi ingegneri furono denunciati dalla casa produttrice della valvola per aver violato i diritti di proprietà intellettuale. Ecco perché, da più parti, si chiede l’abolizione della proprietà intellettuale: per far in modo che tutti abbiamo la possibilità di tutelare la nostra salute.
La mattinata è proseguita con l’intervento di Francesco Manca, incaricato regionale della pastorale sociale e del lavoro. A lui è spettato il compito di tracciare un profilo economico della realtà sarda. È noto come i piani di rinascita si basavano sulla teoria economica dei poli di sviluppo. La nascita di percorsi industriali, la localizzazione territoriale espansa in gran parte della Sardegna, è stata, appunto, una concretizzazione dei piani di rinascita. Un tipico esempio è stato quello dell’industria di Portovesme nel Sulcis Iglesiente, nato in sostituzione dell’attività mineraria per esigenze di politiche territoriali. Questo sistema andò presto in crisi, sostenendo molte spese per localizzare delle imprese che hanno lasciato un grande inquinamento in diverse zone. Oggi rimangono ampie aree inquinate in cui non si può più far nulla.
Alla crisi industriale, negli ultimi anni si è aggiunta anche la crisi finanziaria (e oggi sanitaria) che ha ulteriormente accompagnato il declino dell’economia regionale. Il PIL del 2019 è tornato indietro di 30 anni, pari a quello del 1991. I settori delle costruzioni, industria, turismo, commerciale ed agricolo, stanno pagando le conseguenze della pandemia e altri elementi di carattere socio-economico come lo spopolamento contribuiscono ad aggravare la situazione. Oltretutto, stanno passando come buoni, aspetti culturali molto pericolosi come la convinzione diffusa che si possa vivere bene senza lavorare, dando più valore al consumo rispetto al lavoro. Il Reddito di Cittadinanza, ad esempio, è una ricchezza che non può essere sovrapposta al welfare in senso stretto, in quanto consente sì di avere un salario minimo garantito ma senza risolvere i problemi dell’occupazione.
Un altro tema importante è il ruolo dell’intelligenza artificiale, sempre più pervasivo nella società e che crea ripercussioni importanti soprattutto sul mercato del lavoro e sul settore terziario. C’è un livellamento culturale che deve essere oggetto di osservazione e, in particolare, l’intento di omogeneizzazione planetaria delle culture sta distruggendo le culture locali che andrebbero invece difese e valorizzate.
Per far ripartire l’Europa (e quindi anche l’Italia e la Sardegna), a seguito della pandemia da coronavirus, lo scorso luglio l’UE ha approvato il Next generation EU, noto in Italia come Recovery Fund o “Fondo per la ripresa”. Si tratta di un fondo speciale volto a finanziare la ripresa economica del vecchio continente nel triennio 2021-2023 con titoli di Stato europei (Recovery bond) che serviranno a sostenere progetti di riforma strutturali previsti dai Piani nazionali di riforme di ogni Paese: i Recovery Plan. Si prevede lo stanziamento di risorse importanti per passare alla transizione ecologica. Di tali risorse, circa 7,6 miliardi di euro potrebbero essere destinati alla Sardegna attraverso diversi progetti.
Il nuovo modello di sviluppo – che chiama in causa anche il tema dell’economia circolare – trova accoglienza alla luce delle considerazioni che la Chiesa ha elaborato negli ultimi anni, a partire dalle encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti. È quindi necessario ambire ad un nuovo paradigma di sviluppo perché il modello in uso ha risposto solo al profitto e non ai temi quali la povertà, il lavoro, la libertà, la solidarietà, il bene comune e la questione ambientale. L’ambiente rappresenta per la Sardegna il cuore dello sviluppo economico e sociale e, per questo, il nuovo modello deve essere capace di ridefinire il rapporto tra economia ed ecosistema, verso un nuovo umanesimo e un percorso orientato al bene comune.
Lo scorso luglio si sono riaccesi i riflettori sulla questione della pena capitale, dopo che la Corte Suprema degli Stati Uniti ha annullato l’ordine di un tribunale minore che aveva congelato le esecuzioni da quasi vent’anni. A livello federale, infatti, la moratoria delle condanne a morte era scattata nel 2003, sotto l’amministrazione Bush e, dall’epoca, nessun detenuto nel braccio della morte è stato più sottoposto ad iniezione letale. L’ex procuratore generale dell’amministrazione Trump, William Barr, ha dichiarato che “le esecuzioni delle condanne a morte rappresentano un dovere per il Governo federale, per le vittime e le loro famiglie”. Ad opporsi a questa “prassi”, però, non sono solo attivisti e gente comune; spesso, infatti, anche i parenti delle stesse vittime manifestano il loro dissenso nei confronti di una simile barbarie. Nel corso dell’ultimo anno si sono registrate le rivolte di alcuni detenuti, in agitazione per l’introduzione di nuove procedure, da parte del Dipartimento di Giustizia, che prevedevano la somministrazione di un solo potente farmaco (pentobarbital), tramite iniezione letale. Si tratta ovviamente di una grave sconfitta per le associazioni che da sempre si battono contro la pena capitale, soprattutto dopo le terribili vicende degli ultimi anni in cui molti condannati sono morti tra atroci sofferenze.
La triste storia di Lisa Montgomery mette a nudo la debolezza del “sistema Stati Uniti”, unico paese occidentale che continua ad applicare una pratica che, oltre a non rappresentare un deterrente, si configura come un macabro rito. Nata 52 anni fa, reclusa dal 2004 nel carcere di Terre Haute, in Indiana, per un omicidio particolarmente efferato, Lisa, prima donna ad essere giustiziata dopo 67 anni, è stata uccisa con iniezione letale lo scorso 13 gennaio. Tempo addietro l’esecuzione era stata sospesa sulla base di una perizia psichiatrica. I suoi legali sostenevano, infatti, che la giovane avesse un danno cerebrale e una grave malattia mentale dovuti ad una vita segnata, fin dalla tenera età, da abusi sessuali e violenze d’ogni genere. Si sperava che l’esecuzione potesse slittare dopo l’insediamento del neo eletto Biden, che avrebbe potuto graziarla commutando la pena; ma Trump, ancora in carica, si è rifiutato di bloccare le esecuzioni, nonostante la consueta interruzione nel periodo di transizione tra un presidente e l’altro; divenendo così il Presidente USA che ha accumulato più esecuzioni capitali (10 in totale), in oltre un secolo (dal 1896). Il Dipartimento di giustizia è andato, dunque, avanti programmando l’esecuzione di Lisa.
Nonostante il tema della pena capitale non sia stato toccato nella campagna elettorale per le elezioni presidenziali di novembre, con la ripresa delle esecuzioni l’ex inquilino della Casa Bianca ha voluto concretamente ribadire la sua posizione riguardo una “punizione” a cui attribuisce un “potere deterrente contro i crimini”. Oltre a Lisa, vittima innanzitutto di una società che ha preferito voltarsi dall’altra parte, anziché proteggerla, allontanandola dall’orrore che quotidianamente era costretta a vivere, si ricordano anche diversi casi di afroamericani condannati pur essendo riconosciuti non colpevoli dalla stessa giustizia statunitense.
Da tempo questa crudele pratica è stata abolita, o non è applicata, nella maggioranza degli stati del mondo. Il boia continua ad agire in diversi stati tra cui Arabia Saudita, Cina, Iraq, Bielorussia, India, Giappone, Corea del Nord e Iran. Quest’ ultimo paese, recentemente, ha scioccato l’opinione pubblica con l’esecuzione, per impiccagione, del giornalista “dissidente” iraniano, eseguita appena quattro giorni dopo che la Corte suprema aveva confermato la sua condanna a morte. Ruhollah Zam, questo il suo nome, esule in Francia dopo la repressione delle proteste del 2009, era stato rapito nel 2019, durante una visita in Iraq, dalle Guardie rivoluzionarie iraniane; riportato in Iran, contro la sua volontà, è stato condannato a morte lo scorso dicembre, con l’accusa di “spionaggio nei confronti di Israele e della Francia”, e per “reati contro la Repubblica islamica dell’Iran”; ovviamente senza poter aver nessun contatto con i suoi avvocati di fiducia e i parenti, al termine di un processo farsa, celebrato dal “Tribunale rivoluzionario di Teheran”.
Dopo secoli di dibattiti intorno al tema della pena capitale, la riflessione verte ancora sull’importanza del dono della vita, sull’urgenza di tutelarla sempre e comunque, contrapponendola all’esigenza di rispettare le “norme necessarie” a riparare il torto subito. Di fronte a disumani e crudeli castighi, sperimentiamo ancora oggi un’amara sconfitta che rende sempre attuale il pensiero di Cesare Beccaria, che nel 1764, nel Dei delitti e delle pene, ebbe a dire “Se dimostrerò non essere la pena di morte né utile, né necessaria, avrò vinto la causa dell’umanità.”
La diocesi di Iglesias ha versato, in data 6 febbraio 2021, sul conto appositamente istituito dalla diocesi di Nuoro, la somma di euro 5.000,00 per l’Emergenza Bitti, a seguito della colletta indetta domenica 13 dicembre 2020 a livello diocesano. Si tratta del frutto delle donazioni dei fedeli, tramite le parrocchie, e di privati cittadini.
Le piogge straordinarie di sabato 28 novembre 2020, oltre ai danni ingenti alle case e a diverse strutture produttive, hanno purtroppo comportato anche la perdita di vite umane. Ad essere colpita in modo particolare è stata la comunità di Bitti. La Diocesi di Nuoro, particolarmente coinvolta in questa vicenda nel registrare bisogni e fragilità della popolazione bittese, attraverso la Caritas diocesana sta opportunamente tenendo al corrente le Chiese particolari della nostra regione.
Il contributo raccolto dalla diocesi di Iglesias servirà a sostenere le iniziative solidaristiche della Caritas diocesana di Nuoro.
Don Francesco Soddu, direttore di Caritas Italiana
Continua il cammino di riflessione portato avanti da Caritas Italiana in vista del suo 50° anniversario (2 luglio 2021): un percorso segnato dalla pandemia, caratterizzato da nuove criticità e sfide da affrontare come spiega lo stesso direttore don Francesco Soddu, che stamattina ha partecipato all’incontro on line con la Delegazione regionale Caritas Sardegna.
Si è appena concluso un anno difficile, segnato dalla pandemia: quale bilancio?
«Fin dai primi giorni dell’emergenza Covid-19, Caritas Italiana e le Caritas diocesane hanno cercato di rinnovare, adattandolo alle necessità contingenti, il proprio modo di stare accanto agli ultimi e alle persone in difficoltà. Molte le risposte innovative e diversificate, mai sperimentate in precedenza. Ad esempio i servizi di ascolto e di accompagnamento telefonici, o l’ascolto organizzato all’aperto, la consegna di pasti a domicilio e la fornitura di pasti da asporto, in sostituzione o per alleggerire le tradizionali mense, la distribuzione di dispositivi di protezione individuale e igienizzanti, la messa a disposizione di alloggi per i periodi di quarantena e isolamento, i servizi legati all’acquisto e distribuzione di farmaci e prodotti sanitari, i servizi di assistenza psicologica… Una vivacità di iniziative e opere, realizzate anche grazie alla disponibilità di volontari, alla solidarietà da parte di aziende, enti, negozi, supermercati, famiglie, singoli cittadini»
In che modo la pandemia ha inciso nel cammino di riflessione che Caritas Italiana sta portando avanti in vista del suo 50° anniversario?
«Non è stato purtroppo possibile realizzare il Convegno nazionale a Milano, ma stiamo proseguendo nel cammino verso il 50° proponendo nelle forme possibili con occasioni di confronto e di approfondimento a vari livelli, anche alla luce dell’enciclica “Fratelli tutti”, ricchissima di spunti anche per le attività della Caritas. Sono proseguite inoltre, in modalità on line, le iniziative di accompagnamento e confronto con le Caritas diocesane sulle tematiche relative alla formazione e anche alcuni appuntamenti tematici organizzati con focus sulle diverse tematiche e campi di attività»
Quali le linee programmatiche dei nuovi interventi e quali sono oggi le maggiori criticità/ sfide da affrontare?
«Fondamentale, accanto agli aiuti materiali, è stato, è e continuerà ad essere o lo stile Caritas di ascolto e di relazione che aiuta le persone a non avvertire il senso di abbandono, a rafforzare la propria autostima e a trovare il coraggio per andare avanti. Per quanto riguarda gli ambiti di intervento, in accordo con le realtà diocesane, su indicazione della Presidenza, ci stiamo ora concentrando su: lavoro, hub regionali, servizi caritativi parrocchiali, progetti innovativi per le donne. In pratica verrà dato sostegno alla nascita e all’accompagnamento di start-up di inclusione lavorativa, gestite soprattutto da giovani e rivolte ad altri giovani. Verranno attivati hub regionali con la funzione di ridistribuire sul territorio donazioni varie, specificamente attraverso realtà che favoriscano l’inserimento lavorativo di soggetti appartenenti a categorie svantaggiate. Si darà sostegno ad iniziative parrocchiali destinate alle persone costrette all’isolamento. Infine verrà favorita la nascita di servizi territoriali rivolti alle donne, in alternativa a quelli classici»
Di fronte alle attuali criticità come rafforzare la cultura della carità nei nostri contesti diocesani?
«Il desiderio è quello di essere stimolo affinché tutti, singoli e comunità, possano vivere una reale e appassionata attenzione a chi è nel bisogno e di essere segno di una Chiesa in uscita che prova ad essere lievito anzitutto nelle comunità per “stringere legami di unità, di progetti comuni, di speranze condivise” come auspica Papa Francesco, costruendo insieme un futuro in cui ciascuno può sentirsi parte di un progetto che ha contribuito a scrivere. Il cuore di questa dolorosa esperienza deve dunque essere la fraternità e la solidarietà, con grande generosità ognuno deve portare i valori di umanità, di fede e di carità che possiede per creare comunione. Per risolvere, con uno sguardo globale, crisi tra loro fortemente connesse, come quella climatica, alimentare, economica e migratoria, e progettare un futuro libero da tutte “le pandemie”»
A cura di Maria Chiara Cugusi, servizio comunicazione Caritas Sardegna
“Miracolo di Natale 2020”: i risultati della raccolta donata all’Emporio della Solidarietà
Iglesias, 15 gennaio 2021
Nonostante le difficoltà connesse alla pandemia, peraltro ancora in corso, anche nell’edizione 2020 del cosiddetto “Miracolo di Natale” non è venuta meno la generosità degli iglesienti. Una cinquantina di differenti tipologie di prodotti hanno contrassegnato la raccolta di questa edizione, fra cui aceto, biscotti, caffè, confetture, dolciumi, farina, fette biscottate, latte, legumi, olio, omogeneizzati, passata di pomodoro, pasta, pelati, prodotti per l’igiene, prodotti per l’infanzia, riso, tonno in scatola e zucchero. La manifestazione si è svolta venerdì 18 dicembre, tagliando il 24 traguardo di un evento ideato da Gennaro Longobardi (in collaborazione con l’emittente televisiva “Sardegna Uno”) che da cinque anni, oltre che a Cagliari e in altre città, viene realizzata anche ad Iglesias grazie alla generosa partecipazione di un nutrito raggruppamento di volontari formato da associazioni, gruppi spontanei, scolaresche, artisti e semplici cittadini.
La Caritas diocesana di Iglesias, a nome delle centinaia di beneficiari di tale raccolta, esprime sentimenti di gratitudine verso tutte le persone che si sono spese generosamente nel rendere possibile questa iniziativa. Per evitare di dimenticare qualcuno o qualche organizzazione, si esprime un generale grazie che abbraccia tutti coloro che si sono generosamente prodigati per la riuscita dell’iniziativa, all’insegna della disponibilità, del sacrificio, della collaborazione, del rispetto e della condivisione di valori quali la solidarietà e la fraternità.
Tutti i beni conferiti grazie al “Miracolo di Natale” si stanno distribuendo alle famiglie bisognose attraverso l’Emporio della Solidarietà, un’innovativa opera-segno della Caritas diocesana, grazie alla quale si è evoluto il servizio di distribuzione dei beni di prima necessità
A seguire l’elenco dettagliato dei prodotti donati presso i locali dell’Exmà di Iglesias.
Quantità
Prodotto
Informazioni specifiche
19
Aceto di vino
Litri
18
Bagno schiuma
Confezioni
541
Biscotti
Confezioni
5
Brodo pronto
Litri
202
Caffè
Confezioni
143
Camomilla
Confezioni
19
Carta assorbente per la casa
Confezioni
19
Carta igienica
Confezioni
5
Condiriso
Confezioni
57
Confetture
Confezioni
6
Crema gianduia al cacao
Confezioni
228
Dadi per brodo
Confezioni
72
Dentifricio
Confezioni
192
Dolciumi
Confezioni
100
Farina
Kilogrammi
94
Fette biscottate
Confezioni
634
Latte
Litri
420
Legumi
Confezioni
81
Olio di oliva e olio extravergine d’oliva
Litri
116
Olio di semi
Litri
10
Olive in salamoia
Confezioni
769
Omogeneizzati
Confezioni
15
Pancarrè
Confezioni
137
Panettoni
Confezioni
69
Pannolini per l’infanzia
Confezioni
1.589
Pasta
Kilogrammi
70
Pasta per l’infanzia
Confezioni
1.108
Pelati (polpa e passata di pomodoro)
Confezioni
16
Polenta
Confezioni
5
Polvere solubile al cacao
Confezioni
228
Riso
Kilogrammi
20
Riso pronto
Confezioni
50
Sale
Confezioni
29
Salviette per l’igiene
Confezioni
49
Shampoo
Confezioni
29
Snack salati
Confezioni
340
Succhi di frutta
Confezioni
18
Sugo pronto
Confezioni
205
Tonno
Confezioni
285
Zucchero
Kilogrammi
Dal giorno dell’inaugurazione del servizio (13 giugno 2016) l’Emporio della Solidarietà cerca di far fronte ai bisogni alimentari di molti nuclei familiari (ad oggi sono circa 600 le persone aiutate direttamente o indirettamente). I prodotti alimentari più consumati sono: pasta, latte, legumi, passata di pomodoro, pelati, cibi in scatola (come tonno o carne), alimenti per neonati, biscotti, fette biscottate e zucchero. A seguito di un’apposita autorizzazione rilasciata dall’Azienda Sanitaria Locale, sono disponibili anche i prodotti “freschi”, quali formaggi, burro e insaccati. Il servizio permette anche la dotazione di prodotti per l’igiene personale e domestica.
L’Emporio della Solidarietà si trova in uno degli spazi dell’ex mattattoio comunale ed è nato dalla collaborazione tra la Caritas diocesana di Iglesias (che ne ha promosso il progetto), le Caritas parrocchiali, il Volontariato Vincenziano, il Terz’Ordine Francescano e la Sodalitas.
All’Emporio i prodotti non sono distribuiti con pacchi già predisposti ma sono i beneficiari stessi, dopo esser stati ascoltati dagli operatori dei Centri di almeno una delle realtà aderenti al progetto, a scegliere secondo le proprie necessità, come in un vero supermarket. Non si paga con denaro ma attraverso una carta magnetica che contiene dei crediti, attribuiti in base a diversi parametri, fra cui: l’ampiezza del nucleo familiare; la tipologia, l’intensità e la durata del disagio; l’ISEE e altri indicatori. La carta magnetica è personale ed è identificata attraverso un codice. I dati raccolti dai Centri della rete del Coordinamento confluiscono in un database che permette immediatamente di capire chi si è rivolto ai vari servizi territoriali, compreso l’Emporio, evitando pertanto duplicazioni d’interventi.
Se si vuole contribuire con una donazione in viveri si può passare direttamente all’Emporio della Solidarietà, in corso Colombo (Exmà) il lunedì (dalle 15.30 alle 18.30) o il giovedì e il venerdì (dalle 9.00 alle 12.00). È a disposizione anche il telefono (328.4768100) e un indirizzo di posta elettronica (emporio@caritasiglesias.it).
Il 2020 è stato un anno difficilissimo da tutti i punti di vista. Purtroppo, accanto alla crisi sanitaria che si ripercuote anche sulla salute di chi non è affetto da Covid-19, vi è anche una crisi economica dovuta al confinamento e ai vari restringimenti che, seppur necessari, hanno messo in difficoltà tantissime famiglie.
La Caritas è l’organismo pastorale, voluto dai nostri Vescovi, che si occupa di testimoniare la carità e la fede in Cristo attraverso le opere per promuovere lo sviluppo umano integrale con una particolare attenzione verso gli ultimi. È il Centro d’ascolto (CdA), in costante collaborazione con le parrocchie, il fulcro intorno al quale ruotano le altre azioni. Sono quindi il fratello e la sorella che si presentano alla nostra porta a interrogarci come uomini e donne, come comunità e a far muovere le nostre azioni. L’Area immigrazione, attraverso il CdA “Il Pozzo di Giacobbe”, presta quest’attenzione verso i cittadini stranieri.
Il servizio è aperto dal 2015 e quest’anno, purtroppo, abbiamo incontrato per la prima volta anche moltissimi cittadini stranieri che risiedono in Italia da oltre dieci anni. Sono persone giunte in Sardegna ben prima dell’emergenza Nord-Africa (2011) e che hanno costruito una famiglia nel nostro Paese, lavorato e pagato le tasse. Alcuni hanno perso il lavoro come mediatori, cuochi o camerieri; inoltre, una quota rilevante viveva di commercio ambulante.
Questi ultimi, nello specifico, hanno dovuto cessare la propria attività non potendo vendere nulla e anche se avessero potuto, per la paura legata al virus, nessuno sarebbe stato disposto ad acquistare. Tutto ciò ha finito per farli rimanere sostanzialmente senza reddito. La maggior parte di queste persone, infatti, lavora nel commercio riuscendo così a mantenere la famiglia; ma a causa della quarantena il lavoro si è ridotto a tal punto da non riuscire più nemmeno ad acquistare i beni di prima necessità come cibo, prodotti per l’igiene personale e della casa.
Solo a Iglesias sono 18 le famiglie di stranieri presentatesi per la prima volta nel 2020, che hanno richiesto un aiuto di tipo prevalentemente alimentare; per un totale di circa 60 persone tra adulti e bambini. Come è tutti noto, in situazioni simili si sono venuti a trovare anche tantissimi italiani: piccoli imprenditori, lavoratori autonomi e dipendenti. Ciò che rende ancora più critica la situazione di questi cittadini stranieri è che diversi dei loro permessi di soggiorno (e molto spesso quelli dei loro familiari) sono legati all’attività lavorativa. Questo problema, pertanto, si aggiunge al senso d’incertezza che abbiamo vissuto tutti durante quest’anno e che attiene all’eventualità che non siano rinnovati i permessi e all’ipotesi, neanche tanto remota, di un ripatrio nel Paese d’origine.
Tantissime di queste persone, principalmente senegalesi e marocchine, risiedono in Sardegna da 15 o addirittura 20 anni e sarebbe difficilissimo per loro inserirsi dopo così tanto tempo nelle comunità d’origine. Lo sarebbe ancora di più per le seconde e terze generazioni, nate e cresciute in Italia. La speranza è che il 2021 possa essere un anno migliore e porti un po’ di stabilità e serenità a tutti.
Aurora Fonnesu
Copyright 2021, Diocesi di Iglesias - Caritas diocesana
Questo sito usa i cookie ed è conforme alla GDPR in materia di privacy.
Functional
Sempre attivo
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono strettamente necessari al fine legittimo di consentire l'uso di un servizio specifico esplicitamente richiesto dall'abbonato o dall'utente, o al solo scopo di effettuare la trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica.
Preferenze
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per lo scopo legittimo di memorizzare le preferenze che non sono richieste dall'abbonato o dall'utente.
Statistiche
L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici.L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici anonimi. Senza un mandato di comparizione, una conformità volontaria da parte del vostro Fornitore di Servizi Internet, o ulteriori registrazioni da parte di terzi, le informazioni memorizzate o recuperate per questo scopo da sole non possono di solito essere utilizzate per l'identificazione.
Marketing
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per creare profili di utenti per inviare pubblicità, o per tracciare l'utente su un sito web o su diversi siti web per scopi di marketing simili.