Quale coscienza sociale di fronte al cambiamento climatico?

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«Esiste un consenso scientifico molto consistente che indica che siamo in presenza di un preoccupante riscaldamento del sistema climatico. Negli ultimi decenni, tale riscaldamento è stato accompagnato dal costante innalzamento del livello del mare, e inoltre è difficile non metterlo in relazione con l’aumento degli eventi meteorologici estremi, a prescindere dal fatto che non si possa attribuire una causa scientificamente determinabile ad ogni fenomeno particolare. L’umanità è chiamata a prendere coscienza della necessità di cambiamenti di stili di vita, di produzione e di consumo, per combattere questo riscaldamento o, almeno, le cause umane che lo producono o lo accentuano».

Ad esprimersi in questi termini è l’Enciclica Laudato si’ di Papa Francesco, al numero 23, dopo averci ricordato nello stesso punto che «il clima è un bene comune, di tutti e per tutti». È pur vero che in questi ultimi anni, nell’opinione pubblica, è cresciuta una certa sensibilità sui temi del cambiamento climatico e del riscaldamento globale. Si è nel complesso consapevoli che la virulenza di eventi quali tifoni, tornado e alluvioni non è più relegata alle sole zone tropicali, così com’è cresciuta la preoccupazione per i prolungati periodi di siccità e per l’innalzamento delle temperature medie, che anticipano l’avvento della stagione calda e la prolungano in modo indefinito. Eppure, sembrerebbe che questa rinnovata sensibilità non riesca ancora a tradursi in un effettivo sostegno alle politiche che pongano la questione ambientale come tema centrale dell’ecologia integrale.

Su queste tematiche la sociologa Raya Muttarak (dal dicembre dello scorso anno docente di demografia all’Università di Bologna ed esperta di percezione del cambiamento climatico, disuguaglianza sociale, salute e migrazione) ha pubblicato recentemente uno studio in cui si pone in evidenza la connessione esistente tra comportamenti elettorali ed eventi climatici estremi. Fra gli esiti più significativi di tale studio emerge come una delle strozzature più rilevanti che impediscono la riduzione dei cambiamenti climatici è proprio di natura politica. I costi immediati, i sacrifici e i tagli necessari a ridurre le emissioni di carbonio, infatti, comporterebbero un elevato prezzo in termini di consenso elettorale. Questo significa che, pur disponendo della conoscenza e delle tecnologie necessarie per contrastare il cambiamento climatico, non si è disposti a suscitare il dissenso dell’elettorato (con la conseguente perdita di potere) che inevitabilmente ne deriverebbe, tenuto conto dei necessari sacrifici in termini di cambiamento radicale degli stili di vita.

Altre indagini sul tema mostrano come soprattutto i cittadini europei, anche dal punto di vista semantico, siano preoccupati più nello specifico dal “riscaldamento globale” che dai “cambiamenti climatici” in senso lato. Termini quali “anomalie delle temperature”, “episodi di calore” ed “episodi di siccità” inquietano molto di più l’elettore medio europeo  rispetto a una generica preoccupazione sul cambiamento del clima. Come ha posto in rilievo la rivista Neodemos, in un articolo del 24 maggio scorso, «maggiore è il numero di giorni di caldo fuori stagione (rispetto alla media del periodo 1971-2000) verificatosi in una determinata regione durante l’anno che ha preceduto una consultazione elettorale o un’elezione europea, maggiore è il numero di persone che in quell’area si sono dichiarate preoccupate per l’ambiente e più alta la quota di voti incassati dai partiti ambientalisti. Lo stesso effetto non si registra nel caso di anomalie negative di temperatura, come ondate di freddo, lunghi periodi di pioggia e alluvioni».

Gli esperti ci ricordano che se non si metteranno in pratica azioni concrete di contrasto al riscaldamento globale, attraverso la riduzione delle emissioni di carbonio, nei prossimi decenni l’umanità dovrà fare i conti con fenomeni metereologici sempre più estremi. L’appello è ad assumere ciascuno quote di responsabilità (a livello personale e collettivo) nel cambiamento degli stili di vita, di produzione, di scambio, di consumo, di trasporto, ecc. Un cambiamento, dunque, decisamente radicale.

A tale riguardo, l’Enciclica Laudato si’ ci richiama alle radici etiche e spirituali dei problemi ambientali, invitandoci «a cercare soluzioni non solo nella tecnica, ma anche in un cambiamento dell’essere umano, perché altrimenti affronteremo soltanto i sintomi» e a passare «dal consumo al sacrificio, dall’avidità alla generosità, dallo spreco alla capacità di condividere».

Raffaele Callia