Luci e ombre del Reddito di Cittadinanza da uno studio di Caritas Italiana

Il Reddito di Cittadinanza (RdC) è un sostegno economico ad integrazione dei redditi del nucleo familiare, che vuole essere anche una misura di politica attiva del lavoro, associando quindi il sostegno economico a un percorso di reinserimento lavorativo. Il beneficio assume la denominazione di Pensione di cittadinanza (PdC) se il nucleo familiare è composto esclusivamente da uno o più componenti di età pari o superiore a 67 anni. Il Reddito di Cittadinanza viene erogato ai nuclei familiari in possesso cumulativamente di diversi requisiti al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio.

Da diverso tempo l’Ufficio politiche sociali e promozione umana di Caritas Italiana sta conducendo un monitoraggio proprio sul RdC. L’obiettivo della ricerca è quello di avere una solida base di dati per comprendere meglio il rapporto tra Caritas e beneficiari alla luce della nuova fase (Rdc e pandemia) per rendere più adeguati i servizi Caritas.

L’indagine, che viene divisa nelle fasi conoscitiva e operativa, ha un campione di 17 Caritas situate in diverse diocesi italiane (fra cui Iglesias) e 558 nuclei di beneficiari. La prima fase del monitoraggio è già stata portata avanti attraverso la somministrazione di questionari nei diversi Centri di ascolto. Degli intervistati la maggior parte vive in nuclei con minori, registra dei problemi economici, lavorativi, di salute, abitativi e legati all’immigrazione; problemi relazionali o legati agli effetti socio-economici della pandemia.

Dai questionari esaminati emerge che il 70% dei beneficiari non ha ricevuto alcun tipo di formazione e solo il 17,8% ha ricevuto offerte di lavoro dai Centri per l’impiego, mentre 2/3 hanno finalizzato l’offerta tramite canale informale (irregolare). Com’è noto il dibattito pubblico è tornato a concentrarsi sul Reddito di Cittadinanza per stigmatizzare gli effetti negativi che questa misura di sostegno al reddito e all’inclusione sociale avrebbe sulle imprese e sulla stessa ripresa economica. Si pensa infatti che i percettori del reddito (il cui importo medio, secondo il rapporto Inps, oscilla attorno ai 550 euro mensili per nucleo familiare percipiente) preferirebbero ricevere il denaro e rimanere tranquilli sul proprio divano, invece di accettare le mansioni di cui necessitano molte imprese (dando vita alla cosiddetta retorica dei lazy poor). Fortunatamente, questa è una vulgata che non convince e che non regge alla prova delle sperimentazioni che, nel corso dei decenni, hanno riguardato misure simili adottate sperimentalmente in Italia. Anzi, i dati di queste esperienze – al netto degli aspetti problematici e distorsivi della misura – sono assai incoraggianti, tanto più per un Paese che annovera l’emancipazione personale, in primis attraverso il lavoro, tra i principi che dovrebbero guidare l’azione dei poteri pubblici. Peraltro, l’autonomia di cui si discute dovrebbe essere salutata con favore da tutti, in una Repubblica democratica fondata sul lavoro.

Sono diversi gli effetti venutisi a creare con l’applicazione di tale misura, anche dal punto di vista della percezione pubblica. Si sono attivati, ad esempio, meccanismi di stigmatizzazione (di colpa/vergogna) rispetto alla ricezione di aiuto da parte della collettività, cui non si riesce a contraccambiare appieno. Tuttavia, le aspettative dei percettori sono ben diverse, come attestano le molte richieste di sostegno all’inserimento lavorativo a cui il dispositivo non riesce ancora a dare risposta. Si tratta, dunque, di una misura da tutelare e migliorare affinché non sia solo un sussidio ma anche un supporto concreto all’inserimento sociale e lavorativo. Aspetti sui cui anche l’ultimo Rapporto sulle povertà della Caritas diocesana di Iglesias si è soffermato (cfr. “Scenari di fragilità prima della pandemia”, consultabile attraverso il seguente link).

Queste indagini hanno consentito uno sguardo approfondito e dettagliato rispetto alla popolazione Caritas permettendo la definizione di categorie interpretative utili a leggere la complessità del «mondo della povertà». In ottica Caritas, si sono dimostrati strumenti utili per una riflessone interna rispetto ad una pluralità di aspetti, non solo conoscitivi, ma anche applicativi e pratici.

L’obiettivo di tali indagini è quello di permettere una migliore comprensione del rapporto tra Caritas e beneficiari alla luce del continuo evolversi delle povertà e per rendere più adeguati i servizi Caritas. Ci sono profili nuovi di povertà che sfuggono al sistema di welfare e su cui occorre ragionare; in particolare su come riorientare i servizi e le attività Caritas alla luce della copertura, efficacia e adeguatezza delle politiche contro le povertà esistenti. Ecco perché nei primi mesi del nuovo anno ci sarà la seconda fase del monitoraggio sul RdC, con l’intento di soffermarsi sulla rete dei servizi comunitari (come i servizi territoriali e i Centri per l’impiego), capire come si possono portare avanti i Puc (progetti utili alla collettività) e offrire un approfondimento sulla povertà educativa minorile.

Sara Concas