Le ferite ancora aperte delle troppe guerre dimenticate

Photo by Boudewijn Huysmans

Sono settimane che i quotidiani, i telegiornali, i talk show, i social network offrono l’osceno spettacolo della guerra in Ucraina. Veniamo letteralmente tempestati, giorno dopo giorno, da immagini che continuamente ci ricordano le ferite aperte di un conflitto nel cuore dell’Europa; un conflitto che ha già prodotto milioni di sfollati e profughi, migliaia di morti e distruzione, con danni materiali e morali i cui effetti si protrarranno per moltissimi anni.

La ferita aperta in Ucraina non è tuttavia l’unica a livello globale. Esistono conflitti purtroppo dimenticati in tante altre parti del mondo, come ricorda il portale www.conflittidimenticati.it, gestito dalla Caritas Italiana e da Pax Christi, e come viene illustrato nei periodici rapporti tematici, l’ultimo dei quali realizzato in collaborazione con Famiglia Cristiana, Avvenire e il Ministero dell’istruzione, dal titolo “Falsi equilibri” (pubblicato dalle edizioni San Paolo).

Un recente dossier con dati e testimonianze pubblicato dalla Caritas Italiana, dal titolo “Pace fragile”, ci ricorda come in Sierra Leone, dopo 20 anni dalla fine formale della guerra, le ferite siano ancora aperte; a dimostrazione del fatto che la pace stabile e duratura è tutt’altro che la conseguenza logica dei soli accordi tra le parti. Come dire che, accanto a una “pace formale” (spesso provvisoria) ci deve essere necessariamente una “pace sostanziale”, che si basa su effettive condizioni di giustizia e riconciliazione fra tutte le parti in causa.

In questo senso si espresse anche Paolo VI, in occasione della Giornata mondiale della pace celebrata il 1° gennaio del 1975: «La pace dev’essere “fatta”, dev’essere generata e prodotta continuamente; essa risulta da un equilibrio instabile, che solo il movimento può assicurare e che è proporzionato alla velocità di esso. Le istituzioni stesse, che nell’ordine giuridico e nel concerto internazionale hanno la funzione ed il merito di proclamare e di conservare la pace, raggiungono il loro provvido scopo se esse sono continuamente operanti, se sanno in ogni momento generare la pace, fare la pace».

A tale riguardo il dossier dal titolo “Pace fragile” pone bene in luce come se è vero che in Sierra Leone, dopo 20 anni dal processo di pace, la guerra guerreggiata possa dirsi sostanzialmente cessata, le cause che hanno determinato il conflitto e le violenze (che hanno perfino visto arruolati i bambini soldato) non si sono spente del tutto. Persiste una povertà diffusa, nel contesto di un Paese con istituzioni ancora deboli e contrassegnate dalla corruzione, in un quadro di ingiustizia sociale che mina alla base l’equilibrio raggiunto con la “pace formale”.

Le parole di mons. Giorgio Biguzzi, vescovo della diocesi di Makeni (in Sierra Leone) all’epoca del conflitto, suonano ancora molto attuali, se si pensa a quanto sta avvenendo in Ucraina, ma anche in Sudan, in Libia, in Iraq e nello stesso Afghanistan: «Come la guerra non avviene per generazione spontanea, ma c’è chi ne è padre o madre, così è per la pace: bisogna volerla, se si esprimono solo delle buone intenzioni e non ci si dà da fare, non avviene. Se ci sono situazioni di pace è perché c’è
gente che è convinta che bisogna esporsi per la pace».

Si tratta di considerazioni che dovrebbero indurci a ribaltare l’antico adagio. Non più  “Si vis pacem, para bellum” ma “Si vis pacem, para pacem”: se vuoi la pace prepara la pace; ogni giorno, a cominciare dal tuo cuore.

Raffaele Callia