Il nuovo Patto europeo su immigrazione e asilo e le molte zone d’ombra

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Dopo l’accordo raggiunto dai governi europei a dicembre scorso, ad aprile di quest’anno il Parlamento europeo ha approvato dieci testi legislativi che mirano a riformare la politica europea sulle migrazioni e l’asilo.

Nelle intenzioni del Parlamento europeo, il nuovo Patto su immigrazione e asilo dovrebbe rispondere all’obiettivo di consolidare il ruolo dell’Unione nell’affrontare l’immigrazione irregolare, rafforzando la protezione delle frontiere esterne dell’Unione Europea, applicando in modo uniforme regole comuni in tutti gli Stati membri sulla prima accoglienza e rimodulando il sistema europeo di asilo sulla base dei principi di solidarietà e di equa ripartizione delle responsabilità.

Una volta approvate dal Consiglio europeo, le leggi entreranno in vigore dopo essere state pubblicate nella Gazzetta ufficiale dell’UE. L’applicazione dei regolamenti è prevista dopo due anni, mentre per quanto attiene la direttiva sulle condizioni di accoglienza, gli Stati membri avranno due anni di tempo per introdurre le modifiche nei rispettivi ordinamenti nazionali.

Tra gli obiettivi posti formalmente dal nuovo Patto vi è quello di sostenere i Paesi dell’Unione più esposti alle pressioni migratorie di cittadini provenienti da Paesi terzi, attraverso un sistema di collaborazione (con la fornitura di un supporto tecnico-operativo), di contribuzione (attraverso lo stanziamento di contributi finanziari) e di accoglienza nel proprio territorio, da parte degli altri Paesi, di una quota di richiedenti protezione internazionale.

In tutti i Paesi dell’Unione Europea dovrebbe essere introdotto un nuovo meccanismo per il riconoscimento e la revoca della protezione internazionale. È previsto un tempo più breve per il trattamento delle domande di asilo alla frontiera, con scadenze più rapide per le richieste infondate e inammissibili, mentre i richiedenti che non soddisfino i requisiti per l’ingresso dovrebbero essere soggetti a un accertamento preliminare della durata massima di sette giorni, durante i quali dovrebbero essere identificati e sottoposti alla raccolta dei dati biometrici, sanitari e di sicurezza. A carico dei Paesi ospitanti vi dovrebbe essere anche il compito di valutare la situazione del Paese di origine dei migranti, sulla base dei dati forniti dall’Agenzia europea per l’asilo. Una volta concesso lo status di rifugiato, il Paese ospitante dovrebbe garantire gli standard di accoglienza (comuni a tutti i Paesi dell’Unione) in materia di alloggio, istruzione, sanità e riconoscimento della possibilità di iniziare un lavoro (entro sei mesi dalla data di presentazione della domanda).

Lette così, le novità previste dal nuovo Patto su immigrazione e asilo sembrerebbero assicurare delle condizioni di governabilità dei flussi migratori, nel pieno rispetto dei diritti umani. Tuttavia, non sono pochi i critici sia a livello politico sia nell’ambito della comunità scientifica, fra quanti si occupano di studi sulla mobilità umana. A cominciare dal fatto che il nuovo Patto sembrerebbe scaturire dall’errata percezione che il continente europeo sia invaso dagli immigrati; una percezione che appare distorta dalla persistente confusione tra immigrazione irregolare e richiedenti protezione internazionale: questi ultimi, infatti, comprendono quanti sono in fuga da Paesi devastati dalle guerre, da eventi climatici catastrofici e in cui è negata la libertà personale, non di rado anche di carattere religioso. A questo proposito va ricordato che a breve dovrebbe essere reso pubblico il Rapporto annuale dell’UNHCR, il quale dovrebbe confermare verosimilmente la cifra di 110 milioni di rifugiati a livello globale.

I dati Eurostat confermano per il 2023 un aumento delle domande di primo asilo nell’Ue, le quali hanno raggiunto il numero di 1 milione 49 mila, con una crescita del 18,0% rispetto a un anno prima. Si tratta di un dato importante e tuttavia non paragonabile agli oltre 8 milioni di ucraini accolti in Europa (a causa della guerra ancora in corso), di cui una quota significativa nella sola Polonia. Da notare che tra le domande di primo asilo presentate nel 2023 il 17,0% riguarda cittadini provenienti dall’America Latina (fra cui un numero importante di venezuelani arrivati in Spagna in aereo). Peraltro, per quanto nell’immaginario collettivo sembrerebbe essere l’Europa mediterranea a farsi carico dei richiedenti asilo, la realtà della statistica ufficiale ci ricorda che nel 2023 circa un terzo delle domande di protezione internazionale è stato presentato nella sola Germania (329.000).

Tra i Paesi europei che si affacciano sul Mediterraneo si segnala anzitutto la Spagna (160.500 domande, di cui una quota significativa da parte di cittadini venezuelani), seguita dalla Francia (145.100), dall’Italia (con 130.600, pari al 12,0% del totale) e dalla Grecia (57.900). Nel complesso, dunque, i Paesi dell’Europa mediterranea hanno accolto poco più di un terzo delle domande di primo asilo e l’Italia non può essere considerata come una sorta di “campo profughi” del Mediterraneo. Peraltro, come ha scritto recentemente il sociologo Maurizio Ambrosini, è da tenere in considerazione il fatto «che molti rifugiati cercano di raggiungere i Paesi interni dell’Ue anche quando hanno chiesto asilo nei paesi del Sud, intraprendendo quelle “seconde migrazioni” che tanto dispiacciono ai nostri partner transalpini».

Una lettura obiettiva dei dati, sganciata dalla dialettica elettorale e dalle tensioni ideologiche di tipo populistico, consentirebbe di comprendere meglio un fenomeno che è destinato a crescere nel futuro e che necessita di politiche lungimiranti e ispirate al buon senso.

Raffaele Callia