Carestie e mobilità umana, tra i possibili effetti della guerra in Ucraina

Photo by Marek Studzinski

«Se c’è un’azione, tra le attività degli uomini, che è opportuno intraprendere con esitazione, che anzi è opportuno evitare, scongiurare, respingere in ogni modo possibile, quella è la guerra. Nulla è più empio della guerra, nulla più sciagurato, nulla più pericoloso. Da nulla, come dalla guerra, è più difficile venire fuori e nulla è più tetro e indegno dell’essere umano, per non dire del cristiano». Con queste parole, espresse nei suoi famosi “Adagia” (oltre 800 proverbi latini da lui commentati con rigore filologico), agli inizi del XVI secolo il grande umanista Erasmo da Rotterdam esprimeva chiaramente la propria posizione nei confronti della guerra; di ogni guerra. Fra questi cita l’adagio di Publius Flavius Vegetius, un aristocratico romano del IV-V secolo, che suona ancora oggi come un monito inoppugnabile: «La guerra piace a chi non la conosce».

La guerra “empia e sciagurata” di cui parla Erasmo non è solo portatrice di violenza e distruzione, con la sua terribile conta di morti e feriti, ma è capace di provocare disastri – con il suo effetto snowball – in aree geopolitiche non toccate direttamente dal conflitto. Lo dimostrano le conseguenze della guerra attualmente più amplificata dai mezzi di informazione, vale a dire quella in Ucraina.

Si sa, infatti, come la dipendenza energetica dei Paesi europei costituisca un freno alle sanzioni imposte alla Russia per il suo intervento militare in Ucraina. Com’è altrettanto noto che il blocco della produzione agricola in Ucraina stia producendo forti instabilità nei mercati. Russia e Ucraina – giusto per ricordare qualche cifra – da sole assorbono oltre un quarto del commercio mondiale di grano, mentre il continente africano dipende letteralmente dai loro prodotti cerealicoli per il suo approvvigionamento alimentare. In proposito, si pensi che il 32% delle importazioni africane tra il 2018 e il 2020 proveniva dalla Russia e il 12% dall’Ucraina.

Siamo pertanto di fronte a uno stato di allerta per possibili carestie e crescita della povertà in alcune aree del mondo, con conseguenze inevitabili sul fronte della mobilità umana. Si prevedono infatti nuove possibili migrazioni forzate, in particolare in Africa (“migrazioni circolari”, le più consistenti) e dal Nord Africa e dal Medio Oriente verso l’Europa.

Paesi come il Libano, l’Egitto, il Sudan e la Tunisia (in cui il pane rappresenta una componente essenziale nell’alimentazione quotidiana), in gran parte dipendono dal grano russo e ucraino. Peraltro, si tratta di Paesi che non godono di condizioni floride dal punto di vista economico e sociale e in cui si registra una profonda instabilità politica. Alcuni di essi sono stati teatro delle cosiddette “primavere arabe” scoppiate una decina di anni fa proprio a partire dalle rivolte per il pane.

Per il segretario generale delle Nazioni Unite, il portoghese António Guterres, la guerra della Russia contro l’Ucraina «minaccia la quota di cibo mondiale che normalmente si riesce a fornire e a mettere a disposizione dei Paesi in via di sviluppo, in particolare dei più poveri del mondo». In Sudan, anche a causa dei raccolti scarsi, della siccità e della crisi economica, si stima che il numero di persone affette da fame acuta raddoppierà, oltrepassando l’impressionante cifra di 18 milioni entro il prossimo settembre. Di fronte a questo scenario sarà inevitabile che si riparli di nuove e più consistenti migrazioni forzate.

Si tratta di previsioni inquietanti che ci ricordano come la guerra, “empia e sciagurata” di cui parla Erasmo, è un fenomeno che mette in connessione tutti e in tutte le parti del mondo. Se proprio non si può rimanere indifferenti per questioni di coscienza certamente ci si deve preoccupare per i risvolti eminentemente pratici che toccano l’umanità, tutta l’umanità, in ogni angolo del mondo.

Raffaele Callia

Le ferite ancora aperte delle troppe guerre dimenticate

Photo by Boudewijn Huysmans

Sono settimane che i quotidiani, i telegiornali, i talk show, i social network offrono l’osceno spettacolo della guerra in Ucraina. Veniamo letteralmente tempestati, giorno dopo giorno, da immagini che continuamente ci ricordano le ferite aperte di un conflitto nel cuore dell’Europa; un conflitto che ha già prodotto milioni di sfollati e profughi, migliaia di morti e distruzione, con danni materiali e morali i cui effetti si protrarranno per moltissimi anni.

La ferita aperta in Ucraina non è tuttavia l’unica a livello globale. Esistono conflitti purtroppo dimenticati in tante altre parti del mondo, come ricorda il portale www.conflittidimenticati.it, gestito dalla Caritas Italiana e da Pax Christi, e come viene illustrato nei periodici rapporti tematici, l’ultimo dei quali realizzato in collaborazione con Famiglia Cristiana, Avvenire e il Ministero dell’istruzione, dal titolo “Falsi equilibri” (pubblicato dalle edizioni San Paolo).

Un recente dossier con dati e testimonianze pubblicato dalla Caritas Italiana, dal titolo “Pace fragile”, ci ricorda come in Sierra Leone, dopo 20 anni dalla fine formale della guerra, le ferite siano ancora aperte; a dimostrazione del fatto che la pace stabile e duratura è tutt’altro che la conseguenza logica dei soli accordi tra le parti. Come dire che, accanto a una “pace formale” (spesso provvisoria) ci deve essere necessariamente una “pace sostanziale”, che si basa su effettive condizioni di giustizia e riconciliazione fra tutte le parti in causa.

In questo senso si espresse anche Paolo VI, in occasione della Giornata mondiale della pace celebrata il 1° gennaio del 1975: «La pace dev’essere “fatta”, dev’essere generata e prodotta continuamente; essa risulta da un equilibrio instabile, che solo il movimento può assicurare e che è proporzionato alla velocità di esso. Le istituzioni stesse, che nell’ordine giuridico e nel concerto internazionale hanno la funzione ed il merito di proclamare e di conservare la pace, raggiungono il loro provvido scopo se esse sono continuamente operanti, se sanno in ogni momento generare la pace, fare la pace».

A tale riguardo il dossier dal titolo “Pace fragile” pone bene in luce come se è vero che in Sierra Leone, dopo 20 anni dal processo di pace, la guerra guerreggiata possa dirsi sostanzialmente cessata, le cause che hanno determinato il conflitto e le violenze (che hanno perfino visto arruolati i bambini soldato) non si sono spente del tutto. Persiste una povertà diffusa, nel contesto di un Paese con istituzioni ancora deboli e contrassegnate dalla corruzione, in un quadro di ingiustizia sociale che mina alla base l’equilibrio raggiunto con la “pace formale”.

Le parole di mons. Giorgio Biguzzi, vescovo della diocesi di Makeni (in Sierra Leone) all’epoca del conflitto, suonano ancora molto attuali, se si pensa a quanto sta avvenendo in Ucraina, ma anche in Sudan, in Libia, in Iraq e nello stesso Afghanistan: «Come la guerra non avviene per generazione spontanea, ma c’è chi ne è padre o madre, così è per la pace: bisogna volerla, se si esprimono solo delle buone intenzioni e non ci si dà da fare, non avviene. Se ci sono situazioni di pace è perché c’è
gente che è convinta che bisogna esporsi per la pace».

Si tratta di considerazioni che dovrebbero indurci a ribaltare l’antico adagio. Non più  “Si vis pacem, para bellum” ma “Si vis pacem, para pacem”: se vuoi la pace prepara la pace; ogni giorno, a cominciare dal tuo cuore.

Raffaele Callia

Gli esiti della raccolta dei prodotti di prima necessità nella “settimana della solidarietà” a Carbonia

Volontari Caritas del Centro unico in servizio

Il Centro unico di raccolta e distribuzione viveri di Carbonia, servizio da diversi anni promosso dalle Caritas parrocchiali di Carbonia, ha organizzato per la Santa Pasqua una raccolta di prodotti di prima necessità per predisporre dei pacchi destinati alle famiglie indigenti della città. Nel mese di aprile le famiglie assistite sono state in tutto 127, con un intervento che ha visto beneficiarie circa 300 persone. Dal 26 marzo al 10 aprile, nelle parrocchie Beata Vergine Addolorata, Gesù Divino Operaio, Cristo Re, San Camillo, San Narciso, San Ponziano e Vergine delle Grazie, sono stati raccolti diversi prodotti che più rispondono alle esigenze mensili delle famiglie. Ogni parrocchia ha avuto il compito di raccogliere latte e zucchero, olio di semi, legumi e pasta, succhi di frutta, merendine, prodotti per l’igiene personale, ecc. Così facendo, è stato possibile destinare le offerte in denaro pervenute al Centro, per acquistare altri prodotti inseriti nei pacchi. A questa raccolta per la Santa Pasqua, si è unita come ogni anno anche la Scuola “Camilla Gritti”.

Di seguito la tabella con le tipologie e le quantità dei prodotti raccolti.

Prodotti Quantità
Bagnoschiuma/Shampoo 96
Biscotti/Merendine 173
Caffè da 250 gr.. 14
Carta igienica 7
Dentifricio 45
Detergente intimo/Saponi/Pannolini 73
Prodotti per la pulizia della casa 45
Detersivo per la lavatrice 17
Detersivo per i piatti 17
Farina/Polenta da 1 kg 99
Formaggi vari/Formaggini 2
Latte da 1 lt 275
Legumi vari 591
Marmellata/Nutella/Miele 2
Olio “Evo” da 1 lt 2
Olio di semi da 1 ly 56
Omogeneizzati da vasetto singolo 37
Colombe/Uova di Pasqua 5
Pasta da 500 gr 400
Passata di pomodoro in brick e in bottiglia da 1 kg/lt 22
Pomodori pelati da 400 gr 52
Riso da 1 kg 63
Sale 4
Carne in scatola 287
Tonno in scatola 97
Succhi di frutta in brick da 200 ml 460
Sughi vari e dadi 29
Tè e camomilla 5
Zucchero 108

Ai quali si sono aggiunti i prodotti acquistati

Prodotti Quantità
Detersivo per i piatti 228
Formaggio grana in pezzzo e grattugiato 294
Latte da 1 lt 864
Legumi in barattolo 384
Pasta da 500 gr 304
Zucchero 30