Ecologia integrale, paradigma di pace e di sviluppo umano

La responsabilità di tutti nella cura del pianeta

È noto come al centro delle preoccupazioni di Papa Francesco vi sia il destino della persona integralmente considerata e del suo rapporto con il creato, in un momento particolarmente difficile anche a causa della pandemia. Le conseguenze di quest’ultima sulla società e sulle persone sono le cose di cui dobbiamo preoccuparci ed è anche per questo motivo che siamo chiamati a promuovere un “cambiamento di sistema”, creando un’economia inclusiva e riconoscendo il diverso valore di ogni individuo.

Di questo, e di altri temi, si è discusso domenica 21 febbraio a Terralba, in occasione dell’appuntamento formativo annuale promosso dal Gruppo Regionale di Educazione alla pace alla Mondialità (GREM) della Caritas Sardegna, consentendo anche ai volontari che non hanno potuto partecipare in presenza di seguire l’evento su una piattaforma online.

La giornata, guidata dal tema “Ecologia integrale, paradigma di pace e sviluppo umano, custodia del Creato tra servitù e cultura dello scarto”, è iniziata con un’introduzione a cura di Massimo Pallottino, di Caritas Italiana. Il suo contributo è servito a riflettere su come le disuguaglianze si siano aggravate con l’avvento del coronavirus. Sono un caso particolare ed emergente, negli ultimi tempi, le disuguaglianze derivanti dai diritti di proprietà intellettuale. A marzo, quando si incontrerà il G20, il “Civil 20” (di cui fa parte anche Caritas Italiana) ci sarà l’occasione per chiedere ai grandi della terra di rivedere questi vincoli nella prospettiva di una tutela per le persone e le popolazioni più fragili. A questo proposito, Massimo Pallottino ha citato un esempio molto concreto: il caso di una valvola respiratoria dal valore economico di 10.000 dollari che è mancata in un reparto di rianimazione, proprio nel primo periodo dell’emergenza sanitaria. I medici contattarono l’azienda che le produce, ma il fornitore comunicò che non era possibile realizzarle in tempi brevi; si studiarono tutte le soluzioni e, alla fine, a qualcuno venne l’idea decisiva: utilizzare una stampante 3D per riprodurre le valvole a tempo di record. La valvola fu così realizzata da un team di ingegneri italiani e al costo di 1 euro; tuttavia, gli stessi ingegneri furono denunciati dalla casa produttrice della valvola per aver violato i diritti di proprietà intellettuale. Ecco perché, da più parti, si chiede l’abolizione della proprietà intellettuale: per far in modo che tutti abbiamo la possibilità di tutelare la nostra salute.

La mattinata è proseguita con l’intervento di Francesco Manca, incaricato regionale della pastorale sociale e del lavoro. A lui è spettato il compito di tracciare un profilo economico della realtà sarda. È noto come i piani di rinascita si basavano sulla teoria economica dei poli di sviluppo. La nascita di percorsi industriali, la localizzazione territoriale espansa in gran parte della Sardegna, è stata, appunto, una concretizzazione dei piani di rinascita. Un tipico esempio è stato quello dell’industria di Portovesme nel Sulcis Iglesiente, nato in sostituzione dell’attività mineraria per esigenze di politiche territoriali. Questo sistema andò presto in crisi, sostenendo molte spese per localizzare delle imprese che hanno lasciato un grande inquinamento in diverse zone.  Oggi rimangono ampie aree inquinate in cui non si può più far nulla.

Alla crisi industriale, negli ultimi anni si è aggiunta anche la crisi finanziaria (e oggi sanitaria) che ha ulteriormente accompagnato il declino dell’economia regionale. Il PIL del 2019 è tornato indietro di 30 anni, pari a quello del 1991. I settori delle costruzioni, industria, turismo, commerciale ed agricolo, stanno pagando le conseguenze della pandemia e altri elementi di carattere socio-economico come lo spopolamento contribuiscono ad aggravare la situazione.  Oltretutto, stanno passando come buoni, aspetti culturali molto pericolosi come la convinzione diffusa che si possa vivere bene senza lavorare, dando più valore al consumo rispetto al lavoro. Il Reddito di Cittadinanza, ad esempio, è una ricchezza che non può essere sovrapposta al welfare in senso stretto, in quanto consente sì di avere un salario minimo garantito ma senza risolvere i problemi dell’occupazione.

Un altro tema importante è il ruolo dell’intelligenza artificiale, sempre più pervasivo nella società e che crea ripercussioni importanti soprattutto sul mercato del lavoro e sul settore terziario. C’è un livellamento culturale che deve essere oggetto di osservazione e, in particolare, l’intento di omogeneizzazione planetaria delle culture sta distruggendo le culture locali che andrebbero invece difese e valorizzate.

Per far ripartire l’Europa (e quindi anche l’Italia e la Sardegna), a seguito della pandemia da coronavirus, lo scorso luglio l’UE ha approvato il Next generation EU, noto in Italia come Recovery Fund o “Fondo per la ripresa”. Si tratta di un fondo speciale volto a finanziare la ripresa economica del vecchio continente nel triennio 2021-2023 con titoli di Stato europei (Recovery bond) che serviranno a sostenere progetti di riforma strutturali previsti dai Piani nazionali di riforme di ogni Paese: i Recovery Plan. Si prevede lo stanziamento di risorse importanti per passare alla transizione ecologica. Di tali risorse, circa 7,6 miliardi di euro potrebbero essere destinati alla Sardegna attraverso diversi progetti.

Il nuovo modello di sviluppo – che chiama in causa anche il tema dell’economia circolare – trova accoglienza alla luce delle considerazioni che la Chiesa ha elaborato negli ultimi anni, a partire dalle encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti. È quindi necessario ambire ad un nuovo paradigma di sviluppo perché il modello in uso ha risposto solo al profitto e non ai temi quali la povertà, il lavoro, la libertà, la solidarietà, il bene comune e la questione ambientale. L’ambiente rappresenta per la Sardegna il cuore dello sviluppo economico e sociale e, per questo, il nuovo modello deve essere capace di ridefinire il rapporto tra economia ed ecosistema, verso un nuovo umanesimo e un percorso orientato al bene comune.

Sara Concas

Pena capitale, sconfitta per l’umanità

Lo scorso luglio si sono riaccesi i riflettori sulla questione della pena capitale, dopo che la Corte Suprema degli Stati Uniti ha annullato l’ordine di un tribunale minore che aveva congelato le esecuzioni da quasi vent’anni. A livello federale, infatti, la moratoria delle condanne a morte era scattata nel 2003, sotto l’amministrazione Bush e, dall’epoca, nessun detenuto nel braccio della morte è stato più sottoposto ad iniezione letale. L’ex procuratore generale dell’amministrazione Trump, William Barr, ha dichiarato che “le esecuzioni delle condanne a morte rappresentano un dovere per il Governo federale, per le vittime e le loro famiglie”. Ad opporsi a questa “prassi”, però, non sono solo attivisti e gente comune; spesso, infatti, anche i parenti delle stesse vittime manifestano il loro dissenso nei confronti di una simile barbarie. Nel corso dell’ultimo anno si sono registrate le rivolte di alcuni detenuti, in agitazione per l’introduzione di nuove procedure, da parte del Dipartimento di Giustizia, che prevedevano la somministrazione di un solo potente farmaco (pentobarbital), tramite iniezione letale. Si tratta ovviamente di una grave sconfitta per le associazioni che da sempre si battono contro la pena capitale, soprattutto dopo le terribili vicende degli ultimi anni in cui molti condannati sono morti tra atroci sofferenze.

La triste storia di Lisa Montgomery mette a nudo la debolezza del “sistema Stati Uniti”, unico paese occidentale che continua ad applicare una pratica che, oltre a non rappresentare un deterrente, si configura come un macabro rito. Nata 52 anni fa, reclusa dal 2004 nel carcere di Terre Haute, in Indiana, per un omicidio particolarmente efferato, Lisa, prima donna ad essere giustiziata dopo 67 anni, è stata uccisa con iniezione letale lo scorso 13 gennaio. Tempo addietro l’esecuzione era stata sospesa sulla base di una perizia psichiatrica. I suoi legali sostenevano, infatti, che la giovane avesse un danno cerebrale e una grave malattia mentale dovuti ad una vita segnata, fin dalla tenera età, da abusi sessuali e violenze d’ogni genere. Si sperava che l’esecuzione potesse slittare dopo l’insediamento del neo eletto Biden, che avrebbe potuto graziarla commutando la pena; ma Trump, ancora in carica, si è rifiutato di bloccare le esecuzioni, nonostante la consueta interruzione nel periodo di transizione tra un presidente e l’altro; divenendo così il Presidente USA che ha accumulato più esecuzioni capitali (10 in totale), in oltre un secolo (dal 1896). Il Dipartimento di giustizia è andato, dunque, avanti programmando l’esecuzione di Lisa.

Nonostante il tema della pena capitale non sia stato toccato nella campagna elettorale per le elezioni presidenziali di novembre, con la ripresa delle esecuzioni l’ex inquilino della Casa Bianca ha voluto concretamente ribadire la sua posizione riguardo una “punizione” a cui attribuisce un “potere deterrente contro i crimini”. Oltre a Lisa, vittima innanzitutto di una società che ha preferito voltarsi dall’altra parte, anziché proteggerla, allontanandola dall’orrore che quotidianamente era costretta a vivere, si ricordano anche diversi casi di afroamericani condannati pur essendo riconosciuti non colpevoli dalla stessa giustizia statunitense.

Da tempo questa crudele pratica è stata abolita, o non è applicata, nella maggioranza degli stati del mondo. Il boia continua ad agire in diversi stati tra cui Arabia Saudita, Cina, Iraq, Bielorussia, India, Giappone, Corea del Nord e Iran. Quest’ ultimo paese, recentemente, ha scioccato l’opinione pubblica con l’esecuzione, per impiccagione, del giornalista “dissidente” iraniano, eseguita appena quattro giorni dopo che la Corte suprema aveva confermato la sua condanna a morte. Ruhollah Zam, questo il suo nome, esule in Francia dopo la repressione delle proteste del 2009, era stato rapito nel 2019, durante una visita in Iraq, dalle Guardie rivoluzionarie iraniane; riportato in Iran, contro la sua volontà, è stato condannato a morte lo scorso dicembre, con l’accusa di “spionaggio nei confronti di Israele e della Francia”, e per “reati contro la Repubblica islamica dell’Iran”; ovviamente senza poter aver nessun contatto con i suoi avvocati di fiducia e i parenti, al termine di un processo farsa, celebrato dal “Tribunale rivoluzionario di Teheran”.

Dopo secoli di dibattiti intorno al tema della pena capitale, la riflessione verte ancora sull’importanza del dono della vita, sull’urgenza di tutelarla sempre e comunque, contrapponendola all’esigenza di rispettare le “norme necessarie” a riparare il torto subito. Di fronte a disumani e crudeli castighi, sperimentiamo ancora oggi un’amara sconfitta che rende sempre attuale il pensiero di Cesare Beccaria, che nel 1764, nel Dei delitti e delle pene, ebbe a dire “Se dimostrerò non essere la pena di morte né utile, né necessaria, avrò vinto la causa dell’umanità.”

Emanuela Frau

Esiti della colletta “Emergenza Bitti”

Foto tratta da La Nuova Sardegna

La diocesi di Iglesias ha versato, in data 6 febbraio 2021, sul conto appositamente istituito dalla diocesi di Nuoro, la somma di euro 5.000,00 per l’Emergenza Bitti, a seguito della colletta indetta domenica 13 dicembre 2020 a livello diocesano. Si tratta del frutto delle donazioni dei fedeli, tramite le parrocchie, e di privati cittadini.

Le piogge straordinarie di sabato 28 novembre 2020, oltre ai danni ingenti alle case e a diverse strutture produttive, hanno purtroppo comportato anche la perdita di vite umane. Ad essere colpita in modo particolare è stata la comunità di Bitti. La Diocesi di Nuoro, particolarmente coinvolta in questa vicenda nel registrare bisogni e fragilità della popolazione bittese, attraverso la Caritas diocesana sta opportunamente tenendo al corrente le Chiese particolari della nostra regione.

Il contributo raccolto dalla diocesi di Iglesias servirà a sostenere le iniziative solidaristiche della Caritas diocesana di Nuoro.