Accogliere e custodire la vita: il Natale di Yafit

Il presepe sulla scrivania del Centro di ascolto della Caritas diocesana

Così come la Sacra Famiglia sa accogliere e custodire la Vita per eccellenza, a cominciare dal mistero di un Dio che diviene bambino in una Betlemme colma di stupore, anche la Caritas, nel suo piccolo, è come una sorta di famiglia in grado di promuovere e salvaguardare la vita, anche quella di una donna che viene da lontano, come nel caso di Yafit: una giovane madre senegalese che, in occasione del primo incontro, mostrava occhi impauriti che tradivano disperazione mista a una fierezza tipicamente africana.

«Ho lasciato la mia famiglia d’origine in Senegal 10 anni fa – dice Yafit (nome di fantasia) -, per raggiungere una sorella in Sardegna». Tutto andava per il verso giusto: un lavoro come commerciante ambulante, i suoi nuovi amici della comunità senegalese, l’incontro con un connazionale con cui     decide di legarsi sentimentalmente e realizzare il suogrande desiderio. «È nata la nostra bambina – ricorda commossa – e tutto andava bene. Poi, improvvisamente, lui è cambiato: ero diventata quasiinvisibile ai suoi occhi». Nel suo racconto, spesso interrotto dalle lacrime, emergono anche maltrattamenti fisici e verbali. Ben presto, oltre alle violenze, la giovane Yafit inizia a subire anche le ristrettezze economiche. «Non faceva più la spesa, neanche per la bambina; spendeva tutti i nostri soldi per sé». La Caritas la ritrova in questo periodo di preparazione al Natale, con occhi più sereni e fiduciosi: «Non mi sono sentita più sola», racconta a distanza di qualche mese; «io e la mia bambina siamo andate a vivere in un’altra casa». Yafit ha ritrovato un po’ di serenità, anche grazie al sostegno di una famiglia italiana che si prende cura della bimba mentre lei è a lavoro. Adesso Yafit è consapevole che può contare su una solida rete di protezione; è grata a quelle persone che, pur non conoscendola, l’hanno accolta mentre fuggiva dal pericolo; a loro si è affidata trovando rifugio, così come Maria e Giuseppe, dopo un lungo viaggio in attesa di accogliere la Vita. Con l’arrivo della pandemia e la sospensione del lavoro la situazione è diventata insostenibile. Il timore che lui diventasse ancora più violento convince la giovane a rivolgersi ad un avvocato impegnato nella tutela delle donne vittime di violenza. Viene così inviata al Centro di ascolto della Caritas di Iglesias e, attraverso un lavoro in rete con il Consultorio ASL, le forze dell’ordine e una mediatrice culturale, riceve un sostegno di tipo psico-pedagogico finalizzato all’allontanamento da quell’uomo violento. La Caritas la ritrova in questo periodo di preparazione al Natale, con occhi più sereni e fiduciosi: «Non mi sono sentita più sola», racconta a distanza di qualche mese; «io e la mia bambina siamo andate a vivere in un’altra casa». Yafit ha ritrovato un po’ di serenità, anche grazie al sostegno di una famiglia italiana che si prende cura della bimba mentre lei è a lavoro. Adesso Yafit è consapevole che può contare su una solida rete di protezione; è grata a quelle persone che, pur non conoscendola, l’hanno accolta mentre fuggiva dal pericolo; a loro si è affidata trovando rifugio, così come Maria e Giuseppe, dopo un lungo viaggio in attesa di accogliere la Vita.

Emanuela Frau

La formazione in Caritas al tempo del Coronavirus

Il tempo della pandemia come opportunità per l’approfondimento formativo

Nel tempo faticoso della pandemia non vogliamo far mancare, come Caritas diocesana, un supporto formativo e informativo. Questo è il senso delle “finestre” che stiamo aprendo sul nostro giornale diocesano perché possa integrare quanto si sta promuovendo a livello parrocchiale.

Anche la relazione con l’altro è stata in qualche modo intaccata dal virus, sfociando in due aspetti tra loro contrapposti: la relazione vista come un desiderio impossibile da realizzare ma anche come paura di essere contagiati. Da una parte la mancanza dei contatti sociali ci ha rivelato quanto l’altro sia importante per noi ma ha svelato anche quanto l’altro possa essere fonte di turbamento fino a rappresentare possibilità di malattia e di morte. La prima risposta che abbiamo dato al Coronavirus è stata la quarantena, un rafforzamento dei nostri confini per tutelare la nostra vita ma anche quella degli altri.

Come Caritas diocesana, con prudenza e coraggio, continuiamo ad offrire il nostro servizio di ascolto, accoglienza e prossimità concreta ai tanti nostri fratelli e sorelle provati da questa emergenza. Allo stesso tempo sentiamo necessario non rinunciare anche alla formazione.

Siamo stati costretti ad interrompere gli itinerari formativi di accompagnamento per le Caritas parrocchiali. Come équipe formatori della Caritas diocesana non ci siamo scoraggiati ma stiamo approfittando di questo momento di pausa forzata per continuare a formarci con l’ausilio dei mezzi digitali e con l’aiuto di formatori qualificati che, con generosità e professionalità, Caritas Italiana e la Delegazione regionale Caritas Sardegna ci stanno mettendo a disposizione. Proprio alcuni giorni orsono ci siamo incontrati virtualmente, a livello regionale, con le équipe formative delle altre Diocesi della Sardegna. Non sta mancando anche l’autoformazione. Come équipe diocesana stiamo aggiornando i percorsi formativi così come l’articolo 1 dello Statuto della Caritas Italiana ci invita a fare: “La Caritas Italiana è l’organismo pastorale costituito dalla Conferenza Episcopale Italiana al fine di promuovere, anche in collaborazione con altri organismi, la testimonianza della carità della comunità ecclesiale italiana, in forme consone ai tempi e ai bisogni, in vista dello sviluppo integrale dell’uomo, della giustizia sociale e della pace, con particolare attenzione agli ultimi e con prevalente funzione pedagogica”. Il nostro impegno è dunque quello di riprendere, appena possibile e in presenza, la formazione e l’accompagnamento delle Caritas parrocchiali

Papa Francesco, nel messaggio per la IV Giornata mondiale dei poveri, al numero 4 ci ricorda che “Sempre l’incontro con una persona in condizione di povertà ci provoca e ci interroga. Come possiamo contribuire ad eliminare o almeno alleviare la sua emarginazione e la sua sofferenza? Come possiamo aiutarla nella sua povertà spirituale? La comunità cristiana è chiamata a coinvolgersi in questa esperienza di condivisione, nella consapevolezza che non le è lecito delegarla ad altri. E per essere di sostegno ai poveri è fondamentale vivere la povertà evangelica in prima persona. Non possiamo sentirci “a posto” quando un membro della famiglia umana è relegato nelle retrovie e diventa un’ombra. Il grido silenzioso dei tanti poveri deve trovare il popolo di Dio in prima linea, sempre e dovunque, per dare loro voce, per difenderli e solidarizzare con essi davanti a tanta ipocrisia e tante promesse disattese, e per invitarli a partecipare alla vita della comunità”.

In questo  nuovo anno pastorale ci siamo proposti di essere più vicini alle Caritas parrocchiali, per accompagnarle anche con la formazione. Appena sarà possibile e le condizioni sanitarie lo permetteranno provvederemo ad attivarci e riprendere con gioia i percorsi formativi interrotti, attivarne di nuovi e poterci abbracciare come fratelli e sorelle in Cristo.

Aldo Maringiò

Alluvione a Bitti. La Diocesi di Iglesias promuove una colletta per domenica 13 dicembre

Gli effetti dell’alluvione a Bitti del 28 novembre 2020 (foto ANSA)

Le piogge straordinarie di sabato 28 novembre, oltre ai danni ingenti alle case e a diverse strutture produttive, hanno purtroppo comportato anche la perdita di vite umane. Ad essere colpita in modo particolare è stata la comunità di Bitti.

La Diocesi di Nuoro, particolarmente coinvolta in questa vicenda nel registrare bisogni e fragilità della popolazione bittese, attraverso la Caritas diocesana sta opportunamente tenendo al corrente le Chiese particolari della nostra regione.

Partecipe con la preghiera al dramma di quella comunità, la Diocesi di Iglesias intende promuovere per domenica 13 dicembre una colletta per contribuire ad alimentare l’apposito fondo istituito dalla Diocesi di Nuoro, al fine di intervenire nel far fronte alle fragilità più urgenti riguardanti le famiglie bittesi colpite.

Le comunità parrocchiali sono invitate a promuovere delle proprie collette, versando il frutto della generosità dei parrocchiani e di chiunque volesse partecipare alla Caritas diocesana di Iglesias, la quale informerà puntualmente sul giornale diocesano a conclusione della raccolta, provvedendo a trasferirla immediatamente all’apposito fondo della Diocesi di Nuoro.

A seguire le coordinate bancarie da utilizzare per i versamenti:

DIOCESI DI IGLESIAS – CARITAS DIOCESANA
IT 36 M 01015 43910 000000016779

Causale: Alluvione Bitti

“Un deserto fiorito”. Storie di fragilità nei Centri di ascolto Caritas ai tempi della pandemia

“Anche in un deserto può sempre nascere un fiore”

Fin dai primi giorni dell’emergenza Covid-19 la Caritas diocesana di Iglesias ha continuato e rafforzato i propri servizi per stare accanto agli ultimi e alle persone in difficoltà, spesso in forme nuove e adattate alle necessità contingenti. Fra i diversi servizi rimasti attivi, anche i Centri di ascolto della Diocesi, seppur con giorni e orari modificati per necessità, hanno continuato ad operare sempre in presenza.

C’è una povertà che sfioriamo ogni giorno, che abbiamo accanto e di cui spesso non siamo consapevoli. La povertà concreta di chi, a causa della crisi economica, della perdita di lavoro, di una malattia, si vede trascinato in un mondo che non conosceva; la povertà di uomini e donne, spesso giovani, che non avrebbero neppure immaginato di trovarsi un giorno a non avere i mezzi per assicurarsi una vita dignitosa. Di disagio sociale e di povertà si è sempre parlato ma oggi siamo di fronte ad una situazione critica. L’aumento consistente del numero di persone che, in un contesto di partenza “normale” si ritrova indigente, pone di fronte a noi il dramma di tante famiglie alle prese con diverse difficoltà economiche, rispetto alle quali molto spesso non sanno come reagire: si trovano smarrite, quasi avvolte nell’ombra, dovendo affrontare una condizione che può essere anche drammatica.

L’ascolto nasce dalla volontà di spezzare quest’ombra, questo deserto troppo silenzioso; dalla volontà di accendere una luce su storie altrimenti destinate a restare al buio. L’ascolto nasce dal desiderio fraterno di raccontare vite invisibili ma non per questo prive di concretezza, di umanità ferita. Una realtà di cui non siamo e non vogliamo essere meri testimoni silenti. Tutt’altro: come cristiani dobbiamo sentirci fortemente coinvolti, responsabili come fratelli, gli uni degli altri. In tutto questo tempo di fragilità per ognuno di noi, a causa della pandemia, abbiamo incontrato e ascoltato esperienze difficili. Raccontando le loro storie, riuscendo a far vedere una nuova strada verso la serenità per molte famiglie, partendo dall’esperienza umana e dalle parole delle persone coinvolte, abbiamo cercato di fare luce su una realtà altrimenti silenziosa e di testimoniare che la vita di una persona può sempre cambiare in meglio. Le loro storie sono piene di paure ed incertezze ma anche di coraggio. Il cambiamento avviene attraverso un incontro che diventa fraternità.

Nel mese di giugno 2020 si è presentata al Centro di ascolto una ragazza di 32 anni, con figli e reduce da una separazione burrascosa: una persona molto provata, senza casa e senza sussidi; molto spaventata per il fatto di non avere apparentemente niente da dare ai propri figli, la più grande dei quali in attesa di un bambino. Inizialmente viveva da un’amica che l’aveva accolta. Giunta al Centro d’ascolto, indirizzata dal Consultorio della ASL, il primo giorno che l’abbiamo incontrata era molto diffidente e spaventata. L’abbiamo accolta affinché si sentisse a casa, assicurando che la sua storia – come quella di tutti coloro che si rivolgono ai Centri di ascolto – sarebbe rimasta nel segreto di quelle mura e di quei cuori fraterni.

Ci sono stati degli interminabili silenzi, fino a che, dopo averle chiesto il suo nome, la ragazza ha iniziato ad aprirsi e a parlare, seppur alternando continui silenzi carichi di significato e molto comunicativi. Dopo aver ascoltato la sua storia, i suoi bisogni e le sue richieste incerte e impaurite, abbiamo iniziato a tracciare insieme a lei una strada da percorrere. Quel giorno è andata via un po’ più serena. È tornata dopo una settimana, dicendoci che aveva ricevuto la tessera per l’Emporio della solidarietà e che stava lavoricchiando; in seguito l’abbiamo orientata al Caf per effettuare le pratiche utili ad ottenere alcuni sussidi di cui aveva diritto. Inoltre, le abbiamo suggerito di continuare ad andare al Consultorio, per lei ma soprattutto per la figlia in attesa. Ha trovato una piccola casa, per il cui affitto abbiamo provveduto inizialmente a sostenerla. Recentemente ha ottenuto il reddito di cittadinanza e, seppur con molta fatica, riesce a sostenere le spese quotidiane.

Finalmente il percorso della sua vita ha cominciato a prendere una traiettoria diversa. Si tratta di un cambiamento che è partito anzitutto dalla stessa ragazza. Inoltre, il Centro d’ascolto ha operato in rete con la comunità. Infatti, per poterla guidare ed aiutare sono state coinvolte diverse risorse (civili ed ecclesiali) che operano nel nostro territorio. La sua storia, peraltro, ha provocato un cambiamento interiore anche fra le volontarie del Centro di ascolto, ricordandoci come anche in un deserto, il nostro deserto – non solo quello di chi ci chiede aiuto –, può sempre nascere un fiore.

Anna Franca Manca