I 22 anni di accoglienza della Casa “Santo Stefano”

Una data: 26 dicembre 1996, festa liturgica di santo Stefano, diacono e primo martire. Risale a quei giorni, con alcuni letti a castello e poche altre mobilie, la predisposizione di un appartamento di proprietà della Diocesi (in Iglesias, via Amelia Melis de Villa, 7) per l’ospitalità temporanea di quanti ne facevano richiesta. Da quella data si sono compiuti ormai 22 anni: nei giorni scorsi, con Operatori, Volontari ed Ospiti abbiamo solennizzato l’inizio del 23° anno!  Eppure – nessuno lo direbbe – molte persone ancora mostrano meraviglia quando sentono parlare di questa realtà. Così, in questo spazio del settimanale diocesano, vogliamo parlarne un po’: non per “suonare la tromba quando fai la carità”, come raccomanda Gesù (Mt 6,2), ma per farla conoscere per il bene.

Un’opera ecclesiale

È stata la chiesa locale a volere quest’opera, affidandone la gestione alla Caritas diocesana. In continuità con il collaudato stile di azione della Caritas – “ascoltare, osservare, discernere per animare” – tra i bisogni del territorio a cui corrispondeva una scarsa se non totale assenza di risposte, era stata scelta un’opera sul bisogno sociale di accoglienza. Dal punto di vista economico, una realtà per intero portata avanti con i fondi provenienti dall’8‰, senza contributi di alcun genere da parte pubblica (se non qualche occasionale rimborso). L’ecclesialità connota tutta la conduzione della Casa. La connota nello spirito, che vuole essere il più possibile vicino al Vangelo; la connota nel ricercato rapporto con le realtà ecclesiali presenti in Diocesi: i Centri di ascolto, le parrocchie, le associazioni. È da queste ultime che provengono le richieste, come pure le persone che prestano il proprio servizio. Si cerca di portare avanti l’accoglienza in termini alternativi ai criteri economici imperanti propri delle imprese che operano nella società civile. Infatti, uno dei tratti principali dell’opera è il volontariato. Eppure la Casa è aperta in tutte le ore del giorno e in tutti i giorni dell’anno; anche nei giorni di festa, quando i servizi della pubblica amministrazione sono chiusi! A tutt’oggi è ancora così; il volontariato è una ricchezza impagabile. Molti volontari vengono da paesi diversi da Iglesias (Gonnesa, Villamassargia, Domusnovas, Fluminimaggiore, Portoscuso, Carbonia; e anche da fuori Diocesi: Siliqua e, nel passato, Vallermosa) e oltre al tempo ci rimettono letteralmente nelle spese di trasporto. La ricchezza sta nelle motivazioni e nello spirito con cui prestano il loro servizio, nella gratuità. La permanenza nel tempo e la continuità del servizio sono un “miracolo” consentito proprio dal piccolo contributo personale di tanti. Il “poco di molti” è preferibile al “molto di pochi”. Naturalmente, il volontariato ha i suoi limiti. Per avere la Casa sempre aperta, si deve necessariamente ricorrere a turni (quattro fasce orarie: due al mattino e due alla sera), turni che devono essere coperti da molte persone. I volontari sono più di 40; sembrano molti, ma periodicamente – specialmente nel periodo estivo e nei giorni delle grandi festività – ci troviamo in difficoltà a garantire l’apertura continuata. Per la notte, poi, è garantita la presenza di un custode. Un altro limite non da poco sta nel fatto che i volontari sono persone molto generose, ma per lo più senza alcuna specializzazione professionale. Con queste premesse si spiega anche il fatto che di norma si possono dare solamente ospitalità brevi. Per eventuali problematiche particolari degli ospiti ci si riferisce ai servizi territoriali.

Opportunità diversificate

Nel 2001 ci si è trasferiti alla sede attuale (via Tangheroni, n. 3). Essa si trova in una posizione ideale: ai piedi del colle del Buon Cammino, di fronte alle mura storiche della città; un luogo non disturbato dal traffico e tuttavia distante poche centinaia di metri dal centro storico. La proprietà, formalmente del Seminario, è da allora utilizzata dalla Chiesa locale per opere dedicate interamente alla carità e alla formazione. Accanto all’edificio destinato propriamente alla Casa di accoglienza si trova anche il Dormitorio e un ampio tratto di terreno. Nella parte che risale la collina sono piantati degli ulivi secolari, che in annate buone hanno anche prodotto decine di litri di olio; la parte più prossima alla strada è invece coltivabile ad orto. Questa ubicazione e ampiezza consentono oggi delle attività diversificate, impossibili nella sede iniziale. Ne elenchiamo qualcuna.

Persone affidate

Un’attività, che potremmo definire “quotidiana”, è la possibilità di accompagnare delle persone che, per diversi motivi e da diverse provenienze, vi si possono ritrovare per un periodo, più o meno prolungato, di sostegno in vista del miglioramento della propria persona. Negli anni sono ormai decine le persone che in forma di “affido” o di “messa in prova” o di fase intermedia dopo un periodo trascorso in comunità di recupero, hanno tratto giovamento da tale opportunità. A chiederne l’inserimento sono i Comuni, l’Amministrazione giudiziaria, le Comunità stesse. Anche questa è una forma di accoglienza; diremmo, anzi, di accoglienza qualificata. Se vogliamo, ancora un’accoglienza non “professionale” in senso stretto, ma assai proficua; non sono pochi, infatti, coloro che si rendono disponibili a continuare il volontariato anche dopo il periodo convenuto. Non si può non ringraziare chi segue questo specifico compito di accompagnamento.

Incontri formativi e di spiritualità

Pur non essendo possibile l’accoglienza residenziale di più giorni per numeri alti di presenze (la Casa può offrire ospitalità per una decina di persone), la struttura e il terreno circostante possono essere luogo favorevole per incontri di gruppi a carattere formativo. Oltre alla cappellina interna, vi sono alcuni ambienti coperti all’esterno e all’aperto, con tavoli per gruppi di lavoro. Negli anni, ad esempio, diverse sono state le parrocchie e i gruppi che ne hanno usufruito per persone adulte e per ragazzi. Segnaliamo con una certa enfasi questa possibilità alle parrocchie, invitandole a prendere in considerazione questa opportunità. Insieme alla formazione teorica, in questo luogo si può constatare di persona il valore dell’accoglienza e chi ne ha avuto l’opportunità può comprenderne la concreta importanza e tornando nella propria comunità la può proporre a tutti.

I giovani

Fin dagli inizi, decine di giovani sono passati nella Casa trovando occasione di crescita per il loro cammino di vita. Quelli che ne hanno tratto maggiori opportunità sono stati coloro che vi hanno trascorso periodi significativi; ci riferiamo in particolare agli obiettori di coscienza, quando il servizio militare era obbligatorio per i ragazzi, e successivamente ai giovani e alle ragazze in Servizio civile volontario. Tra gli ambiti per quest’ultimo, la Caritas ha sempre privilegiato il servizio alle persone. Ebbene, qui hanno potuto incontrare tanta umanità, tante persone nelle più diversificate forme di bisogno. È difficile che, dopo un anno trascorso nella Casa, dopo tanti incontri, i giovani non abbiano ricevuto una qualche impronta che li ha segnati. Altre presenze di giovani sono state due edizioni di campi di lavoro e formazione (erano stati denominati “Crescere facendo”): pochi giorni, una settimana, in cui alternare lavoro manuale e laboratori formativi. Pochi giorni, ma intensi. Per alcuni campi di lavoro negli anni passati sono venuti anche dei giovani provenienti da altre parti della Sardegna. Ecco una breve testimonianza dei giovani dell’ultimo turno in Servizio civile: “La prima cosa che ci viene in mente pensando a dove abbiamo trascorso quest’anno di servizio è che non sapevamo nemmeno della sua esistenza; ne avevamo sentito parlare vagamente e solo in occasione del servizio l’abbiamo conosciuta come realtà operante, avendola poi direttamente vista all’opera. Probabilmente bisognerebbe fare qualcosa di più per farla conoscere. In questo ambiente abbiamo avuto sicuramente un’occasione di crescita. Abbiamo veduto da vicino tanti carcerati in permesso-premio; abbiamo conosciuto non poche persone in condizione di disagio familiare e sociale; abbiamo potuto collaborare con i tanti volontari. Tutti abbiamo avuto modo di inserirci nella realtà della Casa in termini positivi, aiutati dai volontari che ci hanno accolto e “istruito”. È stato positivo incontrare tante persone, a cominciare dagli ospiti stessi. Sicuramente è stato un periodo per noi significativo, che lascerà traccia nella nostra vita. Pur con qualche inevitabile screzio, il clima che regna nella casa è quello di una famiglia. Ci riteniamo fortunati per aver fatto il nostro servizio qui, rispetto ad altri giovani che lo hanno svolto altrove. Come del resto abbiamo già fatto, ne parleremo senz’altro con altri giovani che incontreremo”.

La parola ai volontari

Tra i tanti, la testimonianza di due volontarie che vengono da Carbonia: “Contrariamente a tanti altri, ho saputo che c’era ad Iglesias una Casa di prima accoglienza e che si cercavano volontari da un articolo de L’Unione Sarda. Ne ho parlato con una mia amica e sono ormai otto anni che garantiamo la nostra presenza per una domenica al mese. L’ambiente è familiare e c’invoglia a fare bene il servizio. Crediamo che opere così, con questo spirito e partecipazione, siano provvidenziali per il nostro territorio. Magari se ne potesse fare una anche a Carbonia! Sono molto utili anche gli incontri formativi in cui abbiamo occasione di incontrare gli altri che come noi prestano servizio qui”. Alcune parole dell’attuale custode: “Svolgo il servizio di custode come volontario, insieme a tutte le altre persone che portano avanti la gestione della Casa. Il ruolo del volontariato qui è essenziale, indispensabile. Dal contatto quotidiano con gli altri volontari, credo che per tutti si tratti di un’importante occasione di crescita e di confronto: tutti abbiamo un “ritorno” dal servizio che prestiamo qui. Io personalmente l’ho potuto verificare per me proprio dal venire a contatto con le tante esperienze, anche dolorose, che sono uno spaccato della nostra società odierna. Il mio specifico servizio consiste nel garantire la presenza notturna e durante i momenti comuni dei pasti. Curo inoltre le registrazioni riguardanti gli Ospiti e la continuità di collegamento tra i volontari che si avvicendano nei loro turni. Mi è stato chiesto quale significato ha questa Casa per la comunità. Ebbene, ritengo che questa sia ormai una realtà consolidata nel Sulcis Iglesiente, territorio che sappiamo vivere una situazione economico-sociale piuttosto difficile. Persone e famiglie incontrano difficoltà di diversa natura, difficoltà incontrate da persone sole, da anziani, ma in misura crescente anche da giovani. La Casa poi assolve regolarmente la sua vocazione originaria: offrire la possibilità ai carcerati di usufruire dei giorni di permesso in un luogo riconosciuto affidabile dall’autorità giudiziaria. Insomma, un’opera importante e significativa”.

Alcuni numeri del 2019

La quotidianità impedisce forse ai volontari che fanno poche ore di turno alla settimana di rendersi conto dell’entità dei servizi che la loro opera contribuisce a produrre. Come ogni anno, nell’incontro di anniversario – quest’anno domenica 12 gennaio – sono stati riferiti i dati relativi all’anno appena concluso. Eccone qualcuno: nel 2019 sono state ospitate 107 persone (qualcuna anche più volte), di cui 93 stranieri e 14 italiani; come sappiamo, gli ospiti più frequenti sono i detenuti (98), ma sono state presenti anche persone la cui ospitalità è stata richiesta da Comuni o parrocchie o dai Centri di ascolto; sono stati preparati 4.454 pasti.

Come si giunge all’ospitalità

Talvolta si presentano delle persone senza nessun preavviso. Non si manda via nessuno, se il bisogno è reale. Tuttavia, la via ordinaria per chiedere l’ospitalità dovrebbe passare attraverso le parrocchie o i Centri di ascolto presenti nelle diverse zone della Diocesi. Altro discorso è quello civile, quando a chiedere sono le Amministrazioni comunali. La richiesta da parte delle parrocchie valorizza il loro ruolo e responsabilizza le comunità di provenienza. Così come dal territorio provengono le richieste di ospitalità, così è bene diffondere tra le persone la conoscenza della Casa, come anche promuovere la disponibilità delle persone per diventare volontari.

“Né di freddo né di fame”: il servizio del Dormitorio della Caritas di Iglesias

Ubicato ad Iglesias in via Tangheroni numero 3, di fronte alla preesistente Casa di prima accoglienza Santo Stefano, il Dormitorio della Caritas diocesana di Iglesias continua a svolgere un servizio prezioso per le persone più bisognose di un luogo di primo riparo e protezione, dove poter provare a ricostruire un percorso di effettiva autonomia.

Queste le tappe più importanti di un servizio forse ancora poco conosciuto. La Caritas di Iglesias, impegnata da moltissimi anni nel settore dell’accoglienza e della cura verso i soggetti più deboli, in convenzione con il Comune d’Iglesias dal 1° dicembre 2008 al 30 giugno 2009 portò avanti un intervento a bassa soglia rivolto ai senza tetto e ai senza dimora del territorio, garantendo a questi un riparo notturno e una prima colazione. La Caritas diocesana mise a disposizione una casa con dieci posti letto, soggiorno, cucina, lavanderia e doppi servizi, con ambienti separati per uomini e donne. Per garantire la realizzazione del progetto si avvalse della collaborazione della Cooperativa sociale “Orsa Minore”, che assunse il personale necessario per la realizzazione del progetto: un custode e un addetto alla pulizia dei locali. Questo progetto fu chiamato “Un tetto anche per noi”. Terminato questo “progetto a tempo”, il bisogno e l’esigenza del servizio-dormitorio non venne comunque a mancare; la Caritas per non lasciare un “vuoto” in maniera informale e grazie al solo apporto del volontariato, continuò per qualche mese nell’offerta di questo servizio.

Dal gennaio 2010 al giugno 2017 il progetto del Dormitorio ha usufruito di finanziamenti regionali nell’ambito del PLUS, in particolare del programma di contrasto alle povertà estreme, grazie al progetto denominato “Né di freddo né di fame”, che oltre alla Caritas e alla Cooperativa Sociale Millepiedi, aveva come partener il Comune di Iglesias, Ente capofila del PLUS per il Distretto d’Iglesias. Dal luglio 2017 fino ad oggi, invece, il Dormitorio è finanziato sia da un contributo regionale sia dai Fondi CEI 8xmille.

Nel corso degli anni si sono resi necessari dei lavori di ristrutturazione e ampliamento dei locali, che hanno accresciuto la disponibilità dei posti letto e un ampliamento del personale, con l’introduzione di un educatore professionale che coordina l’équipe, proprio perché si è ritenuto necessario apportare un costante monitoraggio professionale e di qualità; inoltre dal 3 maggio 2014 si è cominciato a offrire agli ospiti del dormitorio il pasto caldo serale. Accanto al servizio degli operatori sociali in organico per la gestione dell’attività, la Caritas si avvale anche della collaborazione di due operatori volontari per l’accompagnamento di alcuni ospiti che la mattina svolgono delle attività lavorative quali orto e manutenzione della casa.

L’obiettivo di un servizio a bassa soglia come il Dormitorio è quello di arrivare al cosiddetto “sommerso”, ovvero di avvicinare quei soggetti non conosciuti dai servizi. Il lavoro nella bassa soglia significa un cambiamento nel modo di lavorare tanto a livello organizzativo quanto a livello psicologico, dove l’obiettivo diventa non tanto la soddisfazione di una richiesta, quanto l’individuazione di una domanda che difficilmente sarebbe arrivata. Il Dormitorio offre una risposta primaria al problema dell’accoglienza abitativa: difficoltà che favorisce i processi d’emarginazione, isolamento e solitudine, soprattutto nelle persone appartenenti alle fasce più deboli (i senza dimora, gli alcoolisti, i tossicodipendenti, i malati psichiatrici, gli stranieri in difficoltà e gli ex detenuti). Si pone, inoltre, la finalità di aiutare le persone nel cammino di cambiamento dei propri comportamenti, soprattutto quelli a rischio sociale e sanitario, al reinserimento lavorativo e al ricongiungimento familiare. Tutto questo secondo lo stile dell’accoglienza e dell’ascolto, tipico della Caritas.

Il Dormitorio è aperto tutto l’anno e dispone di 14 posti letto. Agli ospiti sono forniti materiali di prima necessità quali: doccia schiuma, shampoo, schiuma da barba, detersivi, asciugamani, cambi lenzuola e farmaci di prima necessità. Vengono ospitati uomini e donne, italiani e stranieri, in situazione di disagio abitativo e in stato d’emarginazione sociale. Si può accedere alla struttura su richiesta dei Centri di ascolto Caritas presenti in Diocesi e su proposta dei Servizi Sociali dei Comuni. Gli operatori di turno valutano e accettano (soprattutto nelle giornate invernali) anche richieste d’ospitalità da parte di persone che dovessero giungere spontaneamente al servizio. Il loro compito, in ogni caso, è quello di inviare la persona al Centro di ascolto per formalizzare l’ingresso.

Ad oggi sono state accolte 345 persone: 266 di nazionalità italiana e 79 di nazionalità straniera.

Simona Canzoneri

 

“Fuori dall’Ombra”. Un progetto della Caritas diocesana per “tornare alla luce” della speranza e dell’autonomia

“Fuori dall’Ombra” è un progetto della Caritas diocesana che, in poco più di un anno dal suo avvio, prova a ridefinire concretamente il concetto di persona senza dimora, annoverando in esso non solo le persone che non possiedono un’abitazione, ma anche coloro che non possono contare su un ambiente di vita o un luogo di sviluppo delle relazioni affettive.

Quello delle persone senza dimora è certamente un fenomeno complesso che invita le varie iniziative caritative, ed anche le espressioni pastorali, ad operare in sinergia col sistema dell’accoglienza presente sul territorio, ad iniziare dalla Casa di prima accoglienza “Santo Stefano” e dal Dormitorio cittadino, entrambe opere-segno promosse dalla Caritas diocesana di Iglesias. Due servizi essenziali della Chiesa diocesana che si collocano all’interno di una rete di proposte capace di aumentare e di rendere più efficaci le iniziative di solidarietà e prossimità in favore delle persone in condizione di estrema precarietà. Questo è ciò a cui tende il progetto: sviluppare l’aspetto pratico dell’abitare educativo, consentendo di far vivere esperienze di lenta riabilitazione con l’ausilio di contesti di tipo formativo e professionalizzante.

È noto come in questo campo la formazione, sotto forma di esperienza pratica, possa divenire un mezzo privilegiato per realizzare uno spazio di maggiore autonomia di vita e di più consapevole orientamento dei percorsi personali. Verifichiamo, ad esempio, che l’inserimento lavorativo, caratterizzato da un solido accompagnamento socio-educativo, consente alle persone senza dimora, di sperimentare comportamenti ed in misura maggiore competenze adeguate a quegli spazi che costituiscono il campo privilegiato di riabilitazione e di integrazione.

Così, le persone che precipitano, o stazionano, nelle soglie dell’invisibilità devono poter disporre di percorsi che possano riattivare autoefficacia, evitando in questo modo le forme di cronicità, contraltare di smarrimento e di perdita di identità.

Date tali premesse è sembrato importante poter promuovere – in primo luogo in favore degli ospiti della Casa di prima accoglienza e del Dormitorio – delle piccole esperienze di impegno socio-lavorativo, svolte principalmente presso il fondo agricolo degli “Orti Solidali di Comunità”, in modo tale da consentire alle persone destinatarie del progetto di poter recuperare (e riconoscere) dall’esperienza personale competenze utili da investire per nuovi traguardi di vita.

L’obiettivo di fondo è dunque quello di accompagnare processi generativi, mediante l’attivazione di misure e attività, finalizzate a profilare percorsi di emancipazione da condizioni umane di forte insicurezza sociale. Questo fattore costituisce il momento decisivo sul quale “Fuori dall’Ombra” scommette tutto il suo percorso educativo, costruito laboriosamente insieme ad operatori e volontari. Tra le varie misure del progetto una delle più qualificanti è di sicuro quella riguardante il servizio diurno che rende possibile l’ospitalità a coloro che, accolti al dormitorio per la notte, durante la giornata non hanno luoghi in cui sostare. “Fuori dall’Ombra” ha scelto di investire sul recupero di una struttura che, a breve, potrà accogliere queste persone durante il giorno, affiancandole in percorsi di impegno, e promuovendo per loro pratiche di coabitazione orientate all’autonomia.

Attorno a queste prerogative si è modellato un percorso di intervento articolato in una serie di misure e di iniziative che aspirano a restituire identità e protagonismo a persone altrimenti destinate irrimediabilmente all’anonimato e all’invisibilità.

La prima ed importante iniziativa del progetto ha riguardato la strutturazione di una équipe di progetto che consentisse di procedere, in modo trasversale e sinergico, tra le diverse progettualità che in questo momento figurano sotto la responsabilità della Caritas diocesana di Iglesias. Tale gruppo di operatori è maturato all’interno della Caritas tra coloro che già in precedenza si erano resi protagonisti di iniziative di accompagnamento in seno ad altri progetti finanziati con fondi 8xmille. In particolare si è ritenuto indispensabile rendere eterogeneo un gruppo di lavoro, valutandone competenze e capacità di tipo personale, professionale e motivazionale. Da questi presupposti è nata un’équipe che sulla progettualità in oggetto conta oggi cinque operatori: due psicologi, un’educatrice, un formatore e una esperta nelle tematiche della finanza etica.

Ognuno di loro ha avuti assegnati aree e compiti di lavoro, in cui ci si è potuto muovere prioritariamente, ma non in modo esclusivo. Il modello organizzativo prevede una orizzontalità di confronto e scambio tra i vari operatori. Gli incontri e le sessioni di lavoro procedono a cadenza regolare, con degli appuntamenti settimanali e con un coordinamento esecutivo che consente al progetto, nella sua varia articolazione, di procedere in modo costante e progressivo. I medesimi operatori dell’équipe sono impegnati nella gestione e del “Punto famiglia” e del “Centro diurno”, elementi integranti di un progetto che è solo agli inizi e di cui si attende una crescita colma di speranza.

Simone Cabitza

“Orti solidali di comunità”. Molto più di un progetto di agricoltura sociale

È riduttivo definire “Orti Solidali di Comunità” un progetto di agricoltura sociale. Il progetto è molto di più. Anzitutto è il campo di applicazione di metodi e contenuti di carattere socio-educativo. Il progetto si propone di avere cura in senso integrale delle persone che hanno scelto di prenderne parte, provando a dare risposte a bisogni complessivi, nel contempo non rinunciando ad offrire aiuti concreti.

Si può legittimamente affermare che il progetto è fortemente promozionale delle persone e delle loro famiglie; un progetto che dialoga con diversi altri enti caritativi del territorio, intra ed extra ecclesiali, decidendo di optare, ad esempio, sul conferimento delle eccedenze del lavoro agricolo ad enti, servizi, opere solidali presenti in città.

A parte questo, “Orti Solidali di Comunità” si definisce nella progettualità socio-pastorale e s’inserisce a pieno titolo nelle iniziative di contrasto alla povertà, muovendo da una prospettiva che è insieme solidale – e non assistenziale – e di valorizzazione dei requisiti di protagonismo personale, per cui non ripiegato sull’aiuto, ma con l’obiettivo ambizioso di restituire dignità alle persone, attraverso gli strumenti della professionalizzazione e dell’empowerment individuale.

In un terreno di circa 3 ettari di proprietà del Seminario diocesano, in località Monti Santu ad Iglesias, va avanti, ormai da due anni, questa bella iniziativa della Chiesa diocesana, su cui la Caritas ha voluto fare un investimento, attraverso i fondi CEI 8xmille, ma soprattutto ha voluto esaltarne i motivi pastorali, progettando un intervento che accoglie persone in difficoltà, o in condizione di vulnerabilità, consentendo ad esse di venire accompagnate in un percorso di lavoro nel settore orticolo, e riconoscendo loro di essere sostenute nei bisogni immateriali e intrinseci, mediante un rigoroso affiancamento educativo, tratto integrante e qualificante del progetto.

Oggi “Orti Solidali di Comunità” è in fase di completo consolidamento, sia per quanto riguarda gli aspetti di produzione, che conta ragguardevoli quantitativi di ortaggi raccolti dagli operatori impegnati sul campo, sia per quanto riguarda gli sviluppi che il progetto sperimenta nel modello organizzativo e del lavoro, aperto ad ulteriori migliorie infrastrutturali, così come a più puntuali interventi in ordine all’educativa che gli è propria.

Il progetto, ormai da tempo, ospita stabilmente un numero non esiguo di operatori-beneficiari. Notiamo in loro, nel rapporto quotidiano, un avanzamento delle prerogative personali. Certamente il lavoro, questo particolare lavoro, svolto a contatto con la terra e la natura, si sta rivelando funzionale a rafforzare requisiti di salute. È di grande incoraggiamento per noi il fatto di poter ricavare dal frutto del lavoro prodotti alimentari che vengono serviti nelle tavole delle famiglie dei beneficiari. Questo aspetto ci consente di riconoscere ad “Orti Solidali di Comunità” il merito di provvedere, anche se in minima parte, al sostentamento di chi è occupato al suo interno.

Il progetto è per sua natura inclusivo e ricettivo, nel senso che in questi anni è riuscito a raccogliere intorno a sé un buon numero di collaboratori e simpatizzanti che oggi permettono di proiettare in avanti l’operatività e gli itinerari educativi, come percorsi differenziati, plurali ed individualizzati, pertanto più efficienti, tesi a risultati certificabili, pur sempre in linea con quell’essenza che richiama il valore evangelico del nostro agire.

Per concludere, vorremmo invitare individui e comunità parrocchiali a conoscere ancor meglio il progetto degli “Orti Solidali di Comunità”, venendoci a trovare ad Iglesias presso il luogo dove esso si svolge, per apprezzarne direttamente prassi, approcci e modi d’intervento.

Simone Cabitza

L’Emporio della Solidarietà. Un servizio della comunità per far fronte ai bisogni alimentari

L’Emporio della Solidarietà è un discount sociale promosso dalla Caritas diocesana ed operativo ad Iglesias, in via Crocifisso 97, dal giugno del 2016. Il servizio nasce grazie alla collaborazione del Coordinamento cittadino degli organismi socio-assistenziali di natura ecclesiale (coordinato dall’Ufficio pastorale della Caritas diocesana): le Caritas parrocchiali, il Volontariato vincenziano cittadino, il Terz’Ordine francescano della Chiesa conventuale di San Francesco e Sodalitas. Il progetto dell’Emporio prevede il conferimento di prodotti distribuiti non con pacchi già predisposti; sono i beneficiari, infatti, dopo esser stati ascoltati dagli operatori dei Centri di almeno una delle realtà aderenti al progetto, a scegliere secondo le proprie necessità, come in un vero negozio. Non si paga con denaro ma attraverso una carta personale che contiene dei crediti, attribuiti in base a diversi parametri, fra cui l’ampiezza del nucleo familiare; la tipologia, l’intensità e la durata del disagio; l’ISEE e altri indicatori. La carta magnetica è personale ed è identificata attraverso un codice. I dati raccolti dai Centri della rete del Coordinamento confluiscono in un database che permette immediatamente di capire chi si è rivolto ai vari servizi territoriali, compreso l’Emporio, evitando duplicazioni di interventi e, in prospettiva, promuovendo un percorso di liberazione dal bisogno.

Oggi, questo particolare servizio, presta aiuto a 306 persone beneficiarie, accreditate mediante il sistema della tessera a punti. Il servizio ha potuto contare fino ad ora sul contributo operoso di un buon numero di persone, tra volontari ed operatori, senza i quali non sarebbe possibile far fronte ai diversi aspetti di tipo organizzativo e di accompagnamento umano per un progetto così complesso.

Il servizio dell’Emporio ha origine, e si innesta del tutto naturalmente, nella progettualità socio pastorale diocesana. Attualmente, a distanza di tre anni dalla sua apertura, una duplice fase ne contrassegna il momento, da una parte di consolidamento dell’operatività, dall’altra di ampliamento delle prerogative pedagogiche delle sue prassi. In questo secondo caso ci si riferisce agli interventi di tipo educativo e di accompagnamento, i quali, benché prospettati e presenti fin dagli esordi, sono ritenuti oggi ancora più importanti ai fini del cambiamento auspicabile nei beneficiari del servizio.

A tal fine si è costituita un’équipe di lavoro, formata da specifiche professionalità, che si fa carico, in una logica di intervento integrato con tutti i soggetti coinvolti nelle forme d’aiuto collegate alla Caritas diocesana, di affiancare coloro che domandano aiuto. Tramite il lavoro educativo e la relazione con l’altro, l’équipe vuol provare ad incidere su quei fattori che stanno alla base delle difficoltà vissute dalle persone, spostando l’attenzione dal piano delle richieste al piano dei bisogni.

La prospettiva del bisogno, assunta a livello educativo, si colloca in un ambito di azione che sceglie di esplorare i motivi intrinseci non di rado anticipatori di disagio e povertà. Così, la richiesta portata dal singolo, o dalla famiglia, è valutata dall’équipe educativa attraverso colloqui volti ad approfondire le condizioni generali, personali ed ambientali di chi si accosta ai servizi caritativi.

L’intervento che si determina interessa la dimensione del cosiddetto “bilancio del capitale immateriale familiare”, con cui si vuole valutare, con la stessa attenzione, indicatori di criticità e risorse possedute dalle famiglie. Su questa linea di lavoro scaturisce il “piano familiare”, una sorta di carta di corresponsabilità che impegna i singoli su obiettivi possibili, da cui partire per inscrivere nella vita di tutti i giorni nuovi codici di comportamento e di condotta.

La realtà di questo lavoro sta portando alla luce una realtà umana smaniosa di intraprendere percorsi di emancipazione dall’aiuto, ridefinendo in sé risorse, abilità e progettualità di vita. Da queste intenzioni è nata la proposta educativa del progetto, che dialoga col servizio dell’Emporio, completandone idealmente l’itinerario di intervento. Siamo dunque ad una vera e propria fase 2.0 del progetto sia sotto il profilo logistico (passare dal conferimento dei viveri confezionati al recupero dei prodotti freschi e più in generale dell’invenduto) sia sotto il profilo educativo (creando connessioni fra le varie progettualità Caritas, i servizi ecclesiali e quelli istituzionali presenti nel territorio). Una fase delicata e importante, che vedrà impegnata la Caritas diocesana con rinnovata passione e determinazione a servizio dei poveri.

Simone Cabitza

L’impegno dell’Area Immigrazione per i fratelli stranieri

Il Centro d’ascolto “Il Pozzo di Giacobbe” è denominato così perché fa riferimento all’episodio in cui Gesù incontra la Samaritana. Coloro che giungevano dalla Samarìa erano considerati “stranieri”, “barbari”, “impuri” per un giudeo. Ne Vangelo si racconta che Gesù diede scandalo per il suo atteggiamento accogliente verso una persona che, secondo la mentalità del tempo, avrebbe dovuto respingere. La Caritas, e dunque la Chiesa, desidera seguire l’esempio di Gesù e intende contrastare l’atteggiamento alquanto ostile di molta parte della società del nostro tempo nei confronti dello straniero.

L’impegno della Caritas diocesana nel servizio a favore dei migranti risale a molti anni fa, quando sia con le accoglienze ordinarie alla Casa Santo Stefano sia con i percorsi di ascolto e accompagnamento dei detenuti stranieri, si cominciò ad offrire una specifica attenzione nei loro confronti. Un’esperienza assai significativa fu quella del 2011, quando si presentò l’occasione di accogliere un gruppo di 9 Somali inseriti nel Progetto ENA (Emergenza Nord Africa).  L’esperienza si rivelò positiva non solo per i migranti ma anche e soprattutto per gli operatori della Caritas, che a vario titolo s’impegnarono nel servizio, mettendo in pratica le parole del Vangelo: “Ero straniero e mi avete accolto” (Mt. 25,35). Anche grazie a quell’esperienza sono caduti molti pregiudizi e si è rafforzata la consapevolezza che siamo tutti esseri umani, a prescindere dal colore della pelle.

Dopo quella prima esperienza, proprio quando si ventilava la chiusura della Provincia di Carbonia-Iglesias e con essa del suo Centro Servizi per l’Immigrazione, la Caritas diocesana non ha voluto far mancare un servizio a favore dei migranti presenti nel territorio, istituendo, grazie a un progetto finanziato dalla Caritas Italiana (con Fondi CEI 8xmille) un primo Centro d’ascolto espressamente dedicato a loro (“Il Pozzo di Giacobbe”). Per una persona che, dopo una tragica esperienza di viaggio, arriva in un Paese straniero di cui non conosce la lingua, gli usi e i costumi, è motivo di conforto e di speranza trovare un luogo in cui esprimere i bisogni, l’ansia per le condizioni precarie, i progetti per il futuro.

L’impegno della Caritas non è, come talvolta si crede, quello di fare semplicemente la carità. Anche quello, certo, ma si tratta, soprattutto, di accogliere il migrante, accompagnarlo in un percorso di vita, fornirgli gli strumenti per raggiungere una completa autonomia. Compito non semplice, ma essenziale. L’ascolto è solo la prima fase dell’accoglienza. Una volta individuati i bisogni si devono mettere in campo le strategie adeguate per accompagnare la persona, senza però sostituirsi ad essa. Bisogna innanzitutto favorire l’apprendimento della lingua, con l’iscrizione ai corsi di l’alfabetizzazione, guidare il migrante nelle pratiche burocratiche (permesso di soggiorno, carta d’identità, tessera sanitaria, codice fiscale, ecc.) e talvolta sostenerlo nella ricerca di un alloggio. In casi di estrema necessità, la Caritas diocesana può offrire una breve ospitalità nella Casa di prima accoglienza “Santo Stefano” e un riparo notturno per i senza tetto nel Dormitorio attiguo. Queste strutture, insieme al Centro d’ascolto per stranieri e alle altre “opere-segno” presenti nella Diocesi (come, ad esempio, l’Emporio della Solidarietà), sono affidate quasi esclusivamente al servizio gratuito dei volontari che provengono dalle varie Parrocchie della Diocesi. È importante, infatti, che tutta la comunità cristiana sia parte attiva nella costruzione di un mondo migliore, divenendo accogliente e solidale nei confronti degli “ultimi”, come sempre ci ricorda Papa Francesco.

Caterina Moro

Diocesi di Iglesias. Indicazioni del Vescovo per vivere personalmente e comunitariamente la Terza giornata mondiale dei poveri

Nella luce dell’Anno Santo della Misericordia è ormai il terzo anno che il Papa invita tutta la Chiesa, nella XXXIII domenica del Tempo Ordinario (quest’anno il prossimo 17 novembre), a celebrare con intensità la Giornata Mondiale dei Poveri.

Voglio perciò esortare ogni battezzato e ogni Comunità cristiana della nostra Diocesi a lasciarsi coinvolgere con impegno nella riflessione, nella preghiera e nella solidarietà per i poveri e con i poveri, guidati dal Messaggio di Papa Francesco sul tema “La speranza dei poveri non sarà mai delusa” (Salmo 9/10).

Siamo chiamati come Chiesa nella vita ordinaria di ogni giorno ad imitare l’ascolto attento e pieno di amore di Dio per i poveri. Siamo chiamati ad avere una attenzione d’amore verso ogni povero, perché nessuno di loro abbia a perdere la speranza nella salvezza.

In questo impegno a seminare speranza nei fratelli sperimenteremo anche noi l’amore di Dio: “I poveri ci salvano perché ci permettono di incontrare il volto di Gesù Cristo” (Messaggio, n.9).

Si sviluppi una particolare attenzione ai temi suggeriti dal Messaggio del Papa, in particolare nelle celebrazioni eucaristiche di sabato 16 e domenica 17, e nelle diverse iniziative che ogni Comunità potrà realizzare.

Vi esorto ad accogliere i suggerimenti e le proposte che la Caritas diocesana, l’Ufficio Catechistico e l’Ufficio Liturgico hanno pensato per questa III Giornata Mondiale dei Poveri.

È importante che tutti prendiamo consapevolezza della realtà della povertà nella sua complessità, anche attraverso il servizio di quanti ascoltano e osservano sistematicamente il disagio dei nostri fratelli. A questo proposito segnalo che la Delegazione regionale della Caritas, l’11 novembre p.v., presenterà a Sassari il “Report su povertà ed esclusione sociale in Sardegna 2019” (disponibile da quel giorno sul portale www.caritassardegna.it).

Invito anche caldamente a conoscere meglio alcuni fra i tanti servizi caritativi presenti in Diocesi, sorti dalla collaborazione tra la Caritas e le comunità parrocchiali. Alcuni di essi rimarranno aperti in determinati orari per consentire, attraverso il dialogo con i volontari presenti, di “venire e vedere”, secondo l’esortazione evangelica.

Mi auguro che la nostra Chiesa viva al meglio questa III Giornata Mondiale per i Poveri e possa crescere nella testimonianza della carità e nell’esperienza dell’amore di Dio, a cui siamo chiamati nella fede del nostro Battesimo.

+ Giovanni Paolo Zedda

Materiali utili per la Giornata
Il testo del messaggio del Papa
La Scheda sugli aspetti liturgici, a cura dell’Ufficio liturgico diocesano
Le iniziative promosse nella Diocesi di Iglesias

In osservazione del disagio. Il prezioso servizio dell’Osservatorio diocesano delle povertà e delle risorse (OPR)

L’Osservatorio delle Povertà e delle Risorse (OPR) nasce sulla base della sollecitazione emersa nel corso del secondo Convegno ecclesiale nazionale (Loreto 1985) ed ha, quindi, una funzione esplicitamente pastorale. È uno strumento della Chiesa diocesana affidato alla Caritas, quale “strumento a disposizione della Chiesa locale, per: aiutare la comunità cristiana a osservare sistematicamente le situazioni di povertà, di disagio, di emarginazione, di esclusione presenti sul territorio e le loro dinamiche di sviluppo rivolgendosi, in modo comunicativo, alla comunità ecclesiale e all’opinione pubblica, favorendo il coinvolgimento e la messa in rete dei diversi attori sociali impegnati sul territorio; verificare ed approfondire l’utilizzo delle risorse e stimolare eventuali proposte di intervento”. (Cei, Nota pastorale “La Chiesa in Italia dopo Loreto”, 1985).

Destinataria principale del lavoro dell’OPR è l’intera comunità cristiana, nell’ottica della «prevalente funzione pedagogica» della Caritas. Tale funzione è finalizzata all’acquisizione della consapevolezza che la testimonianza della carità da parte della comunità nel suo insieme, va tradotta in vita vissuta con la disponibilità e il servizio, la prossimità e l’ospitalità, il dono di sé e dei propri beni, l’attenzione alle necessità del vicino di casa come ai grandi problemi del mondo, la passione per la pace e la giustizia.

L’OPR intende offrire alle comunità locali degli strumenti di analisi perché la carità cristiana non si esaurisca nell’elemosina ma comprenda la conoscenza delle cause della povertà e delle risorse disponibili sul territorio per contrastarle, la promozione, a livello locale, di eventuali servizi specifici o iniziative di aiuto. L’Osservatorio si rivolge anche alla comunità civile, cercando di offrire il contributo della propria conoscenza per il miglioramento dell’offerta dei servizi e per l’individuazione delle priorità degli interventi.

Un interlocutore privilegiato dell’OPR è rappresentato dalle Parrocchie: da valorizzare, per la ricchezza e l’unicità del punto di vista che potenzialmente possono assumere rispetto al proprio territorio e alle povertà che la stessa può esprimere e al contempo arginare; da coinvolgere, perché assumano consapevolezza di questo loro ruolo privilegiato e crescano nella “abilità” di leggere il proprio territorio, per cercare di avere una conoscenza concreta, puntuale e coraggiosa delle condizioni di difficoltà e di bisogno esistenti all’interno della vita della comunità. L’intento non è un semplice monitoraggio dei bisogni da assistere, ma lo sforzo di comprendere le persone con problemi, l’esame dei fenomeni di emarginazione ed esclusione e le relative cause, le sfide socio-culturali, i meccanismi di insensibilità ed egoismo individuale e collettivo.

Anche la nostra Caritas diocesana si è dotata di questo strumento pastorale (lo compongono la scrivente unitamente a delle giovani volontarie): un primo risultato è stata  la pubblicazione, lo scorso anno, del primo Rapporto diocesano sulle povertà, presentato nella sala polifunzionale del Comune di Carbonia, il 30 novembre 2018.

Il documento, elaborato utilizzando principalmente i dati dei Centri di Ascolto (CdA) diocesani e parrocchiali riferiti all’anno precedente, offre uno spaccato delle situazioni di povertà ed emarginazione presenti nel territorio diocesano. Dopo un’analisi dei principali dati socio-anagrafici delle persone che si sono rivolte ai CdA (numero di persone ascoltate, età e genere, livello di istruzione, situazione occupazionale…), il documento analizza le richieste ricevute e gli interventi effettuati, ma soprattutto i bisogni rilevati dagli operatori durante l’ascolto, che fanno spesso emergere situazioni di difficoltà e di disagio inespresse ma non per questo meno dolorose. Così, se le richieste hanno riguardato principalmente beni e servizi materiali, e sussidi economici, alla povertà materiale di cui sono espressione si accompagnano spesso problemi derivanti dalla perdita o dalla mancanza di lavoro, problemi familiari, problematiche abitative e/o sanitarie. Per questo, gli interventi effettuati, pur dando risposte alle richieste più pressanti, hanno riguardato anche il coinvolgimento di enti e/o parrocchie, l’orientamento verso servizi specifici, pubblici o privati, l’offerta di consulenze professionali; insomma una presa in carico globale ed un accompagnamento verso una responsabilizzazione e promozione della persona.

Il rapporto può costituire un utile strumento per capire il nostro “qui e ora”; quali segnali provengono dal nostro territorio oggi e quali problemi sarà chiamata ad affrontare la nostra società domani, prima che diventino emergenze.

Poiché l’attività di osservazione va considerata come metodo pastorale ordinario e sistematico di approccio alle realtà, l’Osservatorio costituisce uno strumento in continua evoluzione, da migliorare ed affinare continuamente, in modo da costituire uno strumento sempre più utile ai fini pastorali per i quali è nato.

Maria Marongiu

“Inspire to change”. La Caritas incoraggia la riflessione e il volontariato tra i giovani studenti

Le numerose problematiche sociali e culturali che l’attuale società ci propone ogni giorno ci portano inevitabilmente a dover trovare risposte sempre più concrete e a cercare nuove soluzioni. Non sempre però si trovano giovani che dedicano la loro attenzione al mondo che gli circonda e a come certe scelte o indifferenze possano poi essere dannose per il futuro.

Nel rapporto diocesano sulle povertà presentato nel 2018 viene rilevato proprio l’aumento della povertà fra i giovani. Questa povertà non è solamente materiale ma ha una struttura multidimensionale che si riflette sulla cultura civica anche dei più piccoli: povertà di educazione alla cittadinanza, a fronte di crescenti fenomeni di devianza e di illegalità diffusa; povertà morale e di senso, col crescere di fenomeni quali il suicidio; povertà affettivo-relazionale, analfabetismo emotivo.

Da qui nasce il nostro progetto “Inspire to change”, uno strumento che riconoscendo la necessità di sensibilizzare gli studenti delle scuole primarie e secondarie rispetto ai temi della cittadinanza attiva, all’interiorizzazione, al rispetto delle regole, all’educazione alla mondialità e alla pace, al rispetto e al valore del nostro prossimo e alla solidarietà, vuol stimolare la curiosità all’informazione su ciò che ci circonda, alla conoscenza della diversità presente nel mondo, della sua ricchezza e di come, anche se tutte diverse, le persone siano tutte uguali, in modo da arricchire la propria cultura all’impegno del bene comune e al saper vivere in comunità con solidarietà. Quella solidarietà, basata sulla comune appartenenza all’umanità, che esprime in concreto il sentimento di fraternità, creando anche un’importante funzione pedagogica attraverso il gioco e l’azione. I nostri animatori si sono formati in precedenza attraverso l’esperienza in servizio civile, abbracciando i valori dell’obiezione di coscienza e della cittadinanza attiva. E ad oggi la loro formazione continua. Prendendo spunto dalla famosa frase di Gandhi “Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo” ci auguriamo che attraverso la nostra missione di riflessione i nostri giovani crescano con consapevolezza e determinazione per il loro futuro.

Elena Sanna

Caritas “in-formazione”. Caritas diocesana e proposte formative per le Foranie della Diocesi (anno 2019-2020)

Fin dall’inizio del suo pontificato Papa Francesco ha esortato tutti noi ad essere “Chiesa in uscita”. È questo uno dei motivi principali che ha spinto i componenti dell’équipe della Caritas diocesana a intraprendere un cammino verso il territorio della nostra Diocesi, offrendo in primo luogo un supporto formativo alle Parrocchie per far nascere la Caritas parrocchiale qualora non ci fosse o dare nuovi impulsi alle Caritas parrocchiali esistenti. In questo percorso formativo sono invitati anche gli altri gruppi caritativi esistenti nelle varie comunità parrocchiali, così come qualsiasi operatore pastorale che voglia approfondire e capire meglio che cosa fa la Caritas, come agisce e per conto di chi agisce, quale sia il metodo, chi sono e cosa fanno gli operatori pastorali della carità.

La formazione costituisce un elemento essenziale, non accessorio, della testimonianza della carità. Ad essa si deve fare riferimento prima di intraprendere qualsiasi progetto e nello stesso tempo non si può e non si deve fermare solo alla fase iniziale, dovendo considerarsi costante e permanente.

La formazione permette di promuovere la crescita umana e un adeguato stile di servizio delle persone e dei gruppi che intendono impegnarsi nel servizio caritativo. Nello stesso tempo genera una conoscenza diretta del “Vangelo della carità” e una diversa consapevolezza anche in termini di fede, in particolare nel dare compimento al comandamento dell’amore in senso cristiano (cfr. Gv, 13,34).

La Caritas sperimenta quindi un tipo di formazione che integra, alimenta ed è alimentata dalla sua azione pastorale di promozione della testimonianza comunitaria della carità. È quindi un elemento costitutivo della (e nella) vita della Chiesa, che integra la dimensione dell’annuncio e della lode a Dio. Dimensione essenziale, dunque, nella misura in cui è in grado di esprimere e realizzare la sua prevalente funzione pedagogica: aiutare tutta la comunità a testimoniare l’amore di Dio, promuovendo la promozione integrale della persona (di tutta la persona e di tutte le persone), la pace e la giustizia sociale.

Per aiutare le Caritas parrocchiali (organismo pastorale istituito per animare la comunità parrocchiale) a vivere la testimonianza della carità non solo come fatto privato ma soprattutto come esperienza comunitaria, la Caritas diocesana organizza, per l’anno pastorale 2019-2020, degli itinerari formativi (“corsi base”) da realizzarsi nel territorio delle quattro Foranie della Diocesi:

  • Forania di Iglesias, novembre a dicembre 2019;
  • Forania di Carbonia, da gennaio a febbraio 2020;
  • Forania di S. Antioco, da febbraio a marzo 2020;
  • Forania del Sulcis, da aprile a maggio 2020.

Si invitano pertanto le Parrocchie, ed in particolare i Parroci (di diritto, presidenti delle Caritas parrocchiali) a cogliere in modo propizio questa occasione formativa, dando in tempo utile la propria adesione direttamente alla Caritas diocesana (chiamando al numero 0781.33999 o scrivendo all’indirizzo segreteria@caritasiglesias.it).

L’équipe formatori della Caritas diocesana di Iglesias