La raccolta dei punti vendita di Iglesias del gruppo Superemme Spa donata all’Emporio della Solidarietà

Dal 2 aprile all’11 maggio, su iniziativa del gruppo imprenditoriale Superemme Spa, che ha visto coinvolti i punti vendita Iperpan, Superpan e Hardis, è stato possibile realizzare delle collette di prodotti di prima necessità grazie alla generosità dei tanti clienti che, col loro gesto, hanno voluto dare una mano alle famiglie in difficoltà del territorio, molte delle quali alle prese con tanti bisogni accresciuti anche a causa di questo periodo di emergenza sanitaria.

Grazie a tale iniziativa, l’Emporio della Solidarietà di Iglesias, all’interno del quale sono stati depositati i prodotti raccolti presso i citati punti vendita della città, ha potuto dare una risposta alle esigenze – principalmente alimentari – di un maggior numero di persone che ad esso si sono rivolte.

La proficua collaborazione tra gli addetti dei supermercati e gli operatori della Caritas ha permesso di rendere fin da subito accessibili, nei locali dell’Emporio, i beni frutto della generosità di tanti cittadini che hanno aderito alla proposta solidale, dimostrando vicinanza alle persone maggiormente colpite dall’inedita situazione emergenziale. Tra i prodotti raccolti: pasta, riso, zucchero, olio di semi di girasole, olio extravergine d’oliva, caffè, latte, tonno, fette biscottate, sale fino, sale grosso, farina, omogeneizzati, pomodori pelati, polpa di pomodoro, passata di pomodoro, carne in scatola, legumi, legumi secchi, sardine all’olio d’oliva, colombe pasquali, dadi per minestre, dolciumi vari, succhi di frutta, polenta, olive in vetro, maionese in tubetto, tè, sgombri, scatolette di formaggini, carta igienica,  schampoo, bagnoschiuma, detersivo per pavimenti, detersivo per i piatti, asciugatutto, pannolini di varie misure, salviette per bambini e altri prodotti per l’igiene.

A nome dei beneficiari, la Caritas diocesana di Iglesias esprime la propria gratitudine ai clienti, ai punti vendita e al gruppo Superemme Spa che ha promosso l’iniziativa.

La Caritas diocesana di Iglesias

Ascoltare e prendersi cura delle fragilità dei giovani: la storia di Rachele

Quando non hai punti di riferimento e il contesto familiare è fragile ti senti persa nel vuoto. Un disguido economico può capitare a tutti, così come un momento di bisogno per il quale ritieni di doverti rivolgere al Centro d’ascolto della Caritas. È così che vieni sostenuta e scopri che quell’istante si rivela un momento di apertura e di svolta per la tua vita.

Questa è la storia di una giovane ragazza, Rachele (un nome di fantasia), che ha riscoperto sé stessa e quanto di buono c’è in lei, anche grazie all’aiuto di un buon ascolto. La ragazza, ascolto dopo ascolto, passo dopo passo, entrando in relazione con le volontarie del Centro d’ascolto “Marta e Maria” della Caritas diocesana, si è aperta raccontando la propria storia, rimarcando tra una lacrima e l’altra di sentirsi perduta: così giovane e – solo apparentemente – senza nessun obiettivo davanti a sé.

Ed è proprio durante i diversi ascolti che è emersa la voglia di rimettersi in gioco e poter realizzare un sogno. Così le è stato proposto un corso professionale come Operatore socio-sanitario (OSS), che la ragazza ha frequentato fino a raggiungere il traguardo finale. Con una qualifica in mano la vita ha un sapore diverso. Alle lacrime di disperazione si sostituiscono quelle di gioia. Ora può mettere in pratica le cose che ha imparato e volare alto con le proprie ali.

Abbiamo raccolta dalla ragazza una breve testimonianza (che riportiamo sotto) perché sia d’esempio alle tante persone che vorrebbero ritrovare se stesse dopo aver attraversato momenti di sconforto.

Quando mi hanno proposto di frequentare il corso di Operatrice socio-sanitaria ho accolto subito questa opportunità. Bisogna cogliere ogni opportunità che la vita ti offre: se te la lasci sfuggire ci vorrà del tempo prima che si ripresenti o potrebbe addirittura non ripresentarsi mai più.

Prima di frequentare il corso soffrivo molto; pareva che non si aprisse nessuna porta… E quando le aspettative sono ridotte a zero e ti capita una bella opportunità, come quella che è capitata a me, è allora che si apprezza veramente ciò che si ha.

Ci sono due modi per essere felici: tentare di migliorare la realtà in cui vivi o abbassare le proprie aspettative: durante il corso mi sono impegnata non solo perché mi è stata data un’opportunità ma perché essa poteva rappresentare per me un vero e proprio cambiamento di vita.

Il corso prevedeva due fasi: una teorica e un’altra pratica (un tirocinio presso una struttura); soprattutto durante il tirocinio mi sono resa conto che “accoglienza vuol dire costruire ponti tra le persone” e che tra le cose più belle vi è senza dubbio quella di fare un lavoro che ti piace e che ti fa sentire viva.

Dopo aver terminato il corso è cambiato qualcosa in me. Se dovessi riassumere in poche parole cosa ho appreso riguardo al lavoro dell’OSS direi così: passione, amore, pazienza e competenza.

Il lavoro che mi troverò a fare mi porterà ad essere in contatto con le persone, anche in situazioni particolari. Il lavoro che ho scelto mi piace e mi sento fortunata per questo. L’obiettivo dell’Operatore socio-sanitario è quello di creare benessere, infondere serenità, stimolare e sostenere l’autonomia delle persone. Proprio ciò di cui ho avuto bisogno anch’io, prima di rivolgermi al Centro di ascolto.

Il corso di formazione ha permesso a Rachele di farle riscoprire la propria identità e le aspirazioni personali, mettendo in luce le proprie risorse. Nel valorizzare la funzione pedagogica del Centro d’ascolto della Caritas è stato possibile un arricchimento non solo per lei ma anche per il gruppo dei volontari che per un anno ha seguito la ragazza. Dopo averle teso la mano nei momenti bui, passo dopo passo è arrivato il conseguimento del titolo professionale. La sua felicità è divenuta anche la gioia dei volontari del Centro di ascolto.

A cura del Centro di ascolto “Marta e Maria” di Iglesias

Le risposte caritative nell’emergenza: il servizio della Caritas a Carbonia

Volontari Caritas in servizio al Centro Unico

Il Centro di ascolto interparrocchiale “Madonna del Buon Consiglio”

A Carbonia i servizi della Caritas, a seguito dell’emergenza Covid-19, hanno dovuto ripensare la propria organizzazione, vista anche l’età di diversi volontari. A partire da metà marzo, nel Centro di ascolto zonale “Madonna del Buon Consiglio” sono stati ridotti i giorni di apertura ed attivato un numero telefonico per le urgenze. Con l’istituzione del COC (il Centro Operativo Comunale), la Caritas è stata chiamata a dare un contributo di assistenza attraverso l’ascolto e la preparazione e distribuzione dei pacchi spesa alle famiglie segnalate dallo stesso Centro, la cui condizione è significativamente peggiorata a causa dell’emergenza. Inizialmente, il servizio caritativo maggiormente coinvolto è stato quello del Centro unico di raccolta e distribuzione viveri di via Lubiana, ma attualmente si sta intensificando anche la necessità di ascolto e di interventi immediati nei confronti di tante famiglie in difficoltà. Insostituibile è l’apporto delle Caritas parrocchiali, che in modo capillare hanno anche svolto azione di orientamento verso i servizi disponibili e le opportunità di sostegno, per le quali il Centro di ascolto ha spesso svolto un servizio di consulenza e orientamento su questioni di carattere burocratico. Le Parrocchie, dunque anche in questa emergenza hanno continuato ad essere un punto di riferimento per le tante persone e famiglie bisognose di una parola di conforto e di un aiuto concreto.

Dal 13 marzo (data di attivazione del COC) a fine aprile, nell’ambito della collaborazione con il Comune, sono stati effettuati circa un centinaio di interventi, con l’approvvigionamento di pacchi spesa e bombole, spesso consegnati a domicilio. I richiedenti sono per lo più italiani, ma oltre il 20% è di nazionalità straniera (in particolare senegalese) o di etnia rom. A queste famiglie si aggiungono quelle regolarmente assistite, per le quali sono stati introdotti i buoni spesa, ad integrazione dell’intervento con beni FEAD o altri disponibili, per dare la possibilità di acquistare generi deperibili, non presenti negli interventi fin qui effettuati.

Dalla prima settimana di maggio il Centro di ascolto ha ripreso con i giorni di apertura e gli orari consueti, dal lunedì al giovedì, adottando tutte le precauzioni di distanziamento e di protezione previsti, in modo da far fronte alle richieste di ascolto (che si prevedono in aumento), da parte di famiglie che da anni non si avvicinavano al Centro o che non si erano mai avvicinate, e che spesso vengono segnalate dai Servizi sociali del Comune di Carbonia.

Maria Marongiu

 

Il Centro unico di raccolta e distribuzione viveri di via Lubiana

Per rafforzare il proprio servizio a Carbonia, nel contesto dell’emergenza sanitaria, la Caritas diocesana ha firmato una convenzione con il Comune che ha coinvolto il Centro d’ascolto “Madonna del Buon Consiglio” di via Satta e il Centro unico di raccolta e distribuzione viveri di via Lubiana, unitamente alla Caritas parrocchiale della Parrocchia Santa Barbara di Bacu Abis. Le tre realtà caritative sono state chiamate a dare un contributo di assistenza attraverso l’ascolto e la distribuzione di beni di prima necessità alle famiglie da loro segnalate. A questo proposito, sia il Centro d’ascolto sia il Centro unico sono stati da subito convocati dal sindaco di Carbonia, Paola Massidda, assieme alla Croce Rossa Italiana e alla Polizia municipale, per un primo incontro da cui sono scaturite le “linee guida” per organizzare gli interventi, soprattutto per la distribuzione dei viveri. A seguito della convenzione è poi proseguita ufficialmente la collaborazione con il Centro Operativo Comunale (COC), che ha permesso la dotazione di risorse finanziarie per l’acquisto di viveri e dei “buoni pasto” da consegnare ai beneficiari. Inoltre, i Servizi sociali del Comune si sono adoperati per elaborare le disposizioni e ricevere le domande per l’ottenimento dei buoni spesa.

Ne è derivato uno sforzo notevole messo in campo da tutti i volontari Caritas e non solo, i quali non si sono tirati indietro, anche con il servizio a domicilio per tutte le persone che di volta in volta ne hanno fatto richiesta. Sono state prese ovviamente tutte le misure di sicurezza consigliate, con la sanificazione continua dei locali e l’uso dei dispositivi di protezione individuale, messi a disposizione anche degli stessi beneficiari. Sono state numerose le donazioni di mascherine confezionate artigianalmente, assai preziose soprattutto nel primissimo periodo, dato che non se ne trovavano facilmente. Il COC ha disposto che nei supermercati e nei centri commerciali si posizionassero dei cosiddetti “carrelli solidali”, con i quali è stato possibile integrare le dotazioni di viveri. Si sono susseguite donazioni di viveri e anche alcune donazioni in danaro, per far fronte alle grandi richieste di aiuto pervenute in questi mesi. I panifici hanno donato in abbondanza i propri prodotti. Alcuni imprenditori si sono fatti carico di acquistare uova di Pasqua e colombe pasquali per tutti i beneficiari.

Non è dunque mancata la solidarietà da parte della collettività, nonostante la difficoltà del momento. È stata assai importante la collaborazione con le varie associazioni di volontariato, ecclesiali e non, presenti nel territorio. Da parte delle Parrocchie, del Centro di ascolto e del Centro unico si è sempre cercato di accompagnare l’aiuto concreto con un sorriso e una buona parola di incoraggiamento, ricevendo l’apprezzamento per il modo di porsi, accogliente e rispettoso nei confronti di tutti.

Giovanni Busia

I Carabinieri della Scuola Allievi “Trieste” a sostegno della Caritas di Iglesias

I Carabinieri della Scuola Allievi, insieme agli operatori dell’Emporio, nelle operazioni di carico dei prodotti alimentari.

In diverse circostanze, in particolare nel periodo quaresimale, il Comando Scuola Allievi Carabinieri “Trieste” di Iglesias ha dato testimonianza di  importanti gesti di solidarietà. Per venire incontro alle necessità di numerose famiglie del territorio con difficoltà economiche, ha organizzato in diverse occasioni una raccolta di viveri da destinare all’Emporio della Solidarietà della Caritas di Iglesias, cui aderiscono diverse realtà caritative.

Anche in quest’inedita situazione di clausura forzata, dovuta all’emergenza sanitaria, la Scuola Allievi non ha voluto far mancare il proprio sostegno alla Caritas diocesana di Iglesias. Nonostante l’assenza degli studenti, che da diverse settimane hanno visto interrompere il corso di preparazione, il Tenente Colonnello Antonio Iaderosa ha voluto prendere i contatti con il direttore della Caritas, Raffaele Callia, per esplorare in quale maniera poter sostenere la Chiesa diocesana nelle sue attività in favore delle persone più fragili, oggi ancora più vulnerate a causa della grave crisi economica e sociale legata alla pandemia.

Alcuni dei prodotti trasferiti dalla sede dell’Emporio e diretti a Carbonia

Il Comando della Scuola Allievi ha così deciso di avvalersi dei mezzi e degli uomini a disposizione per trasportare dall’Emporio della Solidarietà di Iglesias al Centro unico Caritas di Carbonia una considerevole donazione di prodotti alimentari e beni di prima necessità, frutto della generosità di alcune aziende, giunti dalla Penisola nel centro di smistamento di Cagliari. Grazie a questa rinnovata attenzione della Scuola Allievi Carabinieri, altre strutture caritative e realtà parrocchiali della Diocesi (in particolare a Carbonia, Bacu Abis, Narcao e Sant’Antioco) hanno potuto distribuire i beni alle famiglie in affanno anche a causa dell’emergenza sanitaria in corso.

A nome delle tante famiglie destinatarie dell’aiuto, il direttore della Caritas esprime profonda gratitudine per la generosità dimostrata, a conferma della fiducia che l’Arma dei Carabinieri ripone nella Caritas diocesana e nei confronti dei propri operatori. Un’occasione per dire grazie al prezioso servizio reso quotidianamente dall’Arma in favore della collettività.

La Caritas diocesana di Iglesias

La storia di Marisol: dal Venezuela al Sulcis-Iglesiente, in cerca di libertà

Mentre parla, un lieve sorriso sulle labbra, quasi a nascondere imbarazzo e timidezza. Ma gli occhi non possono celare un velo di malinconia. Marisol (la chiameremo così per questioni di riservatezza), ha lasciato la sua terra, il Venezuela, circa un anno fa per venire in Italia. Fuggiva da una situazione molto difficile, non solo per lei, ma per tutto il popolo del suo Paese: disagio sociale, crisi economica, e soprattutto una fortissima inflazione hanno investito questa terra tanto bella ma altrettanto martoriata, dalle scelte di chi la governa e dagli scenari internazionali.

Il suo è stato un viaggio veloce – sapeva già come ci si doveva muovere – ma non per questo meno rischioso. «Ho lasciato la mia città passando il confine con la Colombia, il 26 febbraio 2019, a piedi. Sono più o meno 2 chilometri. In 15 minuti ero a Cucutà e poi da lì fino a Bogotà. Da qui ho preso un aereo per Madrid, dove sono arrivata il 27 febbraio dello scorso anno, per poi ripartire immediatamente per Roma. Da lì, lo stesso giorno, sono giunta a Cagliari, verso le 10 di sera». Ma a Cagliari, in realtà, è rimasta solo una notte, ospite di una sua amica venezuelana. La sua vera destinazione era una cittadina mineraria dell’Iglesiente che, da qualche anno, era divenuto il luogo di residenza della signora Consuelo (anche questo è un nome di fantasia). «La signora Consuelo è stata molto importante per me; la conobbi tramite Facebook e si offrì subito di aiutarmi. Mi ospitò qualche giorno nella sua casa e poi mi accompagnò negli uffici della Caritas diocesana, ad Iglesias», da dove è iniziato un determinante percorso di accompagnamento e consulenza giuridica per l’ottenimento del permesso di soggiorno. La signora Consuelo riveste un ruolo importante anche dopo, perché «è stato grazie a lei che ho potuto lavorare per qualche tempo». Marisol, prima di trasferirsi definitivamente nella cittadina mineraria, dove tuttora vive e lavora, è stata ospitata nella Casa di prima accoglienza Santo Stefano della Caritas diocesana. Qui ha trascorso un periodo di circa due mesi e mezzo.

Alla domanda su come si è trovata nella Casa sorride, quasi ride, in un misto di imbarazzo e riconoscenza: «All’inizio mi sentivo smarrita, impaurita… Ero preoccupata, quasi terrorizzata, perché avevo dovuto lasciare mia figlia in Venezuela, con mia madre. Certo, sapevo che con lei era in buone mani, ma era terribile pensare a quanto era lontana, che non potevo abbracciarla e stare con lei… Inoltre, lì alla casa Santo Stefano non conoscevo nessuno. E poi c’era un’altra questione: non conoscevo neanche una parola di italiano!». Ma giorno dopo giorno, stando a stretto contatto con le persone che in un modo o nell’altro ruotavano attorno alla casa, «mi rendevo sempre più conto che tutti mi volevano bene, e cercavano, chi in un modo chi in un altro, di aiutarmi, di confortarmi, di farmi sentire a mio agio, di farmi ridere – e ne avevo davvero bisogno! -, di farmi sentire come se fossi a casa». Perché è proprio questa la parola che Marisol, commossa, usa: “casa”. «È stato davvero come stare in una grande famiglia, mi sono sentita coccolata e, soprattutto, protetta. Non mi sentivo più un uccellino impaurito bagnato dalla pioggia, come mi aveva descritto un giorno una persona della casa Santo Stefano riferendosi all’impressione che le avevo fatto appena ero arrivata lì». Marisol ricorda un po’ tutti: i volontari e le volontarie, i ragazzi del Servizio civile, con i quali ha instaurato un bel rapporto di amicizia, con gli ospiti della casa, e con tutti gli altri. «Don Roberto, per esempio, il responsabile della casa, ogni volta che ci ritrovavamo a pranzo e c’era anche lui, non perdeva occasione di chiedermi come stavo, e di scherzare magari cercando di parlare un po’ di spagnolo!».

Ma la barriera della lingua? Nella risposta non c’è esitazione: «Cercavo di imparare quanto più possibile, ripetevo, chiedevo. E poi ho anche ricevuto qualche lezione di italiano da una persona della Casa che conosceva la mia lingua. Sono state vere e proprie lezioni, che mi sono state molto utili. Soprattutto per la caparbietà e la pazienza nello spiegarmi che in italiano si dice “Vado”, e non “Bado”».

Qual è stata la cosa più importante durante la permanenza nella Casa Santo Stefano? «Certamente avere un tetto, un letto e due pasti al giorno – oltre la colazione – è stato importante, ma, ripeto, la cosa davvero importante che ho ricevuto è stato il supporto psicologico, il sentirmi ben voluta e accettata. E la cosa straordinaria, ancora oggi che non sono più là, è che tutto questo è avvenuto spontaneamente, senza che quasi si rendessero conto di quel che stavano facendo». Più in generale, i rapporti con la Caritas sono stati ottimi: «con il direttore, con la segretaria, con le persone del Centro d’ascolto per stranieri. Tutti mi hanno offerto supporto psicologico e morale, soprattutto nel primo periodo».

Che cosa mi mancava più di tutto, in quei giorni? «Mia figlia! Ho già detto che era un tormento il fatto che lei non fosse con me. Lo era di giorno, ma ancora di più la notte, quando la sentivo al cellulare e poi, una volta chiusa la chiamata, non potevo evitare di piangere. Continuavo a chiedermi quando l’avrei riabbracciata, ma era sempre lei che mi dava la forza per resistere: dovevo farcela, dovevo superare tutto per lei. E poi, dopo alcuni lavori saltuari, a luglio ho firmato un contratto di lavoro: anche se solo per tre mesi, con rinnovo fino a dicembre, i soldi che ho guadagnato mi sono serviti per pagare il viaggio per l’Italia a mia figlia e a mia madre, che doveva necessariamente accompagnarla». Da quando c’è lei qui con me è tutto diverso.

Quanti anni ha tua figlia? «Sette anni!», risponde con orgoglio, mentre lei fa capolino e saluta, con un faccino sorridente e vivace. Quando sei riuscita a far venire tua figlia in Italia? «Ai primi di dicembre».

Hai ottenuto il permesso di soggiorno, giusto? «Sì, è tutto a posto».

Come ti trovi nella cittadina dove vivi? Hai nostalgia della Casa Santo Stefano? E del Venezuela? «Non mi trovo male, però è un periodo molto difficile, perché adesso non sto lavorando, è difficile trovare un lavoro – soprattutto nel pieno di questa emergenza sanitaria –, non solo per me: è difficile per tutti. Nostalgia della casa Santo Stefano? Sì, certamente, e delle persone che durante la mia permanenza mi sono state vicine. Del Venezuela ho sempre nostalgia, come potrei non averne, è la mia terra».

Ci tornerai? «Sì, quando la situazione economica e politica cambierà e migliorerà ritornerò. Ma portandomi nel cuore le persone che ho conosciuto in Italia».

Intervista a cura di Giampaolo Atzori
Casa di prima accoglienza Santo Stefano

Emergenza Coronavirus e Centri di ascolto Caritas. Prosegue l’impegno nella Diocesi di Iglesias

Ingresso della sede della Caritas diocesana

Anche in questo periodo di emergenza sanitaria, ad Iglesias, Carbonia, Sant’Antioco, Santadi, Fluminimaggiore e Buggerru, i Centri di ascolto della Caritas diocesana continuano a garantire il proprio servizio. Proseguono insieme ad altre realtà ecclesiali e non, in rete, lavorando con un unico obiettivo: aiutare il prossimo in modo da assicurare che non manchi mai l’essenziale, a cominciare proprio dall’ascolto, offrendo una parola di conforto e di speranza, in un momento di grande disorientamento per tutti. Dall’ascolto si passa al gesto di prossimità concreta, garantendo che nessuno sia lasciato solo e ognuno possa sentire di appartenere a un’unica comunità, nella quale ci si prende cura gli uni degli altri.

Anche i Centri d’ascolto si attengono strettamente alle regole richieste dalla Caritas diocesana ed imposte dai provvedimenti normativi nazionali e territoriali. Il servizio continua a rimanere attivo, seppure con modalità diverse rispetto al passato. Per evitare assembramenti le persone possono entrare una alla volta e gli ambienti vengono costantemente sanificati e areati, tutelando i volontari e i beneficiari del servizio. Si cerca il più possibile di non far mancare il tradizionale clima di accoglienza ed empatia che sempre deve caratterizzare il servizio al prossimo, compreso quello imprescindibile dell’ascolto, pur dietro a una mascherina.

Gli effetti delle misure adottate dal governo si stanno ripercuotendo sulla nostra comunità, facendo aumentare il numero delle persone che richiedono una mano d’aiuto: lavoratori, commercianti e piccoli imprenditori di aziende artigiane che oggi devono lasciare la serranda abbassata. Ci troviamo davanti a famiglie che vivono in un territorio già segnato dalla crisi economica e che si rivolgono ai Centri di ascolto per richiedere una mano d’aiuto o semplicemente per avere un po’ di conforto. “Siamo tutti sulla stessa barca” ci ricorda Papa Francesco. Ed è proprio in questo mare di incertezza e di sconforto che siamo chiamati a mettere in pratica i doni delle virtù teologali: la fede, la speranza e la carità; che ci invitano a vivere come fratelli, aiutandoci l’un l’altro per abbracciare sempre di più un mondo fatto di prossimità. Grazie alla collaborazione dei volontari, la solidarietà non è venuta meno nonostante le misure di sicurezza imposte delle autorità civili per contrastare il diffondersi della pandemia.

Iglesias. I Centri d’ascolto di Iglesias (“Marta e Maria” e “Il Pozzo di Giacobbe” per stranieri), pur avendo ridotto i giorni di servizio settimanali, continuano a garantire il sevizio in presenza svolto in sede, garantendo anche un ascolto telefonico sempre operativo, 24 ore su 24. I Centri di ascolto operano in rete con i Servizi sociali del Comune, con le Caritas parrocchiali della città, con i Gruppi del volontariato vincenziano e con Sodalitas. Inoltre, ad Iglesias la Caritas diocesana è sempre disponibile ad attivarsi, laddove servisse, per rispondere a situazioni economiche di particolare urgenza, a fornire consulenza legale ed orientamento nella rete dei servizi, ad ospitare le persone per una prima accoglienza e a fornire una risposta al bisogno alimentare attraverso l’Emporio della Solidarietà.

Carbonia. In questo periodo di emergenza, la Caritas ha intensificato la sua presenza grazie alle tante persone che, nelle Caritas parrocchiali, hanno continuato ad essere segno di prossimità e di sostegno concreto. Il Centro di ascolto inter-parrocchiale “Madonna del Buon Consiglio”, data la situazione di particolare rischio alla quale sono esposti diversi volontari, ha dovuto limitare i giorni di accesso ma ha comunque messo a disposizione un numero telefonico per le emergenze. Tramite il Centro di ascolto e il “Centro unico di raccolta e distribuzione viveri”, la Caritas a Carbonia è stata inserita nel Centro Operativo Comunale (COC) e, a seguito della firma di un’apposita convenzione, è stata incaricata della preparazione e distribuzione di pacchi viveri e generi di prima necessità alle persone in difficoltà.  Dal 13 marzo, data di attivazione del COC, le richieste pervenute sono in continuo aumento e dare risposte immediate ed efficaci diventa sempre più impegnativo per i tanti volontari che quotidianamente, in rete, si spendono con altri gruppi di volontariato della città.

Sant’Antioco. Sono diverse le attività svolte in questo periodo anche dal Centro d’ascolto inter-parrocchiale “San Francesco e Santa Chiara” di Sant’Antioco. A seguito dell’attivazione del protocollo con il Comune di Sant’Antioco, si sta garantendo una collaborazione sistematica con l’Amministrazione comunale. Diversi ascolti, aiuti concreti e l’intervento a seguito di apposite telefonate a persone sole ed anziane, stanno permettendo di cogliere diverse esigenze di questo periodo così complesso.

Santadi. Nel tempo che stiamo vivendo, segnato dall’emergenza coronavirus e dalle ristrettezze psicologiche e materiali che ciò comporta, ognuno di noi è chiamato a prendersi cura del prossimo. Nelle opere come nei pensieri dobbiamo far sentire la solidarietà cristiana, soprattutto noi come operatori dei Centri di ascolto Caritas siamo chiamati ad essere testimoni viventi della carità cristiana. Abbiamo tutti bisogno di spiritualità e di ritornare a Dio attraverso la preghiera. Anche al Centro di ascolto inter-parrocchiale di Santadi, “Madre Teresa di Calcutta”, i volontari si sforzano di garantire la vicinanza a tutto il popolo di Dio con l’ascolto e la preghiera, ancor più in questo periodo così difficile, nel quale è richiesta una maggiore intimità con Dio, facendo riscoprire il calore della preghiera a tu per tu col Signore.

Fluminimaggiore-Buggerru. Nel rispetto dei decreti governativi emanati a seguito dell’emergenza da coronavirus e in conformità con le disposizioni date dalla Caritas diocesana, il Centro di ascolto inter-parrocchiale “Mater Misericordiae” di Buggerru e Fluminimaggiore ha deciso di tenere aperto lo sportello di ascolto, seguendo nuove modalità atte alla tutela dei beneficiari e dei volontari, continuando l’opera di attenzione e cura al prossimo. Il servizio continua a lavorare in rete con le altre realtà socio-assistenziali presenti nel territorio, mettendo in essere anche altre attività che possano assistere gli indigenti anche dal punto di vista alimentare. Oltre al servizio di consegna dei beni alimentari presente in modo permanente attraverso le parrocchie interessate, i volontari del Centro d’ascolto si sono resi disponibili per nuove iniziative di solidarietà: nei market di Fluminimaggiore, da circa due settimane, vi è una raccolta viveri, grazie anche al contributo della protezione civile. Inoltre, si è resa necessaria la preparazione giornaliera di alcuni pasti caldi per persone in difficoltà. I volontari del Centro d’ascolto nella comunità di Buggerru hanno aderito all’iniziativa promossa da Supermercati di Sardegna e Caritas Sardegna #UNITIESOLIDALI e #ANDRÀTUTTOBENE, garantendo la raccolta di beni di prima necessità, coadiuvati da alcuni volontari per il trasporto dei viveri. Le comunità stanno rispondendo generosamente alle iniziative intraprese e si sta procedendo alla consegna dei viveri in favore di quanti ne hanno bisogno. L’emergenza è occasione per intensificare la relazione con Dio: senza ingigantire la situazione, senza cedere agli allarmismi, ma cogliendo l’occasione per sentirci parte di una comunità che sa inventare nuove forme di prossimità, sollecitudine e generosità verso i più deboli. Restando uniti riusciremo come cristiani a offrire un modo e uno stile nel vivere queste situazioni non da disperati ma da credenti, nel Dio della Vita e nella capacità dell’uomo di rinascere e ripartire. Tutto questo arricchisce il concetto di carità, la quale richiede di stabilire delle relazioni forti tra le persone. Continueremo il nostro servizio tenendo vivi i doni della fede, della speranza e della carità; virtù essenziali, da custodire e valorizzare in un tempo silenzioso e di riflessione come questo.

I referenti dei Centri di ascolto della Caritas diocesana di Iglesias
Anna Franca Manca, Maria Marongiu, Rafaela Milia, Stefania Taris, Franco Farris

Il Dormitorio Santo Stefano al tempo del COVID-19

Uno degli ambienti di accoglienza notturna del Dormitorio

Anche in questo periodo di emergenza, il Dormitorio della Caritas diocesana di Iglesias prosegue il proprio servizio a favore delle persone più bisognose, continuando ad accogliere gli ospiti presenti nella struttura, i quali, dal 9 marzo scorso sono accuditi anche nelle ore diurne. Questa decisione è stata presa dalla direzione della Caritas diocesana per salvaguardare la salute degli stessi ospiti e per evitare che questi ultimi incorressero nelle sanzioni previste dalla legge. Obbligate alla quarantena, le persone accolte nel Dormitorio si stanno rendendo utili con piccole attività lavorative all’interno della Casa e nell’orto presente all’interno dell’area dedicata.

In quest’articolo diamo voce a due degli ospiti attualmente presenti nel Dormitorio.

Simone. Ho vissuto e lavorato per 15 anni a Cesena. Con l’inizio della crisi economica sono stato licenziato e per alcuni mesi ho cercato una nuova occupazione. Alla fine sono stato costretto a chiedere ospitalità in un Dormitorio, a Cesena. Purtroppo non ho trovato un nuovo lavoro e avendo terminato i miei risparmi sono tornato ad Iglesias, dove ho chiesto aiuto a don Roberto Sciolla, il quale mi ha proposto di venire in questa struttura dove mi trovo attualmente. Devo dire che c’è una differenza tra il Dormitorio di Cesena e questa struttura: a Cesena l’ospitalità non superava le tre settimane, poi dovevi lasciare il Dormitorio ed eventualmente chiedere una nuova accoglienza dopo 6 mesi, mentre qui sono ormai alcuni anni che sono ospite, con il privilegio di essere uno degli ospiti “fissi” del Dormitorio. Do una mano d’aiuto nell’orto e nelle piccole manutenzioni della casa. Da alcuni mesi faccio parte del progetto “Fuori dall’ombra”, programma che prevede il coinvolgimento, alcuni giorni alla settimana, nel progetto “Orti Solidali di Comunità”, promosso sempre dalla Caritas diocesana. Questo progetto prevede un reinserimento progressivo in un’abitazione, per far sì che si riacquisti una certa autonomia. Ora siamo fermi a causa del Coronavirus. Speriamo che tutto questo finisca presto, per riprendere il percorso da dove è stato interrotto. Qui al Dormitorio mi trovo bene, anche se la mia aspettativa è quella di trovare un impiego così da essere nuovamente autosufficiente. Penso che la decisione di tenere tutti noi 24 ore su 24 all’interno del Dormitorio sia stata una scelta saggia, perché ha permesso a tutti noi di essere al sicuro e di ridurre al minimo la possibilità di contagio da Coronavirus; anche se qualche volta la convivenza tra noi può essere difficile.

Virgilio. Ero ospite di una Comunità di recupero, avendo problemi di alcolismo, quando son dovuto partire per Torino per assistere mio fratello gravemente malato e ricoverato in ospedale. Fortunatamente mio fratello è migliorato e ho fatto rientro ad Iglesias, convinto di poter riprendere in Comunità. Purtroppo, però, il mio rientro ha coinciso con l’epidemia di Coronavirus e gli operatori della Comunità mi hanno comunicato che non mi avrebbero potuto ospitare, provenendo io da una zona a rischio. Marco, un operatore della comunità, ha dunque preso contatto con gli operatori del Dormitorio, una struttura che io già conoscevo perché ero stato ospite altre due volte. Ho parlato con la Coordinatrice del Dormitorio la quale, come condizione per essere accolto, mi ha chiesto di effettuare un tampone. Sono andato all’Ospedale SS. Trinità di Cagliari e ho là fatto il tampone: il test è risultato negativo e così sono stato accolto. Qui mi trovo bene, mi sento in famiglia e c’è un bel confronto con gli operatori, che mi permette di essere ancora più tranquillo. Pochi giorni dopo il mio arrivo il Dormitorio ha chiuso le porte al mondo esterno. Inizialmente non è stato facile accettare questa decisione, perché mi limitava nella mia libertà (uscite, ricerca di piccoli lavori…); poi ho capito che era la cosa giusta da fare per noi stessi. Gli operatori ci hanno spiegato che in casi particolari possiamo uscire con alcune attenzioni: mascherina, guanti e autocertificazioni. La permanenza nella struttura è meno pesante perché fortunatamente ci sono ampi spazi, ci si confronta con gli altri ragazzi, si parla di quelle che sono le nostre speranze, le nostre aspettative per il futuro. Con gli altri ospiti ho un buon affiatamento; si scherza tra di noi.  Dove sarò fra alcuni mesi? Spero di riuscire a metter da parte un po’ di soldi e partire per Torino, non appena questa emergenza sanitaria sarà finita.

A cura di Simona Canzoneri

Coronavirus, la carità non si ferma. Intervista del Settimanale “Sulcis Iglesiente Oggi” al direttore della Caritas diocesana

Impegno solidale ed emergenza sanitaria, la pandemia non rallenta l’aiuto. Dialogo con Raffaele Callia, direttore diocesano e incaricato regionale Caritas

In questo tempo di Covid-19, qual è l’impegno della Caritas Italiana per aiutare chi è più nel bisogno?
La Chiesa italiana si è impegnata da subito nel dare una risposta alla grave emergenza dovuta al diffondersi del COVID-19. Alla Caritas Italiana, organismo pastorale della CEI, i Vescovi hanno affidato il non semplice compito di coordinare le iniziative solidaristiche delle Chiese locali, proprio perché – come ha dichiarato il presidente, Mons. Redaelli –, se a causa delle limitazioni imposte dalle norme straordinarie volute dalle autorità nazionali la dimensione della Parola, quella dei Sacramenti e quella comunitaria hanno subito inevitabili limitazioni, non poteva invece venire meno la dimensione della Carità. A livello nazionale non è dunque mancata l’azione concreta e immediata della Caritas fin dai primissimi giorni di crisi. A questo proposito voglio ricordare che lo stesso Papa Francesco, tramite il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, il 12 marzo scorso ha donato 100mila euro alla Caritas Italiana per un primo significativo soccorso, in particolare a favore dei poveri e delle persone più deboli e vulnerabili. Inoltre, il giorno seguente la Presidenza della CEI, per sostenere le Caritas diocesane nella quotidiana azione di supporto alle persone in difficoltà a causa dell’emergenza, ha deliberato lo stanziamento di 10 milioni di euro derivanti da donazioni e dall’8xmille, permettendo di rafforzare l’azione consueta delle Caritas in Italia. Va ricordato a beneficio di tutti, anche con lo scopo di fare chiarezza e spegnere possibilmente ogni sterile e inutile polemica – assolutamente fuori luogo, visto il dramma che stiamo vivendo – che in linea di massima, i servizi caritativi in Italia, pur essendo stati costretti a una rimodulazione, assai significativa soprattutto nelle zone più colpite dal punto di vista sanitario, stanno continuando a garantire risposte importanti, in alcuni casi determinanti, ai bisogni di tanti fratelli e sorelle in difficoltà.

DSC_0585In Sardegna quali difficoltà si stanno affrontando, i servizi sono regolarmente erogati?
È ancora prematuro fornire statistiche esaustive sui bisogni emergenti e sulle problematiche sociali ed economiche legate alla pandemia nella nostra regione. A livello empirico, tuttavia, è possibile fare riferimento alle accresciute difficoltà di persone e famiglie che già vivevano in condizioni di precarietà: lavoratori in nero; cittadini stranieri che sbarcavano il lunario come venditori ambulanti; badanti e collaboratrici domestiche – per lo più straniere – trovatesi improvvisamente senza lavoro e spesso senza casa (ove soggiornavano per il lavoro); anziani soli dominati dalla paura; famiglie costrette di punto in bianco a farsi carico della didattica a distanza senza poter disporre di dispositivi congrui e di un’adeguata alfabetizzazione informatica; famiglie con figli portatori di disturbi del neurosviluppo o di bisogni educativi speciali, costretti a una non semplice quarantena; lavoratori autonomi, commercianti ed anche liberi professionisti rimasti a casa forzatamente e con una preoccupante prospettiva per il futuro. Sono solo degli esempi, molto concreti, che ci aiutano a raccontare una pagina inedita di fragilità inaspettate. Devo anche sottolineare il fatto che, proprio a causa del blocco più o meno generalizzato di un sistema economico assai precario nel nostro territorio, le prospettive per il futuro si configurano in modo tutt’altro che incoraggiante.
Come Delegazione regionale Caritas, e dunque come rete delle Caritas diocesane della Sardegna, in sintonia con i decreti del Governo, le indicazioni dei nostri Vescovi, della Conferenza Episcopale Italiana e di Caritas Italiana, ci siamo adoperati da subito per portare avanti i servizi essenziali in favore delle persone più fragili e bisognose, con piena assunzione di responsabilità, con tutte le cautele del caso e la prudenza necessaria per evitare inutili rischi. C’è un grande sforzo da parte di tutte le Caritas diocesane nel dare una risposta alle richieste di aiuto, sia in termini morali, psicologici e relazionali, con un servizio di ascolto che si è dilatato anche attraverso il telefono, sia in termini di prossimità concreta attraverso gli aiuti alimentari, i sussidi economici, i farmaci, ecc. Devo anche dire che se è vero che sono grandi i problemi ancor più grande è la solidarietà che si sta registrando a livello generale: dal piccolo contributo dato in semplicità da tante persone, anche nella disponibilità di un servizio volontario o di un’offerta in denaro, alla significativa disponibilità delle catene dei market che si sono mobilitate per dar vita alle cosiddette “spese solidali”. Questo rende giustizia rispetto a una certa narrativa e testimonia un’attestazione di fiducia dei tanti che vedono nella Chiesa un interlocutore autorevole.

Nella diocesi di Iglesias quali servizi sono attivi?
Inizierei col dire che le nostre parrocchie, se è vero che hanno subito delle limitazioni per quanto attiene le celebrazioni e le attività catechistiche, con lo scopo di evitare gli assembramenti, non hanno mai smesso di costituire un riferimento importante per quanti hanno delle difficoltà sotto ogni profilo, da quello morale e spirituale a quello prevalentemente materiale. Pertanto, le Caritas parrocchiali, e più in generale i servizi caritativi a livello parrocchiale, devono continuare ad essere considerati dei punti di riferimento imprescindibili per quanti dovessero trovarsi in difficoltà.
Dal canto suo la Caritas diocesana, pur costretta anch’essa a rimodulare il proprio operato in virtù delle restrizioni imposte dall’emergenza, continua a garantire i servizi essenziali alle persone più fragili e bisognose. Pertanto è bene ricordare che restano aperti i Centri di ascolto di Iglesias, Carbonia, Sant’Antioco, Santadi e Buggerru/Fluminimaggiore, seppure con diverse restrizioni e precauzioni; ecco perché suggerisco previamente un contatto telefonico con i servizi, utile anche per un primo ascolto. Restano aperti il Dormitorio, la Casa di prima accoglienza “Santo Stefano” e l’Emporio della Solidarietà (tutti a Iglesias); i Centri di raccolta e distribuzione viveri di Carbonia e Sant’Antioco. Peraltro, la Caritas diocesana continua a garantire il Servizio di Sostegno Economico per far fronte alle necessità più urgenti, oltre che la consulenza e l’orientamento alla rete dei servizi territoriali, a cominciare da quelli istituzionali. Rispetto a quest’ultimo aspetto, voglio ricordare che la Caritas è in stretto e costante contatto con i Centri Operativi delle principali Amministrazioni comunali del Sulcis-Iglesiente.

Las-Vegas

L’immagine dei senzatetto di Las Vegas, richiamata anche da papa Francesco, ci fa pensare a quanto verrà dopo l’emergenza: questa pandemia come inciderà sulla nostra attenzione culturale per gli ultimi?
Il Papa si riferiva al fatto che, a causa della chiusura di un rifugio per i senzatetto che ospitava centinaia di persone a Las Vegas, il parcheggio di uno stadio è stato di punto in bianco adibito a loro ricovero. A ben considerare si stagliano all’orizzonte due immagini paradigmatiche e dissonanti: da un lato l’immagine di una Las Vegas abbacinante, con la sua industria del divertimento e del lusso; dall’altra quella di una città in cui vivono i poveri dimenticati da tutti, esistenze “da parcheggio” venute a galla come d’improvviso. Anche in questa drammatica circostanza le parole del Papa sono illuminanti. L’umanità intera sta affrontando un’ennesima crisi, con conseguenze che si protrarranno a lungo termine anche sotto il profilo culturale, nei modelli e negli stili di vita. Noi tutti, com’è ovvio, attendiamo quanto prima l’uscita dal tunnel dell’emergenza sanitaria; dell’isolamento forzato; delle relazioni umane ridotte ai minimi termini o affidate al solo livello della comunicazione via internet o telefonica. Tuttavia, se non cogliessimo in questa nuova crisi globale, dopo quella finanziaria dell’ultimo decennio, una straordinaria occasione per ripensare il nostro modello di vita, il nostro rapportarci con gli altri, in particolare con i poveri di casa nostra e dell’intero pianeta, con chi fa fatica a dare senso alla propria esistenza, avremmo perso clamorosamente la sfida più alta, quella della difesa della dignità umana. Non vorrei che, finita l’emergenza, si stendesse ancora una volta una subdola coltre di indifferenza sulle gravi ingiustizie sociali presenti in tante parti del mondo così come dietro l’angolo di casa nostra.

Come si può contribuire per aiutare la Caritas nel proprio servizio?
Anche a livello diocesano non stanno mancando i segnali di una solidarietà concreta, sia nella disponibilità a fare del volontariato sia nel contribuire con raccolte alimentari o offerte in denaro. Tutto è prezioso e di tutto bisogna dire grazie a Dio che, anche attraverso la generosità di queste persone, continua a testimoniare la sua Carità per noi. Suggerisco di consultare il portale http://www.caritassardegna.it, ove è possibile leggere gli aggiornamenti sulle iniziative in corso a livello regionale e dunque anche diocesano; di scrivere alla casella di posta elettronica segreteria@caritasiglesias.it o di chiamare il numero dell’Ufficio della Caritas diocesana (0781.33999, dalle 9 alle 14.00, o lasciando un messaggio in segreteria), per chiedere informazioni ed avere risposte non solo alle richieste di aiuto ma anche alle domande di quanti desiderano aiutare chi è più fragile.

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Gianni e Maurizio, insieme per servire chi chiede aiuto all’Emporio

Il progetto dell’Emporio della Solidarietà, promosso dalla Caritas diocesana di Iglesias e reso possibile grazie alla collaborazione tutta iglesiente con le Caritas parrocchiali, il Volontariato Vincenziano, Sodalitas e il Terz’ordine francescano, prevede il conferimento di prodotti alimentari (confezionati e freschi) distribuiti non con pacchi già predisposti. Sono i beneficiari, infatti, dopo esser stati ascoltati dagli operatori dei Centri di almeno una delle realtà aderenti al progetto, a scegliere secondo le proprie necessità, come in un vero negozio. Non si paga con denaro ma attraverso una carta personale che contiene dei crediti, attribuiti in base a diversi parametri, fra cui l’ampiezza del nucleo familiare; la tipologia, l’intensità e la durata del disagio; l’ISEE e altri indicatori. La carta magnetica è personale ed è identificata attraverso un codice. I dati raccolti dai Centri della rete del Coordinamento confluiscono in un database che permette immediatamente di capire chi si è rivolto ai vari servizi territoriali, compreso l’Emporio, evitando duplicazioni di interventi e, in prospettiva, promuovendo un percorso di liberazione dal bisogno.

In questo articolo si dà voce ai due operatori che fin dal principio, insieme al coordinatore dell’Emporio, Luciano Cuccu, rendono possibile un servizio così prezioso per la città di Iglesias.

 


Maurizio Santus

Ho scoperto un nuovo e interessante progetto promosso dalla Caritas di Iglesias in un momento particolare della mia vita. Si trattava dell’Emporio della Solidarietà, di cui mi parlarono gli operatori della Caritas diocesana, nel 2015, in maniera molto dettagliata; anche per sondare la mia eventuale disponibilità a collaborare. L’idea progettuale mi sembrò fin da subito un’ottima opportunità per me, in quanto potevo dare una mano alle persone in difficoltà. Essendo un vincenziano della chiesa di Nostra Signora di Valverde, mi ritrovavo a realizzare il desiderio di sostegno concreto agli altri. Dal punto di vista pratico ho iniziato a svolgere un’attività del tutto nuova: il coordinatore di magazzino. Ho acquisito specifiche competenze informatiche, come ad esempio inserire sulla piattaforma nazionale della Caritas, denominata “Ospoweb”, la merce acquistata (anche se non pagata in denaro), assegnare i crediti a ciascun alimento, caricare nelle tessere i punti assegnati a singoli o nuclei familiari segnalati dai Centri d’ascolto, stampare nuove tessere, assegnare la spesa ai richiedenti il servizio viveri, seguire gli adempimenti burocratici legati anche alla distribuzione dei prodotti AGEA/FEAD (Agenzia per l’erogazione delle Eccedenze in Agricoltura). Nei tre giorni di apertura del servizio, oltre a me e a Gianluigi Saba, l’Emporio della Solidarietà vede impegnati anche dieci volontari che, coordinati dal referente Luciano Cuccu, si alternano nella distribuzione e nell’accompagnamento delle persone che fanno richiesta di viveri. Mi rendo conto che consegnare gli alimenti rappresenta un grande aiuto, però non è abbastanza senza un ascolto discreto e approfondito delle persone, cui mi permetto di suggerire di rivolgersi sempre al Centro di ascolto ogni volta che percepisco in loro inquietudine e sconforto. L’obiettivo a lungo temine è soprattutto quello di educare le persone a un uso parsimonioso delle risorse di cui dispongono, in questo caso dei punti nella tessera, affinché acquisiscano la capacità nel fare degli acquisti mirati e responsabili.

Gianluigi Saba

Anzitutto mi preme sottolineare che ho dovuto affrontare un periodo molto difficile della mia vita in cui, a seguito della perdita del lavoro, sono stato accolto dagli operatori della Caritas diocesana di Iglesias. Hanno saputo ascoltarmi e mi hanno dato la possibilità di ritrovare un po’ di serenità attraverso un servizio che, seppur nuovo in città, mi riportava indietro nel tempo, a quando stavo quotidianamente a contatto col pubblico; per 25 anni, infatti, sono stato barista ad Iglesias e rivivere un’esperienza, certamente diversa, ma con la possibilità di stare con gli altri, rendendo un servizio utile, mi ha aiutato a stare meglio. Mi sono rivisto in molte delle persone che accogliamo all’Emporio; ho capito che il necessario passaggio al Centro di ascolto aveva rappresentato un’occasione per raccontare il proprio vissuto, mettendo a nudo le fragilità nascoste per rialzarsi e riprendere il cammino, sentendosi meno soli. Spesso noto che le persone che vengono all’Emporio sono a proprio agio con me, quasi sentendosi a casa loro; continuano ad avere con me delle buone relazioni. Capita che mi confidino i loro problemi, non solo economici ma anche familiari, e si vogliano intrattenere a parlare. Ricordo ancora il giorno dell’inaugurazione del servizio: il 13 giugno 2016; qualche mese prima, con don Roberto Sciolla, sono stato nella Caritas di Savona per vedere da vicino un esempio di Emporio già operativo e un metodo di distribuzione viveri e accoglienza delle persone che avremmo poi cercato, in qualche modo, di proporre ad Iglesias. In quattro anni circa sono cambiate tante cose e ci sono stati dei notevoli miglioramenti; primo fra tutti la consegna dei prodotti freschi (salumi e formaggi). Sono davvero soddisfatto di poter dare una mano a molte persone, così come l’ho ricevuta io. In ciò che faccio e nel modo in cui lo porto avanti c’è il mio quotidiano grazie a chi ha saputo credere in me.

Le interviste sono state realizzate da Emanuela Frau

Una testimonianza (solo scritta) per la Diocesi di Torino. Alcune risposte ai quesiti che il direttore della Caritas diocesana di Iglesias avrebbe dovuto offrire di persona alla XXXI Giornata Caritas della Diocesi di Torino (21 marzo 2020)

L’emergenza sanitaria in corso ci riempie tutti di sgomento, con la sua quotidiana e terribile conta di morti e persone ammalate, con le prevedibili conseguenze sotto il profilo economico e i mutamenti già in atto nelle abitudini sociali e relazionali. Eppure, come cristiani siamo chiamati a non fermarci allo smarrimento, a non rimanere immobili nella paura e a far germogliare la Speranza. Nei giorni scorsi avrei dovuto prender parte come relatore a un Convegno promosso dalla Diocesi di Torino e poi, a seguire, recarmi al Convegno nazionale delle Caritas diocesane a Milano, proprio in quella città che in queste ore sta combattendo una dura battaglia per contrastare il contagio; una durissima battaglia per salvare vite umane. La Diocesi di Torino ha – per ovvie ragioni – sospeso il Convegno (così com’è stato rinviato il Convegno nazionale della Caritas), ma ha comunque chiesto ai relatori di rispondere ad alcuni quesiti riguardanti il tema proposto: “Servire i piccoli fa diventare grandi”. Condivido con il settimanale della mia Diocesi quanto avrei dovuto e voluto dire a voce e che, invece, sono stato costretto ad affidare a uno scritto, poi pubblicato sul settimanale diocesano di Torino.

Lo scenario oggi non è favorevole né alla fede né alla carità: eppure noi siamo convinti che servire i piccoli fa diventare grandi, è la strada della santità. In questa Diocesi, diventata famosa nel mondo per i santi sociali, la carità continua a spingerci (Caritas Christi urget nos) a sfidare una cultura dove non sembra esserci posto per chi guarda alla vita con gli occhi di chi è scartato. Allora come, accettando la sfida del vivere da credenti incarnati nel nostro tempo, la carità ci fa crescere nella fede? Come essere testimoni della nostra fede?

Mi sia consentita anzitutto una premessa. Le povere considerazioni che affido a questo scritto le avrei dovute comunicare a voce, non a distanza di chilometri ma stringendo le mani, incrociando gli sguardi e guardando i volti di altri fratelli e sorelle della Chiesa particolare di Torino. I disegni imperscrutabili della Provvidenza ci svelano in queste ore qualcosa d’inatteso, che scompaginano i nostri programmi e allo stesso tempo ci obbligano a riconsiderare il nostro impegno con gli altri, con i poveri e con la nostra stessa povertà. Proverò comunque a rispondere a quanto mi è chiesto, cercando di offrire il mio umile contributo.

Si dice da più parti che la realtà in cui viviamo sia una realtà secolarizzata, indifferente al discorso su Dio e di Dio. Ironicamente, qualche tempo fa un padre gesuita osservava che un segno evidente di tale secolarizzazione era testimoniato dal fatto che si poteva trovare la voce religione sulle “Pagine gialle”. Un tema, quello riguardante la fede, alla stregua pertanto di qualunque discorso commerciale. Non il discorso per eccellenza, quello in grado di dare senso, direzione e marcia alla nostra esistenza, ma uno dei temi tra i tanti e neppure tra i più importanti. Tuttavia, pur con sensibilità e intensità diverse nel tempo, il tema della solidarietà (dico “solidarietà” e non ancora Carità) è rimasto all’ordine del giorno: ha retto negli anni della crisi economica; ha vissuto fasi alterne e contradditorie nella vicenda dell’accoglienza dei profughi; sta riemergendo in queste settimane, con venature persino patriottiche (“solidarietà nazionale”) di fronte all’emergenza sanitaria. Quanto di questa solidarietà si sia espressa con la profondità e lo spessore della testimonianza dell’Amore di Dio (Caritas, Agape) non è dato sapere, ma è certo che la Carità è veramente tale solo se è capace di esprimere in modo autentico la fede in Colui che ci ha amati per primo. Siamo alla radice del servizio caritativo in senso evangelico: la fede ha bisogno della carità e quest’ultima può esser tale solo se è alimentata dalla fede. Si potrebbero citare le parole assai note della lettera di San Giacomo sul rapporto tra fede e opere (2, 14-26) ma a me ora vengono in mente quelle semplici di un santo dell’Ottocento, non molto noto in verità, Padre Antonio Maria Pucci, il quale diceva: “Non date mai il pane senza la fede, perché senza la fede non si apprezza il pane; e non date mai la fede senza il pane perché senza il pane non si apprezza la fede”. Sono parole semplici, che mi tornano in mento ogni qual volta si manifesta il rischio da un lato di un – permettetemi il termine – “bigottismo da sacrestia”, di un atteggiamento pio che vorrebbe incontrare lo sguardo di Dio senza mai incrociare quello dei fratelli; o dall’altro di un attivismo filantropico, spesso viziato dal delirio di onnipotenza, che vorrebbe fare a meno di Dio. Entrambi sono atteggiamenti pericolosi. La fede deve crescere ogni giorno nella carità; ma la vera carità è sempre espressione della fede. Ci sarebbero tantissime cose da dire e su cui riflettere ma le esigenze editoriali impongono una regola di condotta ben precisa.

In un tempo in cui la secolarizzazione ha preso il sopravvento, in cui le grandi narrazioni sono finite e la Chiesa, per una larga fetta degli uomini e delle donne del nostro tempo, non è più considerata come un’autorità o un interlocutore autorevole come possiamo essere attraverso la carità testimoni credibili della nostra fede?  Come far capire che “Caritas Christi urget nos”, oppure che “I poveri sono i nostri signori e padroni” (San Vincenzo de’ Paoli) perché nei poveri c’è Dio, quando nella cultura dominante le istanze solidaristiche sono solo considerate “morali”?

Proverei a rispondere così. Prima di chiederci come possiamo essere interlocutori autorevoli per gli altri, domandiamoci ogni giorno quanto siamo coerenti noi stessi, in prima persona, con quanto la fede nel Signore Gesù, morto e risorto per noi, ci chiede. Essa è capace di produrre conseguenze pratiche nello stile della nostra vita personale? Chiediamoci, facendo un serio esame di coscienza, quanto il nostro cuore sia davvero un cuore nuovo – certamente imperfetto e fragile, non vi è dubbio – ma nuovo perché ha incontrato il Signore e ha deciso di continuare il percorso della propria vita in Sua compagnia. Da ciò ne consegue uno stile di vita concreto e coerente, nelle cose di fede come nelle incombenze quotidiane: nella testimonianza in famiglia, primo ambito in cui esercitare la Carità; nei luoghi della socialità – oggi messi alla prova dall’emergenza sanitaria, ma proprio per questo bisognosi di testimonianza autentica e concreta, non virtuale, da social –, nel nostro vivere la responsabilità civile, oltre che religiosa. Valga sempre quanto Gesù ci ha detto e che riguarda ogni giorno ciascuno di noi: vi riconosceranno da come vi amerete! Solo grazie a questa testimonianza gli altri sapranno che siamo cristiani, non dai proclami o dalle nostre belle parole. Sono padre, oltre che uomo impegnato nella Chiesa, e per me un indicatore affidabile è rappresentato da mio figlio; a fare la differenza è il come lui mi vede e come è interpellata la sua coscienza dal mio modo di fare, oltre che da quello che dico. Se sono poco credibile ai suoi occhi, che grado di autorevolezza posso pretendere dagli altri?

Il card. Carlo Maria Martini, nato nella nostra Diocesi – di cui in questi giorni si ricordano i 40 anni dall’ingresso come Arcivescovo di Milano – interrogato su quale fosse il ruolo della Chiesa nel mondo postmoderno, dove ideologie e valori sono in via di estinzione per lasciare spazio a nichilismo e solitudine, rispondeva: «Il ruolo dei cristiani e della Chiesa è quello della consolazione». La patrona della nostra Diocesi è la Madonna Consolata. Come consolare i tanti afflitti del nostro tempo? E un atto di carità ci fa crescere nella fede?

Le parole del cardinal Martini (figura personalmente a me molto cara) mi richiamano immediatamente alla memoria l’affermazione di Papa Francesco, intervistato dal padre Antonio Spadaro pochi mesi dopo la sua elezione al soglio pontificio. Le riporto integralmente: «Io vedo con chiarezza […] che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite… E bisogna cominciare dal basso». Bisogna appunto ri-cominciare ogni giorno dal basso, ad altezza dei più piccoli. L’esempio, ancora una volta, è quello del Signore che nel momento più drammatico della sua esistenza di uomo non si chiude in se stesso ma decide di lavare i piedi ai suoi, indicandoci la strada da percorrere.

Ringrazio per l’invito e lo spazio offerto. Affidiamo alla misericordia di Dio ogni nostra preoccupazione e sentiamoci uniti spiritualmente in Lui come membra di uno stesso corpo.

Raffaele Callia

Locandina della Giornata Caritas di Torino in formato pdf