“Orti Solidali di Comunità”. Il lavoro come strumento che unisce culture diverse. La testimonianza di Emmanuel Anane

Prosegue la narrazione riguardo al progetto Orti Solidali di Comunità. Dopo la testimonianza di Gianluca Frau, tutor tecnico del progetto, pubblicata nel numero precedente del giornale diocesano, è la volta di Emmanuel Anane, beneficiario proveniente dal Ghana e presente in Italia da una decina d’anni. Gli abbiamo chiesto di raccontarci l’esperienza che lo vede impegnato quotidianamente come volontario nel settore dell’agricoltura sociale, promosso dalla Caritas diocesana.

Emmanuel, come sei venuto a conoscenza di questo progetto della Caritas di Iglesias?
Sono stato chiamato da Simone Cabitza, su segnalazione del Centro d’ascolto per stranieri “Il Pozzo di Giacobbe”; mi aveva detto che cosa potevo fare nel terreno con altre persone che stavano lì prima di me. Mi sembrava una cosa buona per me, per tenermi impegnato e fare qualcosa di utile.

È la prima volta che lavori nel settore dell’agricoltura oppure ti è già capitato altrove?
Non è la prima volta per me; ho già lavorato la terra nel mio Paese e anche qui ad Iglesias, in un’azienda agricola. Dunque avevo già fatto della attività come queste; più o meno le stesse che propone il progetto della Caritas.

Stando a contatto col tuo tutor tecnico, Gianluca, stai imparando nuovi sistemi di coltivazione rispetto a quelle in uso in Ghana?
Sì, sto imparando modi diversi di seminare, innaffiare e seguire le piantine; al mio Paese gli agricoltori fanno altre cose nei campi; lavorano diversamente.

In che cosa si differenzia il modo di fare agricoltura nel tuo Paese da ciò che si fa qui in Sardegna?
Sono diverse le cose che si coltivano e anche le attrezzature che si usano nei campi; ma va bene lo stesso per me, io lavoro lo stesso.

Quali colture seminano nel tuo Paese che qui in Sardegna non vengono coltivate?
Qui non ci sono tantissimi prodotti che coltiviamo in Ghana. Ecco, non so spiegarlo in italiano… Però, quando sono arrivato qui ho visto degli ortaggi che ci sono anche in Africa.

Come ti trovi con gli altri volontari con cui condividi buona parte della giornata, nel terreno Monti Santu? Sono tutti italiani o ci sono anche stranieri?
Mi trovo molto bene con loro, lavoriamo insieme ogni giorno. Ci sono anche altri stranieri, africani come me.

Pensi che l’integrazione degli immigrati passi anche attraverso l’attività lavorativa?
Sì, certo; perché lavorare insieme aiuta a stare meglio; quando ci sono tante persone nel lavoro è più bello.

Emmanuel, la tua famiglia è contenta del tuo impegno col progetto degli Orti?
Sì, certo tutta la mia famiglia è contenta; è venuta qui a vedere il terreno e cosa faccio con le altre persone, tutti i giorni. Noi siamo contentissimi di questo. È un modo per sentirsi utili e poter fare qualcosa non solo per se stessi ma anche per gli altri.

Intervista di Emanuela Frau

La pace ritrovata a diretto contatto con la “madre terra”. La testimonianza di Gianluca Frau, tutor tecnico del progetto “Orti solidali di comunità”

Il singolare progetto degli Orti Solidali di Comunità, che da quattro anni vede la Caritas di Iglesias impegnata anche nel settore dell’agricoltura sociale, ha dato a diverse persone l’opportunità di vivere la natura in una maniera del tutto diversa, riscoprendo il piacere del contatto con la terra e acquisendo consapevolezza su capacità e talenti, per alcuni ancora nascosti. Gianluca Frau riporta la propria esperienza di tutor tecnico all’interno del progetto, confidandoci l’enorme beneficio che un’attività di questo tipo può generare in chi non si sofferma solo sull’aspetto materiale.

Gianluca, in quale modo sei venuto a conoscenza di questo progetto, finanziato dai Fondi Cei 8xmille. Appare alquanto insolito rispetto ad altri riconducibili alle attività portate avanti dalla Caritas diocesana; non trovi?

Mi fu proposto dal direttore della Caritas, che m’illustrò l’idea di coniugare l’opportunità di impegnare persone che, per svariati motivi, avessero bisogno di ritrovare la serenità e un giusto orientamento di vita con la necessità di un impegno nell’ambito dell’agricoltura biologica. Mi sembrò da subito un’occasione da non perdere, sia per me, in quanto avrei potuto assecondare una passione che ha origine nell’infanzia e proseguire con quella che negli ultimi anni è stata la mia professione, sia per coloro che avrebbero beneficiato di questa iniziativa.

Che cosa ti ha convinto ad accettare la proposta ricevuta a suo tempo?

Sono stato coinvolto in una collaborazione in cui ho potuto mettere a disposizione le competenze acquisite nell’ambito dell’orticoltura, come tecnico che coordina un lavoro di squadra, con finalità che non sono ovviamente legate solo alla quantità dei prodotti raccolti, quanto alla qualità delle relazioni che si possono creare tra gli operatori coinvolti in questa sperimentazione. Sinceramente, avrei accettato la proposta anche come beneficiario, svolgendo un servizio totalmente gratuito, consapevole che, senza voler fare falsa retorica, ciò che può dare un progetto di questo genere non sia misurabile soltanto dal punto di vista monetario. Il mio entusiasmo iniziale non è cambiato; anzi, si è rafforzata la convinzione che la proposta non sia utopistica o esageratamente ambiziosa. Al contrario, con molto sacrificio, da parte di tutti i soggetti coinvolti, si possano ottenere apprezzabili risultati.

In che cosa consiste concretamente il tuo impegno quotidiano?

È necessario innanzitutto fare una previsione e programmare le colture che si intendono produrre, considerando le risorse, umane e materiali, a disposizione. Bisogna essere il più possibile realistici, affidandosi alla Provvidenza e mettendo in conto anche la probabilità degli imprevisti. È capitato, infatti, che alcuni beneficiari non abbiano saputo cogliere l’essenza di questo impegno; forse perché alle prese con legittime preoccupazioni personali o avendo ricevuto un ingaggio lavorativo, preferendo lasciare temporaneamente il progetto. Questi episodi non mi hanno di certo scoraggiato ma hanno semmai confermato l’ipotesi che la bellezza del vivere in armonia con la natura non venga percepita nell’immediato da chi si ritrova in un orto. L’aneddoto più significativo può essere dato dalla curiosa richiesta di alcuni operatori che avrebbero voluto recintare un fazzoletto di terra, in modo da coltivare per una personale produzione, sconfessando di fatto il nobile intento del progetto stesso, che mira a creare relazione e unione tra i beneficiari, per ottenere un risultato che sia frutto di un lavoro comune. Anche l’impazienza di vedere il raccolto in breve tempo ha certamente giocato a sfavore nell’esperienza di alcuni.

Mi sembra di capire che la pazienza del seminatore, che ti caratterizza, non sia appannaggio di tutti…

In effetti bisogna predisporsi nel migliore dei modi, in attesa che arrivi la pioggia, che non siano frequenti le gelate e che la siccità non sia impietosa. Solo adottando un atteggiamento fiducioso si può apprezzare il bello del proprio servizio.

Durante questi mesi hai potuto registrare dei cambiamenti, in termini positivi o negativi, nelle persone che hanno frequentato il terreno in località Monti Santu?

Mi ha sicuramente gratificato vedere nei loro occhi la gioia e lo stupore davanti ai primi germogli degli ortaggi, fieri di esserne gli autori; questo li ha certamente ripagati del sacrificio e impegno profuso, immaginando che l’alternativa a questo poteva essere semplicemente l’ozio. Oltre ai beneficiari, l’orto ha ospitato anche altri collaboratori occasionali, nel periodo della raccolta delle olive e delle patate; posso dire di essere stato spettatore di una sorta di “miracolo”: mi ha davvero commosso vedere una terra, che fino a poco tempo prima non veniva valorizzata adeguatamente, animarsi grazie al servizio gratuito di tante persone, uomini, donne e anche bambini, che entusiaste hanno saputo creare relazioni e unione.

Da quando hai iniziato questa collaborazione è cambiata qualcosa nella tua vita?

Certamente! Non solo sto svolgendo una professione che mi permette di vivere una dimensione per me ideale, ma sono consapevole di poter essere d’aiuto, in qualche modo, ad altre persone, non solo i beneficiari coinvolti, ma chiunque mi chieda di poter godere, per qualche ora, quella serenità e pace che la vita frenetica della città non può certo garantire.

Intervista di Emanuela Frau

“Dopo un anno di servizio”. Alcuni giovani si raccontano, a conclusione del Servizio Civile Nazionale alla Caritas

Presso la Caritas diocesana di Iglesias, anche nell’anno 2019 è stato possibile svolgere l’esperienza del Servizio Civile Nazionale. Nel 1976, in occasione del primo Convegno ecclesiale, Caritas Italiana ha ricevuto dalla Chiesa il compito di promuovere l’obiezione di coscienza e il servizio civile: una forma di servizio alternativo a quello militare. Da allora e sino al 2005, quando la leva è stata sospesa, oltre 100.000 giovani hanno potuto intraprendere la strada dell’obiezione di coscienza. Con l’introduzione della legge 64/2001, la Caritas ha proseguito il proprio impegno sul versante del Servizio civile nazionale e lo fa tutt’oggi. Si tratta di una proposta scelta liberamente dal giovane volontario, della durata di 12 mesi, articolata su più aree d’intervento: dalla promozione delle relazioni, dei diritti umani e di cittadinanza al sostegno delle persone in stato di disagio, alla sfida dell’immigrazione.

I progetti di servizio civile della Caritas Italiana, promossi dalle Caritas diocesane, vogliono essere per i giovani un’occasione per contribuire al bene comune e allo stesso tempo per un percorso di crescita personale e comunitario nei valori della pace, della solidarietà e della giustizia sociale. La nostra Caritas diocesana si è sempre impegnata attivamente presentando ne corso degli anni vari progetti che vedevano coinvolti i giovani presso i Centri di ascolto, la Casa di prima accoglienza “Santo Stefano” e, nell’ultimo anno, in collaborazione con la Cooperativa sociale “Antigone”, presso la “Casa dei Nonni” di Serbariu.

Da referente diocesana dell’Area Giovani e Servizio Civile della nostra Caritas posso affermare che i giovani in servizio civile sono una risorsa fondamentale: ci aiutano nella quotidianità, contribuendo a creare ogni volta un nuovo volto alla nostra Caritas diocesana.

Il 15 gennaio 2020 un altro anno di servizio civile è giunto al termine e la Caritas diocesana rinnova l’invito ai giovani ad impegnarsi in esperienze di volontariato, perché contribuiscono ad una maggiore consapevolezza di sé e del mondo che ci circonda e ad una maggiore sensibilità verso l’altro, soprattutto se più fragile e bisognoso di aiuto.

 

La testimonianza di Matteo Cuccu

Ho appena terminato l’anno di servizio presso la “Casa dei Nonni”, una struttura che offre ospitalità diurna e anche notturna a degli anziani. La Casa è situata a Serbariu, proprio di fronte alle Chiesa di San Narciso.

Il servizio civile, purtroppo, è un treno che passa una volta sola. Per me è stato un percorso di crescita e apprendimento: dodici mesi nei quali ho sviluppato una sensibilità maggiore e sono cresciuto parecchio. Dodici mesi che inizialmente potrebbero sembrare un’eternità ma che col passare del tempo volano e, purtroppo, diventano solo un bellissimo ricordo. Come dicevo prima, un anno sembra tanto, ma non lo è affatto: questi dodici mesi sono volati e ora, a servizio concluso, provo come una sensazione di vuoto non indifferente… come se le mie giornate fossero “incomplete” senza il servizio. Ciò dimostra quanto questa esperienza abbia lasciato il segno in me. Questa mancanza credo sia per il rapporto creatosi con le operatrici della struttura e i nonni, perché alla Casa mi sentivo veramente come in famiglia: ogni giornata facevo fatica ad andare via e pensavo sempre a tutti i grazie che avrei voluto dire ma che non sempre riuscivo ad esternare. Le operatrici mi hanno trasmesso la passione e l’amore che mettono nel lavoro ed inoltre la loro disponibilità nell’aiutare gli altri, dandomi sempre consigli di ogni genere. I “nonnini” sono stati fondamentali: tutte le loro storie, i loro caratteri, le loro diversità mi hanno fatto capire quanto ho e quanto sono fortunato; mi sono affezionato ai miei “nonnini” … non ricordo un giorno in cui non abbia imparato qualcosa da ognuno di loro. Il confronto così ampio tra le generazioni mi ha fatto pensare e capire tante differenze che noi giovani magari diamo per scontate.

Anche il servizio civile però, come la vita, ha degli aspetti positivi e negativi: alti e bassi non sono mancati, perché in alcuni momenti mi sono sentito fuori luogo, non all’altezza; ma proprio questo mi ha fatto pensare a migliorare, facendomi andare avanti al meglio.

Il più grande conforto per la mancanza che sento dopo questo bellissimo anno è che il servizio civile non finisce mai: i valori di questo percorso camminano a braccetto con ognuno di noi, tutti i giorni, per sempre. Se potessi, rifarei ancora questa esperienza, poiché mi ha cambiato e dato tanto. Ho conosciuto delle persone fantastiche e spero solo di aver dato tanto anch’io, perché ce l’ho messa tutta.

La testimonianza di Elisabetta Sias

Sono stata in servizio presso la Casa di prima accoglienza “Santo Stefano”. Quest’anno di servizio appena terminato è stato fantastico. Mi ha dato la possibilità di conoscere nuove storie, nuove situazioni ma soprattutto persone stupende, con un grande cuore e con tanto da raccontare e da insegnare: tutte con diversi passati, diverse esperienze e diverse origini; ma nonostante ciò sempre pronte ad aiutarsi a vicenda.

Inizialmente ero in dubbio sulla scelta che avevo fatto. Non riuscivo ad immaginare cosa mi aspettasse. Ora, invece, posso dire che è stata una delle scelte migliori che io abbia fatto. Sono contenta di aver scelto la Caritas diocesana e il progetto “Oltre l’accoglienza”. Ho conosciuto l’esistenza della Casa “Santo Stefano” tramite il bando del servizio civile, non immaginando come potesse essere; ma poi, lì ho trovato come una seconda casa. Certo non tutto è andato sempre “liscio” e non sono mancate le incomprensioni, ma con un po’ di pazienza, da parte di tutti, l’anno si è svolto nei migliori dei modi.

Io e gli altri volontari in servizio alla Casa abbiamo avuto la possibilità di conoscere tante realtà diverse, ma soprattutto di capire che dietro ogni persona c’è sempre una storia che vale la pena di essere ascoltata. Quando entri in questo tipo di strutture sei convinto che sarai tu a dare qualcosa a loro, ma con il passare del tempo capisci che sono queste persone a dare qualcosa a te.

Oltre agli ospiti, conosci anche il mondo del volontariato, che non sempre pensi possa esserci, invece è anche grazie a loro se ciò può essere possibile. Un po’ tutte le storie personali ti fanno riflettere, in particolare quelle dei detenuti in permesso: noi non sappiamo il motivo per cui loro sono in carcere, però nel momento in cui entrano nella Casa sono semplicemente delle persone. Riesci, dunque, a guardare oltre.

Una storia che mi è rimasta particolarmente impressa è l’esperienza di una ragazza venezuelana, scappata da una situazione di estremo disagio (in un momento particolarmente difficile per quel Paese latinoamericano), lasciando in patria sua figlia e sua madre. Con una grande forza di volontà e con l’aiuto della Caritas diocesana è riuscita nel giro di un anno ad ottenere un titolo di soggiorno e a portare la sua famiglia da noi, in Italia, e salvarla da un futuro incerto e assai problematico. Io, da mamma, non so come sia riuscita a stare per così tanto tempo lontana dalla figlia. Personalmente, non so se sarei riuscita ad avere la sua stessa forza e il suo coraggio. Devo ammettere che grazie alla sua determinazione, la sua bambina potrà vivere degnamente la propria infanzia e avere un futuro sereno. A chi mi chiede: rifaresti quest’esperienza? Rispondo di sì e ringrazio la Caritas diocesana per averci dato questa possibilità.

A cura di Elena Sanna

Si avvicina la data di avvio dell’itinerario formativo per le Parrocchie della Forania di Sant’Antioco

Per la Caritas la formazione è considerata come elemento propedeutic0 e permanente per ogni servizio caritativo. Elemento essenziale, non accessorio, della testimonianza della Carità. Ad essa si deve fare riferimento prima di intraprendere qualsiasi progetto e nello stesso tempo non si può e non si deve fermare solo alla fase iniziale, dovendo considerarsi costante e permanente.

La formazione permette di promuovere la crescita umana e un adeguato stile di servizio delle persone e dei gruppi che intendono impegnarsi nel servizio caritativo. Nello stesso tempo genera una conoscenza diretta del “Vangelo della carità” e una diversa consapevolezza anche in termini di fede, in particolare nel dare compimento al comandamento dell’amore in senso cristiano (cfr. Gv, 13,34).

Per aiutare le Parrocchie a vivere la testimonianza della Carità non solo come fatto privato ma soprattutto come esperienza comunitaria, in stretta sinergia con la Catechesi e la Liturgia, la Caritas diocesana organizza, per l’anno pastorale 2019-2020, degli itinerari formativi (“corsi base”) da realizzarsi nel territorio delle quattro Foranie della Diocesi.

Un itinerario sarà rivolto alle Parrocchie della Forania di Sant’Antioco. Nello specifico a Sant’Antioco: Nostra Signora di Bonaria, San Pietro apostolo, Sant’Antioco martire e Santa Maria Goretti. A Calasetta San Maurizio. A Carloforte San Carlo Borromeo e San Pietro apostolo. A Portoscuso: Vergine d’Itria e San Giovanni battista. A Paringianu: San Giuseppe. A San Giovanni Suergiu: San Giovanni battista. Inoltre, San Raffaele Arcangelo a Is Urigu; Sant’Elena imperatrice a Matzaccara; Vergine delle Grazie a Palmas.

Il primo incontro si svolgerà a San Giovanni Suergiu, presso l’Oratorio parrocchiale di San Giovanni battista, mercoledì 19 febbraio 2020, dalle 15.30 alle 17.30. Per facilitare il servizio dei volontari dell’équipe formatori, si pregano i parroci di voler segnalare le adesioni dei propri parrocchiani interessati

entro domenica 16 febbraio 2020, direttamente alla Caritas diocesana (telefonando al numero 0781.33999 o scrivendo all’indirizzo segreteria@caritasiglesias.it).

In allegato alla presente comunicazione, il quadro dei contenuti formativi che verranno trattati.

L’équipe formatori della Caritas diocesana di Iglesias

Caritas in formazione. Alcune restituzioni a conclusione del corso base per la Forania di Carbonia

Nei mesi di dicembre e gennaio l’équipe formatori della Caritas diocesana ha incontrato diversi volontari di alcune parrocchie della Forania di Iglesias e Carbonia, in occasione del “Corso base” finalizzato ad avviare un momento propedeutico per l’avvio delle Caritas parrocchiali (laddove mancanti) o per il rafforzamento delle realtà già esistenti.

Si ritiene costruttivo, durante gli itinerari formativi, fare azione di verifica ed eventualmente apportare delle modifiche ai percorsi stessi. Per questo motivo si è provveduto ad intervistare alcuni fruitori degli itinerari e anche ad uno dei parroci delle parrocchie che hanno aderito alla proposta formativa.

Intervista ai volontari che hanno partecipato al “Corso base”

Quale è il motivo che ti ha spinto a partecipare alla proposta formativa?

  • La curiosità;
  • Perché vorrei fare qualcosa per la mia comunità;
  • Voglio essere preparata per svolgere questo servizio a persone bisognose.

 

Avevi già fatto esperienze di impegno caritativo, prima di partecipare alla formazione proposta dalla Caritas?

  • Sì, come barelliere quando sono andato a Lourdes;
  • Faccio servizio al Centro unico di distribuzione;
  • No, è la prima volta: mi ha coinvolto una mia amica. Quest’itinerario mi sta coinvolgendo e mi piace, è una cosa interessante da fare e per quello che mi sarà possibile dedicherò il mio tempo per gli altri.

 

Ritieni che la formazione ti abbia aiutato a sviluppare una maggiore consapevolezza del legame esistente tra impegno personale e testimonianza comunitaria della carità?

 

  • Sì, perché il Signore, tramite il mio parroco, mi ha chiamato qui;
  • Sì, la sento come una necessità di miglioramento anche per come porsi verso altri che necessitano di avere un po’ di amore disinteressato;
  • Sì, è un’esperienza nel senso che non si vive solo nel proprio nucleo familiare e guardandoti intorno rifletti e dici: effettivamente tutti quanti possiamo collaborare per cambiare qualcosa. Allora forse le cose miglioreranno. L’itinerario di formazione al quale ho partecipato mi ha aiutato a capire meglio questo aspetto.

 

Anche una maggiore consapevolezza sul legame esistente con le altre dimensioni della vita della Chiesa (l’annuncio e la celebrazione, la catechesi e la liturgia)?

  • Sì, la formazione mi ha aiutato a relazionarmi meglio con la celebrazione stessa della Liturgia;
  • Sì, ritengo che la formazione mi abbia aiutato a capire il legame tra liturgia, catechesi e carità, soprattutto a fronte di ciò che è successo da un momento all’altro a mia moglie… La fede mi ha aiutato non solo per ciò che è successo ma anche per gli altri ammalati. Pertanto facendo parte della Caritas parrocchiale vedo con altri occhi la sofferenza di chi ha necessità di aiuto;

Perché è importante pensare il volontariato in Caritas come esperienza collocata in un percorso di formazione?

  • La formazione è importante per un volontario della Caritas perché ci prepara all’ascolto, a capire i bisogni delle persone;
  • Ci prepara a porci nella maniera giusta nei confronti dell’altro.

 

Cosa suggeriresti alla Diocesi per migliorare il proprio impegno formativo, in particolare nella testimonianza della carità?

  • Ritengo che la formazione debba essere divulgata in tutte le parrocchie;
  • Ritengo che ci sia bisogno di maggiori informazioni e formazione finalizzate ad una conoscenza più profonda in quanto non so se tutte le persone possano essere all’altezza di stare in un Centro di ascolto oppure in un altro servizio, in base alle proprie attitudini;
  • Mi piacerebbe approfondire la formazione per capire meglio se abbiamo buone capacità di ascolto.

 

Intervista a un parroco che ha aderito alla proposta del “Corso base”

Quale è il motivo che ti ha spinto a far partecipare alcuni tuoi parrocchiani all’itinerario formativo?

Conoscendo gli itinerari formativi della Caritas diocesana, sono fermamente convinto che essi aiutano le singole persone a camminare in sinergia con la comunità a cui appartengono, con e dentro la Chiesa. La Caritas, inoltre, attraverso gli itinerari formativi fa prendere coscienza di appartenenza alla comunità ecclesiale. Questo è fondamentale in un itinerario formativo, perché non ti fa fare solo degli interventi ma ti aiuta a metterti al fianco dei poveri della comunità di appartenenza.

Ritieni che la formazione possa aiutare a sviluppare, tramite operatori preparati, ad avere maggiore consapevolezza del legame esistente tra impegno personale e testimonianza comunitaria della Carità?

Sì, proprio perché si crea e si stabilisce un legame diverso con la comunità. Si prende coscienza di dover dialogare anche con gli altri operatori pastorali della propria comunità.

La formazione può aiutare anche a far crescere una maggiore consapevolezza sul legame esistente con le altre dimensioni della vita della Chiesa (l’annuncio e la celebrazione, la catechesi e la liturgia)?

Certamente. C’è una certa sofferenza verso la formazione, come nell’ascolto della Parola e negli interventi da fare. C’è ancora una sofferenza nella preghiera comune e ancora un po’ di mancanza di “coscientizzazione” nel dialogo comune. È un legame, questo, in divenire.

Perché è importante pensare il volontariato in Caritas come esperienza collocata in un percorso di formazione?

Il volontariato in Caritas è e deve essere un volontariato cristiano. Ha una storia precisa, che deve manifestarsi dando un sapore diverso a quello che si fa. Si deve conservare lo spirito cristiano. Per questo il volontariato promosso dagli itinerari Caritas non deve perdere lo specifico di un uomo accanto ad un altro uomo, nei bisogni ordinari e straordinari.

Cosa suggeriresti alla Diocesi per migliorare il proprio impegno formativo, in particolare nella testimonianza della carità?

Maggiore comunicazione e instaurazione di un dialogo tutte le volte che si pensa ad un obiettivo comune. Creare momenti e coinvolgimento intorno ad obiettivi anche minimi dei parroci nelle decisioni che riguardano la comunità diocesana. Maggior dialogo tra i vari Uffici pastorali, ad es. quello che propone la Caritas deve interessare sia la Catechesi che la Liturgia. Si chiede un maggior coinvolgimento nella decisione degli obiettivi formativi, anche se pluriennali. Le nostre parrocchie devono diventare capaci di formare alla Parola, alla Carità e anche alla celebrazione… partendo dalle necessità esistenti nel territorio della parrocchia stessa e della Diocesi.

Aldo Maringiò

I 22 anni di accoglienza della Casa “Santo Stefano”

Una data: 26 dicembre 1996, festa liturgica di santo Stefano, diacono e primo martire. Risale a quei giorni, con alcuni letti a castello e poche altre mobilie, la predisposizione di un appartamento di proprietà della Diocesi (in Iglesias, via Amelia Melis de Villa, 7) per l’ospitalità temporanea di quanti ne facevano richiesta. Da quella data si sono compiuti ormai 22 anni: nei giorni scorsi, con Operatori, Volontari ed Ospiti abbiamo solennizzato l’inizio del 23° anno!  Eppure – nessuno lo direbbe – molte persone ancora mostrano meraviglia quando sentono parlare di questa realtà. Così, in questo spazio del settimanale diocesano, vogliamo parlarne un po’: non per “suonare la tromba quando fai la carità”, come raccomanda Gesù (Mt 6,2), ma per farla conoscere per il bene.

Un’opera ecclesiale

È stata la chiesa locale a volere quest’opera, affidandone la gestione alla Caritas diocesana. In continuità con il collaudato stile di azione della Caritas – “ascoltare, osservare, discernere per animare” – tra i bisogni del territorio a cui corrispondeva una scarsa se non totale assenza di risposte, era stata scelta un’opera sul bisogno sociale di accoglienza. Dal punto di vista economico, una realtà per intero portata avanti con i fondi provenienti dall’8‰, senza contributi di alcun genere da parte pubblica (se non qualche occasionale rimborso). L’ecclesialità connota tutta la conduzione della Casa. La connota nello spirito, che vuole essere il più possibile vicino al Vangelo; la connota nel ricercato rapporto con le realtà ecclesiali presenti in Diocesi: i Centri di ascolto, le parrocchie, le associazioni. È da queste ultime che provengono le richieste, come pure le persone che prestano il proprio servizio. Si cerca di portare avanti l’accoglienza in termini alternativi ai criteri economici imperanti propri delle imprese che operano nella società civile. Infatti, uno dei tratti principali dell’opera è il volontariato. Eppure la Casa è aperta in tutte le ore del giorno e in tutti i giorni dell’anno; anche nei giorni di festa, quando i servizi della pubblica amministrazione sono chiusi! A tutt’oggi è ancora così; il volontariato è una ricchezza impagabile. Molti volontari vengono da paesi diversi da Iglesias (Gonnesa, Villamassargia, Domusnovas, Fluminimaggiore, Portoscuso, Carbonia; e anche da fuori Diocesi: Siliqua e, nel passato, Vallermosa) e oltre al tempo ci rimettono letteralmente nelle spese di trasporto. La ricchezza sta nelle motivazioni e nello spirito con cui prestano il loro servizio, nella gratuità. La permanenza nel tempo e la continuità del servizio sono un “miracolo” consentito proprio dal piccolo contributo personale di tanti. Il “poco di molti” è preferibile al “molto di pochi”. Naturalmente, il volontariato ha i suoi limiti. Per avere la Casa sempre aperta, si deve necessariamente ricorrere a turni (quattro fasce orarie: due al mattino e due alla sera), turni che devono essere coperti da molte persone. I volontari sono più di 40; sembrano molti, ma periodicamente – specialmente nel periodo estivo e nei giorni delle grandi festività – ci troviamo in difficoltà a garantire l’apertura continuata. Per la notte, poi, è garantita la presenza di un custode. Un altro limite non da poco sta nel fatto che i volontari sono persone molto generose, ma per lo più senza alcuna specializzazione professionale. Con queste premesse si spiega anche il fatto che di norma si possono dare solamente ospitalità brevi. Per eventuali problematiche particolari degli ospiti ci si riferisce ai servizi territoriali.

Opportunità diversificate

Nel 2001 ci si è trasferiti alla sede attuale (via Tangheroni, n. 3). Essa si trova in una posizione ideale: ai piedi del colle del Buon Cammino, di fronte alle mura storiche della città; un luogo non disturbato dal traffico e tuttavia distante poche centinaia di metri dal centro storico. La proprietà, formalmente del Seminario, è da allora utilizzata dalla Chiesa locale per opere dedicate interamente alla carità e alla formazione. Accanto all’edificio destinato propriamente alla Casa di accoglienza si trova anche il Dormitorio e un ampio tratto di terreno. Nella parte che risale la collina sono piantati degli ulivi secolari, che in annate buone hanno anche prodotto decine di litri di olio; la parte più prossima alla strada è invece coltivabile ad orto. Questa ubicazione e ampiezza consentono oggi delle attività diversificate, impossibili nella sede iniziale. Ne elenchiamo qualcuna.

Persone affidate

Un’attività, che potremmo definire “quotidiana”, è la possibilità di accompagnare delle persone che, per diversi motivi e da diverse provenienze, vi si possono ritrovare per un periodo, più o meno prolungato, di sostegno in vista del miglioramento della propria persona. Negli anni sono ormai decine le persone che in forma di “affido” o di “messa in prova” o di fase intermedia dopo un periodo trascorso in comunità di recupero, hanno tratto giovamento da tale opportunità. A chiederne l’inserimento sono i Comuni, l’Amministrazione giudiziaria, le Comunità stesse. Anche questa è una forma di accoglienza; diremmo, anzi, di accoglienza qualificata. Se vogliamo, ancora un’accoglienza non “professionale” in senso stretto, ma assai proficua; non sono pochi, infatti, coloro che si rendono disponibili a continuare il volontariato anche dopo il periodo convenuto. Non si può non ringraziare chi segue questo specifico compito di accompagnamento.

Incontri formativi e di spiritualità

Pur non essendo possibile l’accoglienza residenziale di più giorni per numeri alti di presenze (la Casa può offrire ospitalità per una decina di persone), la struttura e il terreno circostante possono essere luogo favorevole per incontri di gruppi a carattere formativo. Oltre alla cappellina interna, vi sono alcuni ambienti coperti all’esterno e all’aperto, con tavoli per gruppi di lavoro. Negli anni, ad esempio, diverse sono state le parrocchie e i gruppi che ne hanno usufruito per persone adulte e per ragazzi. Segnaliamo con una certa enfasi questa possibilità alle parrocchie, invitandole a prendere in considerazione questa opportunità. Insieme alla formazione teorica, in questo luogo si può constatare di persona il valore dell’accoglienza e chi ne ha avuto l’opportunità può comprenderne la concreta importanza e tornando nella propria comunità la può proporre a tutti.

I giovani

Fin dagli inizi, decine di giovani sono passati nella Casa trovando occasione di crescita per il loro cammino di vita. Quelli che ne hanno tratto maggiori opportunità sono stati coloro che vi hanno trascorso periodi significativi; ci riferiamo in particolare agli obiettori di coscienza, quando il servizio militare era obbligatorio per i ragazzi, e successivamente ai giovani e alle ragazze in Servizio civile volontario. Tra gli ambiti per quest’ultimo, la Caritas ha sempre privilegiato il servizio alle persone. Ebbene, qui hanno potuto incontrare tanta umanità, tante persone nelle più diversificate forme di bisogno. È difficile che, dopo un anno trascorso nella Casa, dopo tanti incontri, i giovani non abbiano ricevuto una qualche impronta che li ha segnati. Altre presenze di giovani sono state due edizioni di campi di lavoro e formazione (erano stati denominati “Crescere facendo”): pochi giorni, una settimana, in cui alternare lavoro manuale e laboratori formativi. Pochi giorni, ma intensi. Per alcuni campi di lavoro negli anni passati sono venuti anche dei giovani provenienti da altre parti della Sardegna. Ecco una breve testimonianza dei giovani dell’ultimo turno in Servizio civile: “La prima cosa che ci viene in mente pensando a dove abbiamo trascorso quest’anno di servizio è che non sapevamo nemmeno della sua esistenza; ne avevamo sentito parlare vagamente e solo in occasione del servizio l’abbiamo conosciuta come realtà operante, avendola poi direttamente vista all’opera. Probabilmente bisognerebbe fare qualcosa di più per farla conoscere. In questo ambiente abbiamo avuto sicuramente un’occasione di crescita. Abbiamo veduto da vicino tanti carcerati in permesso-premio; abbiamo conosciuto non poche persone in condizione di disagio familiare e sociale; abbiamo potuto collaborare con i tanti volontari. Tutti abbiamo avuto modo di inserirci nella realtà della Casa in termini positivi, aiutati dai volontari che ci hanno accolto e “istruito”. È stato positivo incontrare tante persone, a cominciare dagli ospiti stessi. Sicuramente è stato un periodo per noi significativo, che lascerà traccia nella nostra vita. Pur con qualche inevitabile screzio, il clima che regna nella casa è quello di una famiglia. Ci riteniamo fortunati per aver fatto il nostro servizio qui, rispetto ad altri giovani che lo hanno svolto altrove. Come del resto abbiamo già fatto, ne parleremo senz’altro con altri giovani che incontreremo”.

La parola ai volontari

Tra i tanti, la testimonianza di due volontarie che vengono da Carbonia: “Contrariamente a tanti altri, ho saputo che c’era ad Iglesias una Casa di prima accoglienza e che si cercavano volontari da un articolo de L’Unione Sarda. Ne ho parlato con una mia amica e sono ormai otto anni che garantiamo la nostra presenza per una domenica al mese. L’ambiente è familiare e c’invoglia a fare bene il servizio. Crediamo che opere così, con questo spirito e partecipazione, siano provvidenziali per il nostro territorio. Magari se ne potesse fare una anche a Carbonia! Sono molto utili anche gli incontri formativi in cui abbiamo occasione di incontrare gli altri che come noi prestano servizio qui”. Alcune parole dell’attuale custode: “Svolgo il servizio di custode come volontario, insieme a tutte le altre persone che portano avanti la gestione della Casa. Il ruolo del volontariato qui è essenziale, indispensabile. Dal contatto quotidiano con gli altri volontari, credo che per tutti si tratti di un’importante occasione di crescita e di confronto: tutti abbiamo un “ritorno” dal servizio che prestiamo qui. Io personalmente l’ho potuto verificare per me proprio dal venire a contatto con le tante esperienze, anche dolorose, che sono uno spaccato della nostra società odierna. Il mio specifico servizio consiste nel garantire la presenza notturna e durante i momenti comuni dei pasti. Curo inoltre le registrazioni riguardanti gli Ospiti e la continuità di collegamento tra i volontari che si avvicendano nei loro turni. Mi è stato chiesto quale significato ha questa Casa per la comunità. Ebbene, ritengo che questa sia ormai una realtà consolidata nel Sulcis Iglesiente, territorio che sappiamo vivere una situazione economico-sociale piuttosto difficile. Persone e famiglie incontrano difficoltà di diversa natura, difficoltà incontrate da persone sole, da anziani, ma in misura crescente anche da giovani. La Casa poi assolve regolarmente la sua vocazione originaria: offrire la possibilità ai carcerati di usufruire dei giorni di permesso in un luogo riconosciuto affidabile dall’autorità giudiziaria. Insomma, un’opera importante e significativa”.

Alcuni numeri del 2019

La quotidianità impedisce forse ai volontari che fanno poche ore di turno alla settimana di rendersi conto dell’entità dei servizi che la loro opera contribuisce a produrre. Come ogni anno, nell’incontro di anniversario – quest’anno domenica 12 gennaio – sono stati riferiti i dati relativi all’anno appena concluso. Eccone qualcuno: nel 2019 sono state ospitate 107 persone (qualcuna anche più volte), di cui 93 stranieri e 14 italiani; come sappiamo, gli ospiti più frequenti sono i detenuti (98), ma sono state presenti anche persone la cui ospitalità è stata richiesta da Comuni o parrocchie o dai Centri di ascolto; sono stati preparati 4.454 pasti.

Come si giunge all’ospitalità

Talvolta si presentano delle persone senza nessun preavviso. Non si manda via nessuno, se il bisogno è reale. Tuttavia, la via ordinaria per chiedere l’ospitalità dovrebbe passare attraverso le parrocchie o i Centri di ascolto presenti nelle diverse zone della Diocesi. Altro discorso è quello civile, quando a chiedere sono le Amministrazioni comunali. La richiesta da parte delle parrocchie valorizza il loro ruolo e responsabilizza le comunità di provenienza. Così come dal territorio provengono le richieste di ospitalità, così è bene diffondere tra le persone la conoscenza della Casa, come anche promuovere la disponibilità delle persone per diventare volontari.

“Né di freddo né di fame”: il servizio del Dormitorio della Caritas di Iglesias

Ubicato ad Iglesias in via Tangheroni numero 3, di fronte alla preesistente Casa di prima accoglienza Santo Stefano, il Dormitorio della Caritas diocesana di Iglesias continua a svolgere un servizio prezioso per le persone più bisognose di un luogo di primo riparo e protezione, dove poter provare a ricostruire un percorso di effettiva autonomia.

Queste le tappe più importanti di un servizio forse ancora poco conosciuto. La Caritas di Iglesias, impegnata da moltissimi anni nel settore dell’accoglienza e della cura verso i soggetti più deboli, in convenzione con il Comune d’Iglesias dal 1° dicembre 2008 al 30 giugno 2009 portò avanti un intervento a bassa soglia rivolto ai senza tetto e ai senza dimora del territorio, garantendo a questi un riparo notturno e una prima colazione. La Caritas diocesana mise a disposizione una casa con dieci posti letto, soggiorno, cucina, lavanderia e doppi servizi, con ambienti separati per uomini e donne. Per garantire la realizzazione del progetto si avvalse della collaborazione della Cooperativa sociale “Orsa Minore”, che assunse il personale necessario per la realizzazione del progetto: un custode e un addetto alla pulizia dei locali. Questo progetto fu chiamato “Un tetto anche per noi”. Terminato questo “progetto a tempo”, il bisogno e l’esigenza del servizio-dormitorio non venne comunque a mancare; la Caritas per non lasciare un “vuoto” in maniera informale e grazie al solo apporto del volontariato, continuò per qualche mese nell’offerta di questo servizio.

Dal gennaio 2010 al giugno 2017 il progetto del Dormitorio ha usufruito di finanziamenti regionali nell’ambito del PLUS, in particolare del programma di contrasto alle povertà estreme, grazie al progetto denominato “Né di freddo né di fame”, che oltre alla Caritas e alla Cooperativa Sociale Millepiedi, aveva come partener il Comune di Iglesias, Ente capofila del PLUS per il Distretto d’Iglesias. Dal luglio 2017 fino ad oggi, invece, il Dormitorio è finanziato sia da un contributo regionale sia dai Fondi CEI 8xmille.

Nel corso degli anni si sono resi necessari dei lavori di ristrutturazione e ampliamento dei locali, che hanno accresciuto la disponibilità dei posti letto e un ampliamento del personale, con l’introduzione di un educatore professionale che coordina l’équipe, proprio perché si è ritenuto necessario apportare un costante monitoraggio professionale e di qualità; inoltre dal 3 maggio 2014 si è cominciato a offrire agli ospiti del dormitorio il pasto caldo serale. Accanto al servizio degli operatori sociali in organico per la gestione dell’attività, la Caritas si avvale anche della collaborazione di due operatori volontari per l’accompagnamento di alcuni ospiti che la mattina svolgono delle attività lavorative quali orto e manutenzione della casa.

L’obiettivo di un servizio a bassa soglia come il Dormitorio è quello di arrivare al cosiddetto “sommerso”, ovvero di avvicinare quei soggetti non conosciuti dai servizi. Il lavoro nella bassa soglia significa un cambiamento nel modo di lavorare tanto a livello organizzativo quanto a livello psicologico, dove l’obiettivo diventa non tanto la soddisfazione di una richiesta, quanto l’individuazione di una domanda che difficilmente sarebbe arrivata. Il Dormitorio offre una risposta primaria al problema dell’accoglienza abitativa: difficoltà che favorisce i processi d’emarginazione, isolamento e solitudine, soprattutto nelle persone appartenenti alle fasce più deboli (i senza dimora, gli alcoolisti, i tossicodipendenti, i malati psichiatrici, gli stranieri in difficoltà e gli ex detenuti). Si pone, inoltre, la finalità di aiutare le persone nel cammino di cambiamento dei propri comportamenti, soprattutto quelli a rischio sociale e sanitario, al reinserimento lavorativo e al ricongiungimento familiare. Tutto questo secondo lo stile dell’accoglienza e dell’ascolto, tipico della Caritas.

Il Dormitorio è aperto tutto l’anno e dispone di 14 posti letto. Agli ospiti sono forniti materiali di prima necessità quali: doccia schiuma, shampoo, schiuma da barba, detersivi, asciugamani, cambi lenzuola e farmaci di prima necessità. Vengono ospitati uomini e donne, italiani e stranieri, in situazione di disagio abitativo e in stato d’emarginazione sociale. Si può accedere alla struttura su richiesta dei Centri di ascolto Caritas presenti in Diocesi e su proposta dei Servizi Sociali dei Comuni. Gli operatori di turno valutano e accettano (soprattutto nelle giornate invernali) anche richieste d’ospitalità da parte di persone che dovessero giungere spontaneamente al servizio. Il loro compito, in ogni caso, è quello di inviare la persona al Centro di ascolto per formalizzare l’ingresso.

Ad oggi sono state accolte 345 persone: 266 di nazionalità italiana e 79 di nazionalità straniera.

Simona Canzoneri

 

“Fuori dall’Ombra”. Un progetto della Caritas diocesana per “tornare alla luce” della speranza e dell’autonomia

“Fuori dall’Ombra” è un progetto della Caritas diocesana che, in poco più di un anno dal suo avvio, prova a ridefinire concretamente il concetto di persona senza dimora, annoverando in esso non solo le persone che non possiedono un’abitazione, ma anche coloro che non possono contare su un ambiente di vita o un luogo di sviluppo delle relazioni affettive.

Quello delle persone senza dimora è certamente un fenomeno complesso che invita le varie iniziative caritative, ed anche le espressioni pastorali, ad operare in sinergia col sistema dell’accoglienza presente sul territorio, ad iniziare dalla Casa di prima accoglienza “Santo Stefano” e dal Dormitorio cittadino, entrambe opere-segno promosse dalla Caritas diocesana di Iglesias. Due servizi essenziali della Chiesa diocesana che si collocano all’interno di una rete di proposte capace di aumentare e di rendere più efficaci le iniziative di solidarietà e prossimità in favore delle persone in condizione di estrema precarietà. Questo è ciò a cui tende il progetto: sviluppare l’aspetto pratico dell’abitare educativo, consentendo di far vivere esperienze di lenta riabilitazione con l’ausilio di contesti di tipo formativo e professionalizzante.

È noto come in questo campo la formazione, sotto forma di esperienza pratica, possa divenire un mezzo privilegiato per realizzare uno spazio di maggiore autonomia di vita e di più consapevole orientamento dei percorsi personali. Verifichiamo, ad esempio, che l’inserimento lavorativo, caratterizzato da un solido accompagnamento socio-educativo, consente alle persone senza dimora, di sperimentare comportamenti ed in misura maggiore competenze adeguate a quegli spazi che costituiscono il campo privilegiato di riabilitazione e di integrazione.

Così, le persone che precipitano, o stazionano, nelle soglie dell’invisibilità devono poter disporre di percorsi che possano riattivare autoefficacia, evitando in questo modo le forme di cronicità, contraltare di smarrimento e di perdita di identità.

Date tali premesse è sembrato importante poter promuovere – in primo luogo in favore degli ospiti della Casa di prima accoglienza e del Dormitorio – delle piccole esperienze di impegno socio-lavorativo, svolte principalmente presso il fondo agricolo degli “Orti Solidali di Comunità”, in modo tale da consentire alle persone destinatarie del progetto di poter recuperare (e riconoscere) dall’esperienza personale competenze utili da investire per nuovi traguardi di vita.

L’obiettivo di fondo è dunque quello di accompagnare processi generativi, mediante l’attivazione di misure e attività, finalizzate a profilare percorsi di emancipazione da condizioni umane di forte insicurezza sociale. Questo fattore costituisce il momento decisivo sul quale “Fuori dall’Ombra” scommette tutto il suo percorso educativo, costruito laboriosamente insieme ad operatori e volontari. Tra le varie misure del progetto una delle più qualificanti è di sicuro quella riguardante il servizio diurno che rende possibile l’ospitalità a coloro che, accolti al dormitorio per la notte, durante la giornata non hanno luoghi in cui sostare. “Fuori dall’Ombra” ha scelto di investire sul recupero di una struttura che, a breve, potrà accogliere queste persone durante il giorno, affiancandole in percorsi di impegno, e promuovendo per loro pratiche di coabitazione orientate all’autonomia.

Attorno a queste prerogative si è modellato un percorso di intervento articolato in una serie di misure e di iniziative che aspirano a restituire identità e protagonismo a persone altrimenti destinate irrimediabilmente all’anonimato e all’invisibilità.

La prima ed importante iniziativa del progetto ha riguardato la strutturazione di una équipe di progetto che consentisse di procedere, in modo trasversale e sinergico, tra le diverse progettualità che in questo momento figurano sotto la responsabilità della Caritas diocesana di Iglesias. Tale gruppo di operatori è maturato all’interno della Caritas tra coloro che già in precedenza si erano resi protagonisti di iniziative di accompagnamento in seno ad altri progetti finanziati con fondi 8xmille. In particolare si è ritenuto indispensabile rendere eterogeneo un gruppo di lavoro, valutandone competenze e capacità di tipo personale, professionale e motivazionale. Da questi presupposti è nata un’équipe che sulla progettualità in oggetto conta oggi cinque operatori: due psicologi, un’educatrice, un formatore e una esperta nelle tematiche della finanza etica.

Ognuno di loro ha avuti assegnati aree e compiti di lavoro, in cui ci si è potuto muovere prioritariamente, ma non in modo esclusivo. Il modello organizzativo prevede una orizzontalità di confronto e scambio tra i vari operatori. Gli incontri e le sessioni di lavoro procedono a cadenza regolare, con degli appuntamenti settimanali e con un coordinamento esecutivo che consente al progetto, nella sua varia articolazione, di procedere in modo costante e progressivo. I medesimi operatori dell’équipe sono impegnati nella gestione e del “Punto famiglia” e del “Centro diurno”, elementi integranti di un progetto che è solo agli inizi e di cui si attende una crescita colma di speranza.

Simone Cabitza

“Orti solidali di comunità”. Molto più di un progetto di agricoltura sociale

È riduttivo definire “Orti Solidali di Comunità” un progetto di agricoltura sociale. Il progetto è molto di più. Anzitutto è il campo di applicazione di metodi e contenuti di carattere socio-educativo. Il progetto si propone di avere cura in senso integrale delle persone che hanno scelto di prenderne parte, provando a dare risposte a bisogni complessivi, nel contempo non rinunciando ad offrire aiuti concreti.

Si può legittimamente affermare che il progetto è fortemente promozionale delle persone e delle loro famiglie; un progetto che dialoga con diversi altri enti caritativi del territorio, intra ed extra ecclesiali, decidendo di optare, ad esempio, sul conferimento delle eccedenze del lavoro agricolo ad enti, servizi, opere solidali presenti in città.

A parte questo, “Orti Solidali di Comunità” si definisce nella progettualità socio-pastorale e s’inserisce a pieno titolo nelle iniziative di contrasto alla povertà, muovendo da una prospettiva che è insieme solidale – e non assistenziale – e di valorizzazione dei requisiti di protagonismo personale, per cui non ripiegato sull’aiuto, ma con l’obiettivo ambizioso di restituire dignità alle persone, attraverso gli strumenti della professionalizzazione e dell’empowerment individuale.

In un terreno di circa 3 ettari di proprietà del Seminario diocesano, in località Monti Santu ad Iglesias, va avanti, ormai da due anni, questa bella iniziativa della Chiesa diocesana, su cui la Caritas ha voluto fare un investimento, attraverso i fondi CEI 8xmille, ma soprattutto ha voluto esaltarne i motivi pastorali, progettando un intervento che accoglie persone in difficoltà, o in condizione di vulnerabilità, consentendo ad esse di venire accompagnate in un percorso di lavoro nel settore orticolo, e riconoscendo loro di essere sostenute nei bisogni immateriali e intrinseci, mediante un rigoroso affiancamento educativo, tratto integrante e qualificante del progetto.

Oggi “Orti Solidali di Comunità” è in fase di completo consolidamento, sia per quanto riguarda gli aspetti di produzione, che conta ragguardevoli quantitativi di ortaggi raccolti dagli operatori impegnati sul campo, sia per quanto riguarda gli sviluppi che il progetto sperimenta nel modello organizzativo e del lavoro, aperto ad ulteriori migliorie infrastrutturali, così come a più puntuali interventi in ordine all’educativa che gli è propria.

Il progetto, ormai da tempo, ospita stabilmente un numero non esiguo di operatori-beneficiari. Notiamo in loro, nel rapporto quotidiano, un avanzamento delle prerogative personali. Certamente il lavoro, questo particolare lavoro, svolto a contatto con la terra e la natura, si sta rivelando funzionale a rafforzare requisiti di salute. È di grande incoraggiamento per noi il fatto di poter ricavare dal frutto del lavoro prodotti alimentari che vengono serviti nelle tavole delle famiglie dei beneficiari. Questo aspetto ci consente di riconoscere ad “Orti Solidali di Comunità” il merito di provvedere, anche se in minima parte, al sostentamento di chi è occupato al suo interno.

Il progetto è per sua natura inclusivo e ricettivo, nel senso che in questi anni è riuscito a raccogliere intorno a sé un buon numero di collaboratori e simpatizzanti che oggi permettono di proiettare in avanti l’operatività e gli itinerari educativi, come percorsi differenziati, plurali ed individualizzati, pertanto più efficienti, tesi a risultati certificabili, pur sempre in linea con quell’essenza che richiama il valore evangelico del nostro agire.

Per concludere, vorremmo invitare individui e comunità parrocchiali a conoscere ancor meglio il progetto degli “Orti Solidali di Comunità”, venendoci a trovare ad Iglesias presso il luogo dove esso si svolge, per apprezzarne direttamente prassi, approcci e modi d’intervento.

Simone Cabitza

L’Emporio della Solidarietà. Un servizio della comunità per far fronte ai bisogni alimentari

L’Emporio della Solidarietà è un discount sociale promosso dalla Caritas diocesana ed operativo ad Iglesias, in via Crocifisso 97, dal giugno del 2016. Il servizio nasce grazie alla collaborazione del Coordinamento cittadino degli organismi socio-assistenziali di natura ecclesiale (coordinato dall’Ufficio pastorale della Caritas diocesana): le Caritas parrocchiali, il Volontariato vincenziano cittadino, il Terz’Ordine francescano della Chiesa conventuale di San Francesco e Sodalitas. Il progetto dell’Emporio prevede il conferimento di prodotti distribuiti non con pacchi già predisposti; sono i beneficiari, infatti, dopo esser stati ascoltati dagli operatori dei Centri di almeno una delle realtà aderenti al progetto, a scegliere secondo le proprie necessità, come in un vero negozio. Non si paga con denaro ma attraverso una carta personale che contiene dei crediti, attribuiti in base a diversi parametri, fra cui l’ampiezza del nucleo familiare; la tipologia, l’intensità e la durata del disagio; l’ISEE e altri indicatori. La carta magnetica è personale ed è identificata attraverso un codice. I dati raccolti dai Centri della rete del Coordinamento confluiscono in un database che permette immediatamente di capire chi si è rivolto ai vari servizi territoriali, compreso l’Emporio, evitando duplicazioni di interventi e, in prospettiva, promuovendo un percorso di liberazione dal bisogno.

Oggi, questo particolare servizio, presta aiuto a 306 persone beneficiarie, accreditate mediante il sistema della tessera a punti. Il servizio ha potuto contare fino ad ora sul contributo operoso di un buon numero di persone, tra volontari ed operatori, senza i quali non sarebbe possibile far fronte ai diversi aspetti di tipo organizzativo e di accompagnamento umano per un progetto così complesso.

Il servizio dell’Emporio ha origine, e si innesta del tutto naturalmente, nella progettualità socio pastorale diocesana. Attualmente, a distanza di tre anni dalla sua apertura, una duplice fase ne contrassegna il momento, da una parte di consolidamento dell’operatività, dall’altra di ampliamento delle prerogative pedagogiche delle sue prassi. In questo secondo caso ci si riferisce agli interventi di tipo educativo e di accompagnamento, i quali, benché prospettati e presenti fin dagli esordi, sono ritenuti oggi ancora più importanti ai fini del cambiamento auspicabile nei beneficiari del servizio.

A tal fine si è costituita un’équipe di lavoro, formata da specifiche professionalità, che si fa carico, in una logica di intervento integrato con tutti i soggetti coinvolti nelle forme d’aiuto collegate alla Caritas diocesana, di affiancare coloro che domandano aiuto. Tramite il lavoro educativo e la relazione con l’altro, l’équipe vuol provare ad incidere su quei fattori che stanno alla base delle difficoltà vissute dalle persone, spostando l’attenzione dal piano delle richieste al piano dei bisogni.

La prospettiva del bisogno, assunta a livello educativo, si colloca in un ambito di azione che sceglie di esplorare i motivi intrinseci non di rado anticipatori di disagio e povertà. Così, la richiesta portata dal singolo, o dalla famiglia, è valutata dall’équipe educativa attraverso colloqui volti ad approfondire le condizioni generali, personali ed ambientali di chi si accosta ai servizi caritativi.

L’intervento che si determina interessa la dimensione del cosiddetto “bilancio del capitale immateriale familiare”, con cui si vuole valutare, con la stessa attenzione, indicatori di criticità e risorse possedute dalle famiglie. Su questa linea di lavoro scaturisce il “piano familiare”, una sorta di carta di corresponsabilità che impegna i singoli su obiettivi possibili, da cui partire per inscrivere nella vita di tutti i giorni nuovi codici di comportamento e di condotta.

La realtà di questo lavoro sta portando alla luce una realtà umana smaniosa di intraprendere percorsi di emancipazione dall’aiuto, ridefinendo in sé risorse, abilità e progettualità di vita. Da queste intenzioni è nata la proposta educativa del progetto, che dialoga col servizio dell’Emporio, completandone idealmente l’itinerario di intervento. Siamo dunque ad una vera e propria fase 2.0 del progetto sia sotto il profilo logistico (passare dal conferimento dei viveri confezionati al recupero dei prodotti freschi e più in generale dell’invenduto) sia sotto il profilo educativo (creando connessioni fra le varie progettualità Caritas, i servizi ecclesiali e quelli istituzionali presenti nel territorio). Una fase delicata e importante, che vedrà impegnata la Caritas diocesana con rinnovata passione e determinazione a servizio dei poveri.

Simone Cabitza