Da più parti giunge il cordoglio per la morte di Benedetto XVI, avvenuta l’ultimo giorno del 2022, alle ore 9.34. Per chi opera nel servizio della testimonianza della carità, del suo alto magistero resta il lascito fecondo della sua prima enciclica, Deus caritas est, nella quale si precisa che l’amore di Dio per noi «è questione fondamentale per la vita e pone domande decisive su chi è Dio e chi siamo noi», sottolineando come «all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva». L’incontro con il Signore Gesù e con il suo amore è, dunque, il fondamento del servizio caritativo.
Quanti operano nei servizi caritativi sono grati al Signore per il dono della vita e del ministero petrino di Papa Benedetto XVI.
Si svolgerà a San Gavino Monreale il 29 dicembre 2022 la XXXVI Marcia della Pace, che dopo due anni di pandemia, ritorna a essere svolta in presenza, organizzata dal Comitato promotore, insieme alla Delegazione regionale Caritas Sardegna, alla Caritas diocesana di Ales-Terralba, al CSV Sardegna Solidale, all’Unità Pastorale di San Gavino Monreale e al Comune di San Gavino Monreale.
Il titolo riprende quello del messaggio di Papa Francesco per la 56ma Giornata mondiale della Pace che si celebrerà il 1 gennaio 2023 “Nessuno può salvarsi da solo”, in cui il Santo Padre sottolinea comela solidarietà e fraternità siano le risposte alle emergenze provocate dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina, una “sconfitta per l’intera umanità”.
«Il tempo della pandemia – si legge nell’appello del Comitato promotore – ci aveva sollecitato a cercare risposte condivise ai problemi sanitari, alla solitudine delle persone, alla mancanza di lavoro, ma ora il continuo rumore dei cannoni ci sprona a chiedere ancora una volta che si cerchino soluzioni pacifiche alle controversie internazionali con la testimonianza del nostro camminare insieme. “È insieme, nella fraternità e nella solidarietà, che costruiamo la pace, garantiamo la giustizia, superiamo gli eventi più dolorosi” (Papa Francesco, Messaggio per la 56a Giornata mondiale della Pace). Anche la nostra terra di Sardegna continua a soffrire problemi endemici: la mancanza di lavoro, l’abbandono scolastico, il ruolo marginale delle donne nella società, l’inverno demografico, la carenza di infrastrutture, le dipendenze». Come afferma il Papa nel Messaggio per la Giornata mondiale della Pace, continua il Comitato, «dobbiamo rivisitare il tema della garanzia della salute pubblica per tutti; promuovere azioni di pace per mettere fine ai conflitti e alle guerre che continuano a generare vittime e povertà; prenderci cura in maniera concertata della nostra casa comune e attuare chiare ed efficaci misure per far fronte al cambiamento climatico; combattere il virus delle disuguaglianze e garantire il cibo e un lavoro dignitoso per tutti, sostenendo quanti non hanno neppure un salario minimo e sono in grande difficoltà. Lo scandalo dei popoli affamati ci ferisce. Abbiamo bisogno di sviluppare, con politiche adeguate, l’accoglienza e l’integrazione, in particolare nei confronti dei migranti e di coloro che vivono come scartati nelle nostre società».
L’iniziativa prevede alle ore 17.00 il raduno in piazza Marconi (piazzale Chiesa Santa Chiara); a seguire, alle 17.30 si svolgerà la fiaccolata silenziosa verso la Chiesa di Santa Teresa del Bambin Gesù; successivamente si terrà la veglia di preghiera per la pace (nella stessa Chiesa di Santa Teresa del Bambin Gesù) presieduta da S.E. Mons. Roberto Carboni, Arcivescovo di Oristano e Vescovo di Ales-Terralba durante la quale ci saranno alcune testimonianze di pace dal territorio, tra cui quelle delle comunità ucraine. L’iniziativa vedrà anche la presenza del Comitato promotore, delle istituzioni locali, delle associazioni, delle delegazioni delle Caritas diocesane della Sardegna, del mondo della scuola e del volontariato. La Marcia sarà trasmessa in diretta streaming sul canale YouTube Caritas Sardegna.
L’Italia continua ad essere il Paese delle eterne emergenze, degli imprevisti sovente prevedibili e dei rischi naturali troppo spesso associati ad irresponsabili politiche urbanistiche, accompagnate dall’immancabile abusivismo edilizio. Il copione si ripete di tragedia in tragedia, mettendo a nudo la fragilità del nostro paesaggio e svelando l’ipocrisia di una retorica che piange i morti e i feriti ma che non è in grado di governare responsabilmente un territorio. Un’Italia devastata dall’incuria, deturpata dall’ingordigia della speculazione edilizia, abbandonata all’indifferenza generale, almeno fino alla prossima tragedia.
A Casamicciola Terme, nell’isola di Ischia, le piogge torrenziali hanno innescato una gigantesca frana che ha travolto cose e persone, giungendo fino al mare. Una tragedia che ha prodotto distruzione e morte, in un territorio già segnato gravemente dai ritardi nella ricostruzione del dopo terremoto del 2017, a causa del quale ci furono due vittime e oltre 3.000 sfollati, alcuni dei quali vivono ancora in condizioni di precarietà abitativa.
Negli stessi giorni in cui risuonava ancora l’eco trionfalistica per la capacità delle barriere del Mose di evitare che Venezia venisse sommersa dall’alta marea, a Casamicciola si è ripetuto un disastro di natura eccezionale inserito in un quadro di ordinaria incuria ambientale. La narrazione giornalistica ha insistito molto sulla catastrofe locale in termini di eccezionalità degli eventi atmosferici, richiamando in termini generici alla responsabilità in ordine a una cattiva pianificazione strategica del territorio, frutto di scelte dettate da convenienze contingenti più che da una visione lungimirante.
Sabato 3 dicembre, il presidente e il segretario generale della CEI hanno espresso la solidarietà della Chiesa italiana al vescovo della diocesi di Ischia, mons. Gennaro Pascarella, unendosi alla preghiera per le vittime e per i loro familiari. Da un comunicato della Caritas Italiana si apprende che la rete Caritas si è attivata da subito per offrire sostegno morale e psicologico alle famiglie sfollate, con una attenzione particolare nei confronti dei più piccoli e dei più vulnerabili, in attesa dell’operatività del piano della Protezione civile. Il primo punto di riferimento per l’accoglienza degli sfollati è attualmente il Centro “Giovanni Paolo II”, attraverso cui le persone vengono poi indirizzate agli alberghi del territorio che hanno dato disponibilità.
Proprio il vescovo di Ischia, in un messaggio pubblicato in occasione dell’evento drammatico del 26 novembre, ha fatto appello al dovere di fermarsi, dopo la tempesta del dolore, e riflettere con franchezza sulle cause umane del disastro: «Abbiamo fatto tutta la nostra parte – chiede mons. Pascarella –, perché questo evento non fosse un disastro annunciato? Ora è tempo della vicinanza, del prendersi cura, della condivisione, della prossimità. Ci sono persone ferite e sfollate, c’è chi si è visto risucchiare i suoi cari dalla furia delle acque e del fango. Essi vogliono sentire la nostra vicinanza, fatta non tanto di parole, ma di gesti concreti». Ciononostante, afferma mons. Pascarella, «davanti ai nostri occhi ci sono immagini, che abbiamo visto, anche se in modo meno drammatico, altre volte e che mai avremmo voluto rivedere!».
Difficile, in queste ore, parlare di cura del territorio e prevenzione. Tuttavia, la necessaria solidarietà che arriva da tante parti d’Italia non deve far dimenticare l’appello alla responsabilità che giunge da Casamicciola e da tante altre parti di un’Italia troppo spesso ferita dalle mani dell’uomo.
A leggere i dati dell’ultimo Rapporto Oxfam Italia (pubblicato a gennaio di quest’anno), dal titolo La pandemia della disuguaglianza, sembrerebbe che il Covid abbia moltiplicato la sperequazione a livello globale. Nel corso degli ultimi due anni, infatti, i 10 uomini più ricchi del pianeta hanno più che raddoppiato i propri patrimoni (passati da 700 a 1.500 miliardi di dollari); nello stesso periodo, invece, 163 milioni di persone sono divenute povere a causa della pandemia. Si pensi che il fondatore e presidente di Amazon – la cui ricchezza è cresciuta oltre ogni misura proprio durante la pandemia –, in questi due anni ha guadagnato più di 81 miliardi di dollari: una cifra corrispondente al costo completo stimato della vaccinazione (con tre dosi) per l’intera popolazione mondiale. In quest’oceano di sperequazione i 10 super-ricchi del pianeta detengono una ricchezza sei volte superiore al patrimonio del 40% più povero della popolazione mondiale, costituito da oltre 3 miliardi di persone.
Le disuguaglianze, dunque, hanno continuato a crescere allargando il divario preesistente tra Nord e Sud del pianeta. Non solo: le disuguaglianze sono molto cresciute anche nelle democrazie avanzate, soprattutto a partire dagli anni Ottanta del Novecento. La globalizzazione economica e l’innovazione tecnologica da un lato; un certo tipo di relazioni industriali e le politiche di contenimento delle risorse spese per il welfare dall’altro lato, hanno senza dubbio accelerato tale processo. Peraltro, le conseguenze della pandemia e l’invasione dell’Ucraina a fine febbraio 2022 hanno contribuito ad aggravare il quadro generale.
La disuguaglianza continua a costituire una sorta di ferita aperta anche in Italia, con la persistenza di un’ampia disparità fra i troppo ricchi e i troppo poveri: una disuguaglianza cristallizzatasi nel corso degli anni e in grado di determinare una sostanziale immobilità sociale ed economica, con un conseguente divario nella distribuzione del reddito che colpisce maggiormente le fasce più deboli. Tutto ciò si è tradotto in una condizione di sostanziale ingiustizia, la cui percezione di ineluttabilità è all’origine dei sentimenti di rabbia e di rancore sociale sviluppatisi in questi ultimi anni.
Stando alle stime elaborate recentemente da “Sbilanciamoci”, un think tank cui fanno riferimento diverse organizzazioni, si calcola che i 2.000 italiani più ricchi del Paese detengano una ricchezza superiore a quella dei 25.000.000 italiani più poveri: una sola di queste persone più ricche detiene il patrimonio di 15.000 poveri. Attraverso diverse fonti, fra cui il Global Wealth Report dell’Istituto di ricerca “Credit Suisse” (Global Wealth Report 2022. Leading perspectives to navigate the future), si arriva a stimare che i più ricchi detengano un quarto della ricchezza totale del Paese, mentre una trentina di anni fa ne detenevano “soltanto” il 17,0%. Lo 0,01% più ricco d’Italia (pari a 5.000 persone) avrebbe nelle proprie mani il 7,0% della ricchezza nazionale e un patrimonio medio di 128 milioni di euro.
Il tema delle disuguaglianze è sempre più al centro del dibattito pubblico e della riflessione scientifica, non solo sul versante della letteratura specialistica internazionale ma anche in ambito italiano, divenendo oggetto di confronto ampio e dialettico per molti studiosi, i quali hanno prodotto analisi e ricerche di particolare rilievo anche in questi ultimi anni.
Come ha scritto Papa Francesco nel suo messaggio in occasione della VI Giornata mondiale dei poveri, la povertà che uccide «è la miseria, figlia dell’ingiustizia, dello sfruttamento, della violenza e della distribuzione ingiusta delle risorse. È la povertà disperata, priva di futuro, perché imposta dalla cultura dello scarto che non concede prospettive né vie d’uscita. È la miseria che, mentre costringe nella condizione di indigenza estrema, intacca anche la dimensione spirituale, che, anche se spesso è trascurata, non per questo non esiste o non conta». La questione decisiva rimane dunque quella riguardante la giustizia sociale, la quale rende quanto mai urgente e inderogabile la lotta alle disuguaglianze.
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