L’importanza di fare volontariato durante l’emergenza: l’esperienza di due giovani volontarie

Disegno realizzato da Gloria Mura

Condividiamo la testimonianza di Sara Concas e Gloria Mura, due volontarie della Caritas diocesana, rispettivamente presso il Centro di ascolto “Marta e Maria” e la Casa di prima accoglienza “Santo Stefano”. Nel 2017 Sara e Gloria sono state selezionate, insieme ad altre ragazze e ragazzi, per svolgere il Servizio Civile nella Caritas diocesana di Iglesias, nelle stesse “opere segno” in cui – terminato l’anno di Servizio Civile – hanno voluto continuare a donare generosamente il proprio tempo; anche nei giorni più difficili dell’emergenza sanitaria, durante i quali per ragioni di sicurezza è venuto meno l’apporto di non pochi volontari di una certa età o con particolari esigenze di salute. La testimonianza di Sara e Gloria ci pone di fronte, in modo limpido, al valore della gratuità disinteressata e ci racconta un mondo giovanile fatto di tanto impegno ed entusiasmo, con una spiccata vocazione all’amore verso il prossimo.

Da quando è scattato l’allarme per l’emergenza sanitaria abbiamo continuato regolarmente il nostro turno settimanale di volontariato. Con molta onestà non neghiamo che all’inizio fossimo preoccupate per la situazione che si era venuta a creare. Tuttavia, con l’andare del tempo ci siamo armate di coraggio scrollandoci di dosso la paura – che altro non è che una pessima consigliera – e con la giusta lucidità abbiamo continuato imperterrite a fare quello che abbiamo sempre fatto: il nostro dovere, il bene per il prossimo.

Sebbene con due orientamenti professionali diversi siamo unite dall’essere volontarie, nell’unico obiettivo di contribuire alla crescita di una società migliore. Nella diversità che ci caratterizza riusciamo a cogliere quanto di buono c’è in noi e nelle persone che ci stanno accanto.

Ora più che mai il termine “volontariato” assume un concetto ancora più importante, denso e colmo di significato. Ogni occasione dovrebbe essere giusta per fare del bene, a prescindere da tutto, affinché nessuno venga lasciato indietro e solo.

Chi tiene a mente il significato della parola empatia, capisce a cosa ci riferiamo: vedere, captare e cogliere negli occhi dell’altro e nell’animo umano, la ricerca di aiuto.

Avvicinarsi al mondo del volontariato è un gesto di nobiltà d’animo, una scelta che nasce dal profondo del proprio cuore. Un po’ si nasce con lo spirito del volontario. Ma crediamo sia una dote che si possa coltivare e sviluppare nel tempo, attraverso l’insegnamento che ci viene dato, le esperienze di vita o semplicemente il farsi trasportare dalla voglia di fare del bene. Il volontariato è senza dubbio un grande atto d’amore, di altruismo e di generosità.

Fare qualcosa di concreto per il prossimo crea uno scopo, un obiettivo da raggiungere, una missione. Si tratta essenzialmente di restituire dignità alle persone in difficoltà. Utilizziamo la parola “restituire” perché, quando le persone si ritrovano in qualche modo costrette a dover chiedere aiuto perché non sanno come andare avanti, è come se quest’azione comportasse loro la perdita della propria dignità.

In verità non dovrebbe esserci nessuna vergogna nel chiedere aiuto. Anzi, chiunque potrebbe ritrovarsi in circostanze analoghe: alcune volte determinate da alcuni errori commessi in passato, ma tante altre volte per ragioni non volute. Ci riferiamo alla perdita del lavoro, della casa, ad un allontanamento forzato dalla propria famiglia; il non avere un posto per dormire, un piatto per mangiare, un disagio economico, la difficoltà a fare la spesa. Insomma, un mondo di problemi ognuno diverso dall’altro.

È in queste circostanze che entra in soccorso la figura del volontario. Una figura che deve essere in grado di accogliere senza condizioni: conoscere, non giudicare ma provare a stabilire una vicinanza fondata sull’empatia.

È molto importante avere una spiccata sensibilità per fare il volontario, ma allo stesso tempo, per agire nella maniera più efficace, è ugualmente importante non farsi trasportare troppo dalle emozioni, proprio perché queste potrebbero condizionare il percorso di aiuto. Il nostro compito è sì aiutare, ma aiutare senza sostituirci all’altro o, peggio ancora, facendo dipendere l’altro dalla nostra assistenza (assistenzialismo). Ecco perché è importante che non si stabilisca mai una dipendenza dal chiedere aiuto. Il nostro intento è quello di arrivare al cuore del problema e tramite il coinvolgimento di una rete sociale puntare sulle potenzialità che la persona potrebbe sviluppare ed offrire per riprendere in mano la propria vita, riconquistando la dignità.

La formazione che ci ha accompagnate durante il Servizio Civile è stata fondamentale, così da vivere e scegliere il volontariato come compagno di vita. È stato un anno di svolta e di cambiamento per la formazione e crescita personale, in cui prendere coscienza delle tante realtà che ci circondano, facendoci capire quanto siamo fortunati e quanto ci lamentiamo per motivi superflui e di poco conto; rispetto a chi non ha nulla e ha perso tutto, perfino i propri affetti, restando solo e dimenticato da tutti.

All’inizio, ritrovarsi a fare esperienza sul campo non è stato facile. Forse perché certe situazioni da vicino non le avevamo mai toccate con mano e quindi vissute in prima persona. Ma forse è stata proprio questa voglia di fare del bene e dare il proprio contributo che ha prevalso su tutto ed è stato il motore che ci ha spinto a vivere ed imparare fino in fondo da questa “scuola di vita”.

Siamo state in contatto con persone che al di fuori del Centro di ascolto e della Casa di accoglienza non avremmo mai avuto l’opportunità di conoscere: storie di immigrati in cerca di un futuro migliore, di detenuti in permessi premio, di persone che da un giorno all’altro hanno perso il lavoro, persone che non avevano più rapporti con la propria famiglia e non avevano un posto dove stare, qualcuno che ascoltasse la loro sofferenza.

Ogni persona incontrata ci ha insegnato qualcosa ed è grazie a loro che abbiamo acquisito più consapevolezza riguardo all’importanza di aiutare, sostenere e supportare il prossimo. Quella del volontariato è l’occasione giusta per diventare, insieme al prossimo, delle persone migliori. Infatti, è mentre stai aiutando l’altro che ti accorgi che in realtà quell’aiuto lo stai ricevendo proprio tu.

Da giovani volontarie vogliamo fare un appello alle giovani generazioni presenti e future affinché possano avvicinarsi al mondo del volontariato. Un mondo tutto da scoprire. Cogliete l’occasione di questa proposta come una scuola di vita, un’esperienza di cittadinanza attiva, un’opportunità per essere consapevoli delle tante realtà di disagio, per poter aiutare, imparare e crescere per diventare uomini e donne più coscienziosi e consapevoli del mondo attorno a noi. La parte più bella è il legame che si crea con le persone, lo scambio di un sorriso e semplicemente il fatto di esserci. Poter strappare un sorriso al prossimo non ha prezzo, perché oltre l’aiuto materiale è altrettanto importante anche l’aiuto morale, quello che proviene dal cuore.

Vogliamo completare la nostra testimonianza con un omaggio al mondo del volontariato. Un disegno in cui la solidarietà assume la forma di una stretta di mani, in cui il volontario, il braccio verde, colore simbolo della speranza, trasmette fiducia e protezione per un mondo migliore alla persona che chiede aiuto col braccio di colore rosso. Le mani sono unite ma allo stesso tempo distanziate dalla presenza dei guanti bianchi simbolo della lotta contro il coronavirus. Non a caso i colori utilizzati sono quelli della bandiera italiana, come segno di vicinanza a tutti gli italiani, a tutti gli operatori socio-sanitari che operano in prima linea negli ospedali, a tutti i volontari impegnati nella lotta al coronavirus, a tutti i commercianti che in questo momento hanno ripreso il proprio lavoro e ha chi l’ha perso a causa di questa emergenza. Questo disegno vuole essere un messaggio di speranza, perché siamo certe che tutti insieme, attraverso la prudenza, il buon senso e la fede, distanti ma uniti ce la faremo.

A cura di Sara Concas e Gloria Mura

La raccolta dei punti vendita di Iglesias del gruppo Superemme Spa donata all’Emporio della Solidarietà

Dal 2 aprile all’11 maggio, su iniziativa del gruppo imprenditoriale Superemme Spa, che ha visto coinvolti i punti vendita Iperpan, Superpan e Hardis, è stato possibile realizzare delle collette di prodotti di prima necessità grazie alla generosità dei tanti clienti che, col loro gesto, hanno voluto dare una mano alle famiglie in difficoltà del territorio, molte delle quali alle prese con tanti bisogni accresciuti anche a causa di questo periodo di emergenza sanitaria.

Grazie a tale iniziativa, l’Emporio della Solidarietà di Iglesias, all’interno del quale sono stati depositati i prodotti raccolti presso i citati punti vendita della città, ha potuto dare una risposta alle esigenze – principalmente alimentari – di un maggior numero di persone che ad esso si sono rivolte.

La proficua collaborazione tra gli addetti dei supermercati e gli operatori della Caritas ha permesso di rendere fin da subito accessibili, nei locali dell’Emporio, i beni frutto della generosità di tanti cittadini che hanno aderito alla proposta solidale, dimostrando vicinanza alle persone maggiormente colpite dall’inedita situazione emergenziale. Tra i prodotti raccolti: pasta, riso, zucchero, olio di semi di girasole, olio extravergine d’oliva, caffè, latte, tonno, fette biscottate, sale fino, sale grosso, farina, omogeneizzati, pomodori pelati, polpa di pomodoro, passata di pomodoro, carne in scatola, legumi, legumi secchi, sardine all’olio d’oliva, colombe pasquali, dadi per minestre, dolciumi vari, succhi di frutta, polenta, olive in vetro, maionese in tubetto, tè, sgombri, scatolette di formaggini, carta igienica,  schampoo, bagnoschiuma, detersivo per pavimenti, detersivo per i piatti, asciugatutto, pannolini di varie misure, salviette per bambini e altri prodotti per l’igiene.

A nome dei beneficiari, la Caritas diocesana di Iglesias esprime la propria gratitudine ai clienti, ai punti vendita e al gruppo Superemme Spa che ha promosso l’iniziativa.

La Caritas diocesana di Iglesias

Ascoltare e prendersi cura delle fragilità dei giovani: la storia di Rachele

Quando non hai punti di riferimento e il contesto familiare è fragile ti senti persa nel vuoto. Un disguido economico può capitare a tutti, così come un momento di bisogno per il quale ritieni di doverti rivolgere al Centro d’ascolto della Caritas. È così che vieni sostenuta e scopri che quell’istante si rivela un momento di apertura e di svolta per la tua vita.

Questa è la storia di una giovane ragazza, Rachele (un nome di fantasia), che ha riscoperto sé stessa e quanto di buono c’è in lei, anche grazie all’aiuto di un buon ascolto. La ragazza, ascolto dopo ascolto, passo dopo passo, entrando in relazione con le volontarie del Centro d’ascolto “Marta e Maria” della Caritas diocesana, si è aperta raccontando la propria storia, rimarcando tra una lacrima e l’altra di sentirsi perduta: così giovane e – solo apparentemente – senza nessun obiettivo davanti a sé.

Ed è proprio durante i diversi ascolti che è emersa la voglia di rimettersi in gioco e poter realizzare un sogno. Così le è stato proposto un corso professionale come Operatore socio-sanitario (OSS), che la ragazza ha frequentato fino a raggiungere il traguardo finale. Con una qualifica in mano la vita ha un sapore diverso. Alle lacrime di disperazione si sostituiscono quelle di gioia. Ora può mettere in pratica le cose che ha imparato e volare alto con le proprie ali.

Abbiamo raccolta dalla ragazza una breve testimonianza (che riportiamo sotto) perché sia d’esempio alle tante persone che vorrebbero ritrovare se stesse dopo aver attraversato momenti di sconforto.

Quando mi hanno proposto di frequentare il corso di Operatrice socio-sanitaria ho accolto subito questa opportunità. Bisogna cogliere ogni opportunità che la vita ti offre: se te la lasci sfuggire ci vorrà del tempo prima che si ripresenti o potrebbe addirittura non ripresentarsi mai più.

Prima di frequentare il corso soffrivo molto; pareva che non si aprisse nessuna porta… E quando le aspettative sono ridotte a zero e ti capita una bella opportunità, come quella che è capitata a me, è allora che si apprezza veramente ciò che si ha.

Ci sono due modi per essere felici: tentare di migliorare la realtà in cui vivi o abbassare le proprie aspettative: durante il corso mi sono impegnata non solo perché mi è stata data un’opportunità ma perché essa poteva rappresentare per me un vero e proprio cambiamento di vita.

Il corso prevedeva due fasi: una teorica e un’altra pratica (un tirocinio presso una struttura); soprattutto durante il tirocinio mi sono resa conto che “accoglienza vuol dire costruire ponti tra le persone” e che tra le cose più belle vi è senza dubbio quella di fare un lavoro che ti piace e che ti fa sentire viva.

Dopo aver terminato il corso è cambiato qualcosa in me. Se dovessi riassumere in poche parole cosa ho appreso riguardo al lavoro dell’OSS direi così: passione, amore, pazienza e competenza.

Il lavoro che mi troverò a fare mi porterà ad essere in contatto con le persone, anche in situazioni particolari. Il lavoro che ho scelto mi piace e mi sento fortunata per questo. L’obiettivo dell’Operatore socio-sanitario è quello di creare benessere, infondere serenità, stimolare e sostenere l’autonomia delle persone. Proprio ciò di cui ho avuto bisogno anch’io, prima di rivolgermi al Centro di ascolto.

Il corso di formazione ha permesso a Rachele di farle riscoprire la propria identità e le aspirazioni personali, mettendo in luce le proprie risorse. Nel valorizzare la funzione pedagogica del Centro d’ascolto della Caritas è stato possibile un arricchimento non solo per lei ma anche per il gruppo dei volontari che per un anno ha seguito la ragazza. Dopo averle teso la mano nei momenti bui, passo dopo passo è arrivato il conseguimento del titolo professionale. La sua felicità è divenuta anche la gioia dei volontari del Centro di ascolto.

A cura del Centro di ascolto “Marta e Maria” di Iglesias

Le risposte caritative nell’emergenza: il servizio della Caritas a Carbonia

Volontari Caritas in servizio al Centro Unico

Il Centro di ascolto interparrocchiale “Madonna del Buon Consiglio”

A Carbonia i servizi della Caritas, a seguito dell’emergenza Covid-19, hanno dovuto ripensare la propria organizzazione, vista anche l’età di diversi volontari. A partire da metà marzo, nel Centro di ascolto zonale “Madonna del Buon Consiglio” sono stati ridotti i giorni di apertura ed attivato un numero telefonico per le urgenze. Con l’istituzione del COC (il Centro Operativo Comunale), la Caritas è stata chiamata a dare un contributo di assistenza attraverso l’ascolto e la preparazione e distribuzione dei pacchi spesa alle famiglie segnalate dallo stesso Centro, la cui condizione è significativamente peggiorata a causa dell’emergenza. Inizialmente, il servizio caritativo maggiormente coinvolto è stato quello del Centro unico di raccolta e distribuzione viveri di via Lubiana, ma attualmente si sta intensificando anche la necessità di ascolto e di interventi immediati nei confronti di tante famiglie in difficoltà. Insostituibile è l’apporto delle Caritas parrocchiali, che in modo capillare hanno anche svolto azione di orientamento verso i servizi disponibili e le opportunità di sostegno, per le quali il Centro di ascolto ha spesso svolto un servizio di consulenza e orientamento su questioni di carattere burocratico. Le Parrocchie, dunque anche in questa emergenza hanno continuato ad essere un punto di riferimento per le tante persone e famiglie bisognose di una parola di conforto e di un aiuto concreto.

Dal 13 marzo (data di attivazione del COC) a fine aprile, nell’ambito della collaborazione con il Comune, sono stati effettuati circa un centinaio di interventi, con l’approvvigionamento di pacchi spesa e bombole, spesso consegnati a domicilio. I richiedenti sono per lo più italiani, ma oltre il 20% è di nazionalità straniera (in particolare senegalese) o di etnia rom. A queste famiglie si aggiungono quelle regolarmente assistite, per le quali sono stati introdotti i buoni spesa, ad integrazione dell’intervento con beni FEAD o altri disponibili, per dare la possibilità di acquistare generi deperibili, non presenti negli interventi fin qui effettuati.

Dalla prima settimana di maggio il Centro di ascolto ha ripreso con i giorni di apertura e gli orari consueti, dal lunedì al giovedì, adottando tutte le precauzioni di distanziamento e di protezione previsti, in modo da far fronte alle richieste di ascolto (che si prevedono in aumento), da parte di famiglie che da anni non si avvicinavano al Centro o che non si erano mai avvicinate, e che spesso vengono segnalate dai Servizi sociali del Comune di Carbonia.

Maria Marongiu

 

Il Centro unico di raccolta e distribuzione viveri di via Lubiana

Per rafforzare il proprio servizio a Carbonia, nel contesto dell’emergenza sanitaria, la Caritas diocesana ha firmato una convenzione con il Comune che ha coinvolto il Centro d’ascolto “Madonna del Buon Consiglio” di via Satta e il Centro unico di raccolta e distribuzione viveri di via Lubiana, unitamente alla Caritas parrocchiale della Parrocchia Santa Barbara di Bacu Abis. Le tre realtà caritative sono state chiamate a dare un contributo di assistenza attraverso l’ascolto e la distribuzione di beni di prima necessità alle famiglie da loro segnalate. A questo proposito, sia il Centro d’ascolto sia il Centro unico sono stati da subito convocati dal sindaco di Carbonia, Paola Massidda, assieme alla Croce Rossa Italiana e alla Polizia municipale, per un primo incontro da cui sono scaturite le “linee guida” per organizzare gli interventi, soprattutto per la distribuzione dei viveri. A seguito della convenzione è poi proseguita ufficialmente la collaborazione con il Centro Operativo Comunale (COC), che ha permesso la dotazione di risorse finanziarie per l’acquisto di viveri e dei “buoni pasto” da consegnare ai beneficiari. Inoltre, i Servizi sociali del Comune si sono adoperati per elaborare le disposizioni e ricevere le domande per l’ottenimento dei buoni spesa.

Ne è derivato uno sforzo notevole messo in campo da tutti i volontari Caritas e non solo, i quali non si sono tirati indietro, anche con il servizio a domicilio per tutte le persone che di volta in volta ne hanno fatto richiesta. Sono state prese ovviamente tutte le misure di sicurezza consigliate, con la sanificazione continua dei locali e l’uso dei dispositivi di protezione individuale, messi a disposizione anche degli stessi beneficiari. Sono state numerose le donazioni di mascherine confezionate artigianalmente, assai preziose soprattutto nel primissimo periodo, dato che non se ne trovavano facilmente. Il COC ha disposto che nei supermercati e nei centri commerciali si posizionassero dei cosiddetti “carrelli solidali”, con i quali è stato possibile integrare le dotazioni di viveri. Si sono susseguite donazioni di viveri e anche alcune donazioni in danaro, per far fronte alle grandi richieste di aiuto pervenute in questi mesi. I panifici hanno donato in abbondanza i propri prodotti. Alcuni imprenditori si sono fatti carico di acquistare uova di Pasqua e colombe pasquali per tutti i beneficiari.

Non è dunque mancata la solidarietà da parte della collettività, nonostante la difficoltà del momento. È stata assai importante la collaborazione con le varie associazioni di volontariato, ecclesiali e non, presenti nel territorio. Da parte delle Parrocchie, del Centro di ascolto e del Centro unico si è sempre cercato di accompagnare l’aiuto concreto con un sorriso e una buona parola di incoraggiamento, ricevendo l’apprezzamento per il modo di porsi, accogliente e rispettoso nei confronti di tutti.

Giovanni Busia

I Carabinieri della Scuola Allievi “Trieste” a sostegno della Caritas di Iglesias

I Carabinieri della Scuola Allievi, insieme agli operatori dell’Emporio, nelle operazioni di carico dei prodotti alimentari.

In diverse circostanze, in particolare nel periodo quaresimale, il Comando Scuola Allievi Carabinieri “Trieste” di Iglesias ha dato testimonianza di  importanti gesti di solidarietà. Per venire incontro alle necessità di numerose famiglie del territorio con difficoltà economiche, ha organizzato in diverse occasioni una raccolta di viveri da destinare all’Emporio della Solidarietà della Caritas di Iglesias, cui aderiscono diverse realtà caritative.

Anche in quest’inedita situazione di clausura forzata, dovuta all’emergenza sanitaria, la Scuola Allievi non ha voluto far mancare il proprio sostegno alla Caritas diocesana di Iglesias. Nonostante l’assenza degli studenti, che da diverse settimane hanno visto interrompere il corso di preparazione, il Tenente Colonnello Antonio Iaderosa ha voluto prendere i contatti con il direttore della Caritas, Raffaele Callia, per esplorare in quale maniera poter sostenere la Chiesa diocesana nelle sue attività in favore delle persone più fragili, oggi ancora più vulnerate a causa della grave crisi economica e sociale legata alla pandemia.

Alcuni dei prodotti trasferiti dalla sede dell’Emporio e diretti a Carbonia

Il Comando della Scuola Allievi ha così deciso di avvalersi dei mezzi e degli uomini a disposizione per trasportare dall’Emporio della Solidarietà di Iglesias al Centro unico Caritas di Carbonia una considerevole donazione di prodotti alimentari e beni di prima necessità, frutto della generosità di alcune aziende, giunti dalla Penisola nel centro di smistamento di Cagliari. Grazie a questa rinnovata attenzione della Scuola Allievi Carabinieri, altre strutture caritative e realtà parrocchiali della Diocesi (in particolare a Carbonia, Bacu Abis, Narcao e Sant’Antioco) hanno potuto distribuire i beni alle famiglie in affanno anche a causa dell’emergenza sanitaria in corso.

A nome delle tante famiglie destinatarie dell’aiuto, il direttore della Caritas esprime profonda gratitudine per la generosità dimostrata, a conferma della fiducia che l’Arma dei Carabinieri ripone nella Caritas diocesana e nei confronti dei propri operatori. Un’occasione per dire grazie al prezioso servizio reso quotidianamente dall’Arma in favore della collettività.

La Caritas diocesana di Iglesias

La storia di Marisol: dal Venezuela al Sulcis-Iglesiente, in cerca di libertà

Mentre parla, un lieve sorriso sulle labbra, quasi a nascondere imbarazzo e timidezza. Ma gli occhi non possono celare un velo di malinconia. Marisol (la chiameremo così per questioni di riservatezza), ha lasciato la sua terra, il Venezuela, circa un anno fa per venire in Italia. Fuggiva da una situazione molto difficile, non solo per lei, ma per tutto il popolo del suo Paese: disagio sociale, crisi economica, e soprattutto una fortissima inflazione hanno investito questa terra tanto bella ma altrettanto martoriata, dalle scelte di chi la governa e dagli scenari internazionali.

Il suo è stato un viaggio veloce – sapeva già come ci si doveva muovere – ma non per questo meno rischioso. «Ho lasciato la mia città passando il confine con la Colombia, il 26 febbraio 2019, a piedi. Sono più o meno 2 chilometri. In 15 minuti ero a Cucutà e poi da lì fino a Bogotà. Da qui ho preso un aereo per Madrid, dove sono arrivata il 27 febbraio dello scorso anno, per poi ripartire immediatamente per Roma. Da lì, lo stesso giorno, sono giunta a Cagliari, verso le 10 di sera». Ma a Cagliari, in realtà, è rimasta solo una notte, ospite di una sua amica venezuelana. La sua vera destinazione era una cittadina mineraria dell’Iglesiente che, da qualche anno, era divenuto il luogo di residenza della signora Consuelo (anche questo è un nome di fantasia). «La signora Consuelo è stata molto importante per me; la conobbi tramite Facebook e si offrì subito di aiutarmi. Mi ospitò qualche giorno nella sua casa e poi mi accompagnò negli uffici della Caritas diocesana, ad Iglesias», da dove è iniziato un determinante percorso di accompagnamento e consulenza giuridica per l’ottenimento del permesso di soggiorno. La signora Consuelo riveste un ruolo importante anche dopo, perché «è stato grazie a lei che ho potuto lavorare per qualche tempo». Marisol, prima di trasferirsi definitivamente nella cittadina mineraria, dove tuttora vive e lavora, è stata ospitata nella Casa di prima accoglienza Santo Stefano della Caritas diocesana. Qui ha trascorso un periodo di circa due mesi e mezzo.

Alla domanda su come si è trovata nella Casa sorride, quasi ride, in un misto di imbarazzo e riconoscenza: «All’inizio mi sentivo smarrita, impaurita… Ero preoccupata, quasi terrorizzata, perché avevo dovuto lasciare mia figlia in Venezuela, con mia madre. Certo, sapevo che con lei era in buone mani, ma era terribile pensare a quanto era lontana, che non potevo abbracciarla e stare con lei… Inoltre, lì alla casa Santo Stefano non conoscevo nessuno. E poi c’era un’altra questione: non conoscevo neanche una parola di italiano!». Ma giorno dopo giorno, stando a stretto contatto con le persone che in un modo o nell’altro ruotavano attorno alla casa, «mi rendevo sempre più conto che tutti mi volevano bene, e cercavano, chi in un modo chi in un altro, di aiutarmi, di confortarmi, di farmi sentire a mio agio, di farmi ridere – e ne avevo davvero bisogno! -, di farmi sentire come se fossi a casa». Perché è proprio questa la parola che Marisol, commossa, usa: “casa”. «È stato davvero come stare in una grande famiglia, mi sono sentita coccolata e, soprattutto, protetta. Non mi sentivo più un uccellino impaurito bagnato dalla pioggia, come mi aveva descritto un giorno una persona della casa Santo Stefano riferendosi all’impressione che le avevo fatto appena ero arrivata lì». Marisol ricorda un po’ tutti: i volontari e le volontarie, i ragazzi del Servizio civile, con i quali ha instaurato un bel rapporto di amicizia, con gli ospiti della casa, e con tutti gli altri. «Don Roberto, per esempio, il responsabile della casa, ogni volta che ci ritrovavamo a pranzo e c’era anche lui, non perdeva occasione di chiedermi come stavo, e di scherzare magari cercando di parlare un po’ di spagnolo!».

Ma la barriera della lingua? Nella risposta non c’è esitazione: «Cercavo di imparare quanto più possibile, ripetevo, chiedevo. E poi ho anche ricevuto qualche lezione di italiano da una persona della Casa che conosceva la mia lingua. Sono state vere e proprie lezioni, che mi sono state molto utili. Soprattutto per la caparbietà e la pazienza nello spiegarmi che in italiano si dice “Vado”, e non “Bado”».

Qual è stata la cosa più importante durante la permanenza nella Casa Santo Stefano? «Certamente avere un tetto, un letto e due pasti al giorno – oltre la colazione – è stato importante, ma, ripeto, la cosa davvero importante che ho ricevuto è stato il supporto psicologico, il sentirmi ben voluta e accettata. E la cosa straordinaria, ancora oggi che non sono più là, è che tutto questo è avvenuto spontaneamente, senza che quasi si rendessero conto di quel che stavano facendo». Più in generale, i rapporti con la Caritas sono stati ottimi: «con il direttore, con la segretaria, con le persone del Centro d’ascolto per stranieri. Tutti mi hanno offerto supporto psicologico e morale, soprattutto nel primo periodo».

Che cosa mi mancava più di tutto, in quei giorni? «Mia figlia! Ho già detto che era un tormento il fatto che lei non fosse con me. Lo era di giorno, ma ancora di più la notte, quando la sentivo al cellulare e poi, una volta chiusa la chiamata, non potevo evitare di piangere. Continuavo a chiedermi quando l’avrei riabbracciata, ma era sempre lei che mi dava la forza per resistere: dovevo farcela, dovevo superare tutto per lei. E poi, dopo alcuni lavori saltuari, a luglio ho firmato un contratto di lavoro: anche se solo per tre mesi, con rinnovo fino a dicembre, i soldi che ho guadagnato mi sono serviti per pagare il viaggio per l’Italia a mia figlia e a mia madre, che doveva necessariamente accompagnarla». Da quando c’è lei qui con me è tutto diverso.

Quanti anni ha tua figlia? «Sette anni!», risponde con orgoglio, mentre lei fa capolino e saluta, con un faccino sorridente e vivace. Quando sei riuscita a far venire tua figlia in Italia? «Ai primi di dicembre».

Hai ottenuto il permesso di soggiorno, giusto? «Sì, è tutto a posto».

Come ti trovi nella cittadina dove vivi? Hai nostalgia della Casa Santo Stefano? E del Venezuela? «Non mi trovo male, però è un periodo molto difficile, perché adesso non sto lavorando, è difficile trovare un lavoro – soprattutto nel pieno di questa emergenza sanitaria –, non solo per me: è difficile per tutti. Nostalgia della casa Santo Stefano? Sì, certamente, e delle persone che durante la mia permanenza mi sono state vicine. Del Venezuela ho sempre nostalgia, come potrei non averne, è la mia terra».

Ci tornerai? «Sì, quando la situazione economica e politica cambierà e migliorerà ritornerò. Ma portandomi nel cuore le persone che ho conosciuto in Italia».

Intervista a cura di Giampaolo Atzori
Casa di prima accoglienza Santo Stefano