“Orti Solidali di Comunità”. Il lavoro come strumento che unisce culture diverse. La testimonianza di Emmanuel Anane

Prosegue la narrazione riguardo al progetto Orti Solidali di Comunità. Dopo la testimonianza di Gianluca Frau, tutor tecnico del progetto, pubblicata nel numero precedente del giornale diocesano, è la volta di Emmanuel Anane, beneficiario proveniente dal Ghana e presente in Italia da una decina d’anni. Gli abbiamo chiesto di raccontarci l’esperienza che lo vede impegnato quotidianamente come volontario nel settore dell’agricoltura sociale, promosso dalla Caritas diocesana.

Emmanuel, come sei venuto a conoscenza di questo progetto della Caritas di Iglesias?
Sono stato chiamato da Simone Cabitza, su segnalazione del Centro d’ascolto per stranieri “Il Pozzo di Giacobbe”; mi aveva detto che cosa potevo fare nel terreno con altre persone che stavano lì prima di me. Mi sembrava una cosa buona per me, per tenermi impegnato e fare qualcosa di utile.

È la prima volta che lavori nel settore dell’agricoltura oppure ti è già capitato altrove?
Non è la prima volta per me; ho già lavorato la terra nel mio Paese e anche qui ad Iglesias, in un’azienda agricola. Dunque avevo già fatto della attività come queste; più o meno le stesse che propone il progetto della Caritas.

Stando a contatto col tuo tutor tecnico, Gianluca, stai imparando nuovi sistemi di coltivazione rispetto a quelle in uso in Ghana?
Sì, sto imparando modi diversi di seminare, innaffiare e seguire le piantine; al mio Paese gli agricoltori fanno altre cose nei campi; lavorano diversamente.

In che cosa si differenzia il modo di fare agricoltura nel tuo Paese da ciò che si fa qui in Sardegna?
Sono diverse le cose che si coltivano e anche le attrezzature che si usano nei campi; ma va bene lo stesso per me, io lavoro lo stesso.

Quali colture seminano nel tuo Paese che qui in Sardegna non vengono coltivate?
Qui non ci sono tantissimi prodotti che coltiviamo in Ghana. Ecco, non so spiegarlo in italiano… Però, quando sono arrivato qui ho visto degli ortaggi che ci sono anche in Africa.

Come ti trovi con gli altri volontari con cui condividi buona parte della giornata, nel terreno Monti Santu? Sono tutti italiani o ci sono anche stranieri?
Mi trovo molto bene con loro, lavoriamo insieme ogni giorno. Ci sono anche altri stranieri, africani come me.

Pensi che l’integrazione degli immigrati passi anche attraverso l’attività lavorativa?
Sì, certo; perché lavorare insieme aiuta a stare meglio; quando ci sono tante persone nel lavoro è più bello.

Emmanuel, la tua famiglia è contenta del tuo impegno col progetto degli Orti?
Sì, certo tutta la mia famiglia è contenta; è venuta qui a vedere il terreno e cosa faccio con le altre persone, tutti i giorni. Noi siamo contentissimi di questo. È un modo per sentirsi utili e poter fare qualcosa non solo per se stessi ma anche per gli altri.

Intervista di Emanuela Frau

La pace ritrovata a diretto contatto con la “madre terra”. La testimonianza di Gianluca Frau, tutor tecnico del progetto “Orti solidali di comunità”

Il singolare progetto degli Orti Solidali di Comunità, che da quattro anni vede la Caritas di Iglesias impegnata anche nel settore dell’agricoltura sociale, ha dato a diverse persone l’opportunità di vivere la natura in una maniera del tutto diversa, riscoprendo il piacere del contatto con la terra e acquisendo consapevolezza su capacità e talenti, per alcuni ancora nascosti. Gianluca Frau riporta la propria esperienza di tutor tecnico all’interno del progetto, confidandoci l’enorme beneficio che un’attività di questo tipo può generare in chi non si sofferma solo sull’aspetto materiale.

Gianluca, in quale modo sei venuto a conoscenza di questo progetto, finanziato dai Fondi Cei 8xmille. Appare alquanto insolito rispetto ad altri riconducibili alle attività portate avanti dalla Caritas diocesana; non trovi?

Mi fu proposto dal direttore della Caritas, che m’illustrò l’idea di coniugare l’opportunità di impegnare persone che, per svariati motivi, avessero bisogno di ritrovare la serenità e un giusto orientamento di vita con la necessità di un impegno nell’ambito dell’agricoltura biologica. Mi sembrò da subito un’occasione da non perdere, sia per me, in quanto avrei potuto assecondare una passione che ha origine nell’infanzia e proseguire con quella che negli ultimi anni è stata la mia professione, sia per coloro che avrebbero beneficiato di questa iniziativa.

Che cosa ti ha convinto ad accettare la proposta ricevuta a suo tempo?

Sono stato coinvolto in una collaborazione in cui ho potuto mettere a disposizione le competenze acquisite nell’ambito dell’orticoltura, come tecnico che coordina un lavoro di squadra, con finalità che non sono ovviamente legate solo alla quantità dei prodotti raccolti, quanto alla qualità delle relazioni che si possono creare tra gli operatori coinvolti in questa sperimentazione. Sinceramente, avrei accettato la proposta anche come beneficiario, svolgendo un servizio totalmente gratuito, consapevole che, senza voler fare falsa retorica, ciò che può dare un progetto di questo genere non sia misurabile soltanto dal punto di vista monetario. Il mio entusiasmo iniziale non è cambiato; anzi, si è rafforzata la convinzione che la proposta non sia utopistica o esageratamente ambiziosa. Al contrario, con molto sacrificio, da parte di tutti i soggetti coinvolti, si possano ottenere apprezzabili risultati.

In che cosa consiste concretamente il tuo impegno quotidiano?

È necessario innanzitutto fare una previsione e programmare le colture che si intendono produrre, considerando le risorse, umane e materiali, a disposizione. Bisogna essere il più possibile realistici, affidandosi alla Provvidenza e mettendo in conto anche la probabilità degli imprevisti. È capitato, infatti, che alcuni beneficiari non abbiano saputo cogliere l’essenza di questo impegno; forse perché alle prese con legittime preoccupazioni personali o avendo ricevuto un ingaggio lavorativo, preferendo lasciare temporaneamente il progetto. Questi episodi non mi hanno di certo scoraggiato ma hanno semmai confermato l’ipotesi che la bellezza del vivere in armonia con la natura non venga percepita nell’immediato da chi si ritrova in un orto. L’aneddoto più significativo può essere dato dalla curiosa richiesta di alcuni operatori che avrebbero voluto recintare un fazzoletto di terra, in modo da coltivare per una personale produzione, sconfessando di fatto il nobile intento del progetto stesso, che mira a creare relazione e unione tra i beneficiari, per ottenere un risultato che sia frutto di un lavoro comune. Anche l’impazienza di vedere il raccolto in breve tempo ha certamente giocato a sfavore nell’esperienza di alcuni.

Mi sembra di capire che la pazienza del seminatore, che ti caratterizza, non sia appannaggio di tutti…

In effetti bisogna predisporsi nel migliore dei modi, in attesa che arrivi la pioggia, che non siano frequenti le gelate e che la siccità non sia impietosa. Solo adottando un atteggiamento fiducioso si può apprezzare il bello del proprio servizio.

Durante questi mesi hai potuto registrare dei cambiamenti, in termini positivi o negativi, nelle persone che hanno frequentato il terreno in località Monti Santu?

Mi ha sicuramente gratificato vedere nei loro occhi la gioia e lo stupore davanti ai primi germogli degli ortaggi, fieri di esserne gli autori; questo li ha certamente ripagati del sacrificio e impegno profuso, immaginando che l’alternativa a questo poteva essere semplicemente l’ozio. Oltre ai beneficiari, l’orto ha ospitato anche altri collaboratori occasionali, nel periodo della raccolta delle olive e delle patate; posso dire di essere stato spettatore di una sorta di “miracolo”: mi ha davvero commosso vedere una terra, che fino a poco tempo prima non veniva valorizzata adeguatamente, animarsi grazie al servizio gratuito di tante persone, uomini, donne e anche bambini, che entusiaste hanno saputo creare relazioni e unione.

Da quando hai iniziato questa collaborazione è cambiata qualcosa nella tua vita?

Certamente! Non solo sto svolgendo una professione che mi permette di vivere una dimensione per me ideale, ma sono consapevole di poter essere d’aiuto, in qualche modo, ad altre persone, non solo i beneficiari coinvolti, ma chiunque mi chieda di poter godere, per qualche ora, quella serenità e pace che la vita frenetica della città non può certo garantire.

Intervista di Emanuela Frau

“Dopo un anno di servizio”. Alcuni giovani si raccontano, a conclusione del Servizio Civile Nazionale alla Caritas

Presso la Caritas diocesana di Iglesias, anche nell’anno 2019 è stato possibile svolgere l’esperienza del Servizio Civile Nazionale. Nel 1976, in occasione del primo Convegno ecclesiale, Caritas Italiana ha ricevuto dalla Chiesa il compito di promuovere l’obiezione di coscienza e il servizio civile: una forma di servizio alternativo a quello militare. Da allora e sino al 2005, quando la leva è stata sospesa, oltre 100.000 giovani hanno potuto intraprendere la strada dell’obiezione di coscienza. Con l’introduzione della legge 64/2001, la Caritas ha proseguito il proprio impegno sul versante del Servizio civile nazionale e lo fa tutt’oggi. Si tratta di una proposta scelta liberamente dal giovane volontario, della durata di 12 mesi, articolata su più aree d’intervento: dalla promozione delle relazioni, dei diritti umani e di cittadinanza al sostegno delle persone in stato di disagio, alla sfida dell’immigrazione.

I progetti di servizio civile della Caritas Italiana, promossi dalle Caritas diocesane, vogliono essere per i giovani un’occasione per contribuire al bene comune e allo stesso tempo per un percorso di crescita personale e comunitario nei valori della pace, della solidarietà e della giustizia sociale. La nostra Caritas diocesana si è sempre impegnata attivamente presentando ne corso degli anni vari progetti che vedevano coinvolti i giovani presso i Centri di ascolto, la Casa di prima accoglienza “Santo Stefano” e, nell’ultimo anno, in collaborazione con la Cooperativa sociale “Antigone”, presso la “Casa dei Nonni” di Serbariu.

Da referente diocesana dell’Area Giovani e Servizio Civile della nostra Caritas posso affermare che i giovani in servizio civile sono una risorsa fondamentale: ci aiutano nella quotidianità, contribuendo a creare ogni volta un nuovo volto alla nostra Caritas diocesana.

Il 15 gennaio 2020 un altro anno di servizio civile è giunto al termine e la Caritas diocesana rinnova l’invito ai giovani ad impegnarsi in esperienze di volontariato, perché contribuiscono ad una maggiore consapevolezza di sé e del mondo che ci circonda e ad una maggiore sensibilità verso l’altro, soprattutto se più fragile e bisognoso di aiuto.

 

La testimonianza di Matteo Cuccu

Ho appena terminato l’anno di servizio presso la “Casa dei Nonni”, una struttura che offre ospitalità diurna e anche notturna a degli anziani. La Casa è situata a Serbariu, proprio di fronte alle Chiesa di San Narciso.

Il servizio civile, purtroppo, è un treno che passa una volta sola. Per me è stato un percorso di crescita e apprendimento: dodici mesi nei quali ho sviluppato una sensibilità maggiore e sono cresciuto parecchio. Dodici mesi che inizialmente potrebbero sembrare un’eternità ma che col passare del tempo volano e, purtroppo, diventano solo un bellissimo ricordo. Come dicevo prima, un anno sembra tanto, ma non lo è affatto: questi dodici mesi sono volati e ora, a servizio concluso, provo come una sensazione di vuoto non indifferente… come se le mie giornate fossero “incomplete” senza il servizio. Ciò dimostra quanto questa esperienza abbia lasciato il segno in me. Questa mancanza credo sia per il rapporto creatosi con le operatrici della struttura e i nonni, perché alla Casa mi sentivo veramente come in famiglia: ogni giornata facevo fatica ad andare via e pensavo sempre a tutti i grazie che avrei voluto dire ma che non sempre riuscivo ad esternare. Le operatrici mi hanno trasmesso la passione e l’amore che mettono nel lavoro ed inoltre la loro disponibilità nell’aiutare gli altri, dandomi sempre consigli di ogni genere. I “nonnini” sono stati fondamentali: tutte le loro storie, i loro caratteri, le loro diversità mi hanno fatto capire quanto ho e quanto sono fortunato; mi sono affezionato ai miei “nonnini” … non ricordo un giorno in cui non abbia imparato qualcosa da ognuno di loro. Il confronto così ampio tra le generazioni mi ha fatto pensare e capire tante differenze che noi giovani magari diamo per scontate.

Anche il servizio civile però, come la vita, ha degli aspetti positivi e negativi: alti e bassi non sono mancati, perché in alcuni momenti mi sono sentito fuori luogo, non all’altezza; ma proprio questo mi ha fatto pensare a migliorare, facendomi andare avanti al meglio.

Il più grande conforto per la mancanza che sento dopo questo bellissimo anno è che il servizio civile non finisce mai: i valori di questo percorso camminano a braccetto con ognuno di noi, tutti i giorni, per sempre. Se potessi, rifarei ancora questa esperienza, poiché mi ha cambiato e dato tanto. Ho conosciuto delle persone fantastiche e spero solo di aver dato tanto anch’io, perché ce l’ho messa tutta.

La testimonianza di Elisabetta Sias

Sono stata in servizio presso la Casa di prima accoglienza “Santo Stefano”. Quest’anno di servizio appena terminato è stato fantastico. Mi ha dato la possibilità di conoscere nuove storie, nuove situazioni ma soprattutto persone stupende, con un grande cuore e con tanto da raccontare e da insegnare: tutte con diversi passati, diverse esperienze e diverse origini; ma nonostante ciò sempre pronte ad aiutarsi a vicenda.

Inizialmente ero in dubbio sulla scelta che avevo fatto. Non riuscivo ad immaginare cosa mi aspettasse. Ora, invece, posso dire che è stata una delle scelte migliori che io abbia fatto. Sono contenta di aver scelto la Caritas diocesana e il progetto “Oltre l’accoglienza”. Ho conosciuto l’esistenza della Casa “Santo Stefano” tramite il bando del servizio civile, non immaginando come potesse essere; ma poi, lì ho trovato come una seconda casa. Certo non tutto è andato sempre “liscio” e non sono mancate le incomprensioni, ma con un po’ di pazienza, da parte di tutti, l’anno si è svolto nei migliori dei modi.

Io e gli altri volontari in servizio alla Casa abbiamo avuto la possibilità di conoscere tante realtà diverse, ma soprattutto di capire che dietro ogni persona c’è sempre una storia che vale la pena di essere ascoltata. Quando entri in questo tipo di strutture sei convinto che sarai tu a dare qualcosa a loro, ma con il passare del tempo capisci che sono queste persone a dare qualcosa a te.

Oltre agli ospiti, conosci anche il mondo del volontariato, che non sempre pensi possa esserci, invece è anche grazie a loro se ciò può essere possibile. Un po’ tutte le storie personali ti fanno riflettere, in particolare quelle dei detenuti in permesso: noi non sappiamo il motivo per cui loro sono in carcere, però nel momento in cui entrano nella Casa sono semplicemente delle persone. Riesci, dunque, a guardare oltre.

Una storia che mi è rimasta particolarmente impressa è l’esperienza di una ragazza venezuelana, scappata da una situazione di estremo disagio (in un momento particolarmente difficile per quel Paese latinoamericano), lasciando in patria sua figlia e sua madre. Con una grande forza di volontà e con l’aiuto della Caritas diocesana è riuscita nel giro di un anno ad ottenere un titolo di soggiorno e a portare la sua famiglia da noi, in Italia, e salvarla da un futuro incerto e assai problematico. Io, da mamma, non so come sia riuscita a stare per così tanto tempo lontana dalla figlia. Personalmente, non so se sarei riuscita ad avere la sua stessa forza e il suo coraggio. Devo ammettere che grazie alla sua determinazione, la sua bambina potrà vivere degnamente la propria infanzia e avere un futuro sereno. A chi mi chiede: rifaresti quest’esperienza? Rispondo di sì e ringrazio la Caritas diocesana per averci dato questa possibilità.

A cura di Elena Sanna

Si avvicina la data di avvio dell’itinerario formativo per le Parrocchie della Forania di Sant’Antioco

Per la Caritas la formazione è considerata come elemento propedeutic0 e permanente per ogni servizio caritativo. Elemento essenziale, non accessorio, della testimonianza della Carità. Ad essa si deve fare riferimento prima di intraprendere qualsiasi progetto e nello stesso tempo non si può e non si deve fermare solo alla fase iniziale, dovendo considerarsi costante e permanente.

La formazione permette di promuovere la crescita umana e un adeguato stile di servizio delle persone e dei gruppi che intendono impegnarsi nel servizio caritativo. Nello stesso tempo genera una conoscenza diretta del “Vangelo della carità” e una diversa consapevolezza anche in termini di fede, in particolare nel dare compimento al comandamento dell’amore in senso cristiano (cfr. Gv, 13,34).

Per aiutare le Parrocchie a vivere la testimonianza della Carità non solo come fatto privato ma soprattutto come esperienza comunitaria, in stretta sinergia con la Catechesi e la Liturgia, la Caritas diocesana organizza, per l’anno pastorale 2019-2020, degli itinerari formativi (“corsi base”) da realizzarsi nel territorio delle quattro Foranie della Diocesi.

Un itinerario sarà rivolto alle Parrocchie della Forania di Sant’Antioco. Nello specifico a Sant’Antioco: Nostra Signora di Bonaria, San Pietro apostolo, Sant’Antioco martire e Santa Maria Goretti. A Calasetta San Maurizio. A Carloforte San Carlo Borromeo e San Pietro apostolo. A Portoscuso: Vergine d’Itria e San Giovanni battista. A Paringianu: San Giuseppe. A San Giovanni Suergiu: San Giovanni battista. Inoltre, San Raffaele Arcangelo a Is Urigu; Sant’Elena imperatrice a Matzaccara; Vergine delle Grazie a Palmas.

Il primo incontro si svolgerà a San Giovanni Suergiu, presso l’Oratorio parrocchiale di San Giovanni battista, mercoledì 19 febbraio 2020, dalle 15.30 alle 17.30. Per facilitare il servizio dei volontari dell’équipe formatori, si pregano i parroci di voler segnalare le adesioni dei propri parrocchiani interessati

entro domenica 16 febbraio 2020, direttamente alla Caritas diocesana (telefonando al numero 0781.33999 o scrivendo all’indirizzo segreteria@caritasiglesias.it).

In allegato alla presente comunicazione, il quadro dei contenuti formativi che verranno trattati.

L’équipe formatori della Caritas diocesana di Iglesias

Caritas in formazione. Alcune restituzioni a conclusione del corso base per la Forania di Carbonia

Nei mesi di dicembre e gennaio l’équipe formatori della Caritas diocesana ha incontrato diversi volontari di alcune parrocchie della Forania di Iglesias e Carbonia, in occasione del “Corso base” finalizzato ad avviare un momento propedeutico per l’avvio delle Caritas parrocchiali (laddove mancanti) o per il rafforzamento delle realtà già esistenti.

Si ritiene costruttivo, durante gli itinerari formativi, fare azione di verifica ed eventualmente apportare delle modifiche ai percorsi stessi. Per questo motivo si è provveduto ad intervistare alcuni fruitori degli itinerari e anche ad uno dei parroci delle parrocchie che hanno aderito alla proposta formativa.

Intervista ai volontari che hanno partecipato al “Corso base”

Quale è il motivo che ti ha spinto a partecipare alla proposta formativa?

  • La curiosità;
  • Perché vorrei fare qualcosa per la mia comunità;
  • Voglio essere preparata per svolgere questo servizio a persone bisognose.

 

Avevi già fatto esperienze di impegno caritativo, prima di partecipare alla formazione proposta dalla Caritas?

  • Sì, come barelliere quando sono andato a Lourdes;
  • Faccio servizio al Centro unico di distribuzione;
  • No, è la prima volta: mi ha coinvolto una mia amica. Quest’itinerario mi sta coinvolgendo e mi piace, è una cosa interessante da fare e per quello che mi sarà possibile dedicherò il mio tempo per gli altri.

 

Ritieni che la formazione ti abbia aiutato a sviluppare una maggiore consapevolezza del legame esistente tra impegno personale e testimonianza comunitaria della carità?

 

  • Sì, perché il Signore, tramite il mio parroco, mi ha chiamato qui;
  • Sì, la sento come una necessità di miglioramento anche per come porsi verso altri che necessitano di avere un po’ di amore disinteressato;
  • Sì, è un’esperienza nel senso che non si vive solo nel proprio nucleo familiare e guardandoti intorno rifletti e dici: effettivamente tutti quanti possiamo collaborare per cambiare qualcosa. Allora forse le cose miglioreranno. L’itinerario di formazione al quale ho partecipato mi ha aiutato a capire meglio questo aspetto.

 

Anche una maggiore consapevolezza sul legame esistente con le altre dimensioni della vita della Chiesa (l’annuncio e la celebrazione, la catechesi e la liturgia)?

  • Sì, la formazione mi ha aiutato a relazionarmi meglio con la celebrazione stessa della Liturgia;
  • Sì, ritengo che la formazione mi abbia aiutato a capire il legame tra liturgia, catechesi e carità, soprattutto a fronte di ciò che è successo da un momento all’altro a mia moglie… La fede mi ha aiutato non solo per ciò che è successo ma anche per gli altri ammalati. Pertanto facendo parte della Caritas parrocchiale vedo con altri occhi la sofferenza di chi ha necessità di aiuto;

Perché è importante pensare il volontariato in Caritas come esperienza collocata in un percorso di formazione?

  • La formazione è importante per un volontario della Caritas perché ci prepara all’ascolto, a capire i bisogni delle persone;
  • Ci prepara a porci nella maniera giusta nei confronti dell’altro.

 

Cosa suggeriresti alla Diocesi per migliorare il proprio impegno formativo, in particolare nella testimonianza della carità?

  • Ritengo che la formazione debba essere divulgata in tutte le parrocchie;
  • Ritengo che ci sia bisogno di maggiori informazioni e formazione finalizzate ad una conoscenza più profonda in quanto non so se tutte le persone possano essere all’altezza di stare in un Centro di ascolto oppure in un altro servizio, in base alle proprie attitudini;
  • Mi piacerebbe approfondire la formazione per capire meglio se abbiamo buone capacità di ascolto.

 

Intervista a un parroco che ha aderito alla proposta del “Corso base”

Quale è il motivo che ti ha spinto a far partecipare alcuni tuoi parrocchiani all’itinerario formativo?

Conoscendo gli itinerari formativi della Caritas diocesana, sono fermamente convinto che essi aiutano le singole persone a camminare in sinergia con la comunità a cui appartengono, con e dentro la Chiesa. La Caritas, inoltre, attraverso gli itinerari formativi fa prendere coscienza di appartenenza alla comunità ecclesiale. Questo è fondamentale in un itinerario formativo, perché non ti fa fare solo degli interventi ma ti aiuta a metterti al fianco dei poveri della comunità di appartenenza.

Ritieni che la formazione possa aiutare a sviluppare, tramite operatori preparati, ad avere maggiore consapevolezza del legame esistente tra impegno personale e testimonianza comunitaria della Carità?

Sì, proprio perché si crea e si stabilisce un legame diverso con la comunità. Si prende coscienza di dover dialogare anche con gli altri operatori pastorali della propria comunità.

La formazione può aiutare anche a far crescere una maggiore consapevolezza sul legame esistente con le altre dimensioni della vita della Chiesa (l’annuncio e la celebrazione, la catechesi e la liturgia)?

Certamente. C’è una certa sofferenza verso la formazione, come nell’ascolto della Parola e negli interventi da fare. C’è ancora una sofferenza nella preghiera comune e ancora un po’ di mancanza di “coscientizzazione” nel dialogo comune. È un legame, questo, in divenire.

Perché è importante pensare il volontariato in Caritas come esperienza collocata in un percorso di formazione?

Il volontariato in Caritas è e deve essere un volontariato cristiano. Ha una storia precisa, che deve manifestarsi dando un sapore diverso a quello che si fa. Si deve conservare lo spirito cristiano. Per questo il volontariato promosso dagli itinerari Caritas non deve perdere lo specifico di un uomo accanto ad un altro uomo, nei bisogni ordinari e straordinari.

Cosa suggeriresti alla Diocesi per migliorare il proprio impegno formativo, in particolare nella testimonianza della carità?

Maggiore comunicazione e instaurazione di un dialogo tutte le volte che si pensa ad un obiettivo comune. Creare momenti e coinvolgimento intorno ad obiettivi anche minimi dei parroci nelle decisioni che riguardano la comunità diocesana. Maggior dialogo tra i vari Uffici pastorali, ad es. quello che propone la Caritas deve interessare sia la Catechesi che la Liturgia. Si chiede un maggior coinvolgimento nella decisione degli obiettivi formativi, anche se pluriennali. Le nostre parrocchie devono diventare capaci di formare alla Parola, alla Carità e anche alla celebrazione… partendo dalle necessità esistenti nel territorio della parrocchia stessa e della Diocesi.

Aldo Maringiò